martedì 8 luglio 2008

Racconti, racconti

di Domenico D'Amico

Tempo fa rimasi parecchio incuriosito da una dichiarazione (all'interno di un'intervista) di Tonino Guerra: a suo avviso film come The Matrix erano senza trama. Quando una cosa del genere l'afferma l'autore di sceneggiature come quelle di Uomini Contro e Blowup, Zabriskie Point e Amarcord, la si prende sul serio. Mi sono detto: apparentemente The Matrix mette in opera una fabula che più fabula non si può, che a dispiegarla si arrossisce, tutta la storia di un popolo in schiavitù che attende l'arrivo di un messia che lo liberi e lo conduca a Zion (cioè Sion), e il messia naturalmente deve intraprendere un percorso iniziatico che lo porta a dubitare della sua elezione, fino alla morte e rinascita che ne avverano il destino escatologico... Certo, è l'ennesima rinarrazione biblica che da sempre ossessiona la cultura (alta e bassa) statunitense, ma in ogni caso il racconto c'è, eccome. Probabilmente Guerra si era un po' fatto trasportare dal luogo comune (tutt'altro che infondato) americanate-tutte-effetti-speciali = storia-colabrodo. Ma credo che ci fosse anche un elemento di base, un elemento culturale che gli faceva percepire quella di Matrix come una non-storia. Il cinema di Guerra (ovviamente, non solo il suo) è il cinema della psicologia dei personaggi: anche le figure visionarie dei film di Fellini hanno un'interiorità, quando non addirittura una caratura psicoanalitica. Quello di Matrix, invece, è un racconto mitico, e i personaggi dei miti non hanno psicologia, o se ce l'hanno non è la psicologia come l'intendiamo almeno dall`800 in poi. Forse è questo che ha reso invisibile la fabula di Matrix agli occhi di un grande uomo di cinema.
Certo, è paradossale che il paese dei grandi poemi cavallereschi, il paese della Commedia di Dante, il paese della Commedia dell'Arte e delle Laudi, sia tutt'oggi pervicacemente attaccato a una concezione mimetica della narrazione.
Eppure, se pensiamo a film come La Corona di Ferro di Blasetti, ci viene una grande nostalgia del futuro, e scuotiamo la testa...
E parlando di miti, mi torna in mente quando vidi, quasi in contemporanea, due film che più diversi non si potrebbe: Terminator 2-Il Giorno del Giudizio di James Cameron e Decalogo I di Krzysztof Kieślowski. Notevole la maestria del regista polacco nello squadernamento degli elementi del racconto (il padre, la sua lezione, i calcoli sullo spessore del ghiaccio, il punto di vista della zia, la creazione di affezione per il bambino, il barbone angelo della morte, l'acqua santa congelata, il computer, eccetera), ma al servizio di un apologo talmente brutale da sfiorare la parodia.
Chi è il realtà questo dio che per attirare a sé un uomo gli fa morire il figlio unigenito? È il doppio della figura dello stesso regista, che per uno scopo triviale (la parabola didattica) distrugge qualcosa di molto più prezioso (il racconto). Nessun incendio mistico, nessuna spiritualità, con Kieślowski non sprofondiamo negli oceani di Zanussi o Tarkovskij, ci infanghiamo le scarpe nell'acquitrino maleodorante di una cantina allagata. Che piccineria, che pochezza, che meschinità: corrispondenza totale tra l'opera e il dio che l'opera descrive. Niente mito, in Kieślowski, niente dinamismo tragico, nessuna universalità.
Al contrario di quello che succede nel film di Cameron.
Innanzitutto, Terminator 2-Il Giorno del Giudizio mette in opera un notevole espediente metanarrativo. Se racconto una storia che dice che il mondo finirà nel 1997, e il 1997 passa e il mondo è ancora lì che gira, che faccio? Potrei fare come fanno i seguaci dei profeti appassionati di scadenze: faccio finta di niente, mi invento una spiegazione per la mancata apocalisse e stabilisco una nuova scadenza. O posso imitare gli altri narratori (in particolare sceneggiatori e autori di fumetti): fare finta di niente e sperare che il pubblico sorvoli.
Cameron risolve il problema, ma la soluzione non è un deus ex machina, è parte fondante della stessa narrazione. Il topos del viaggio nel tempo gli permette di mantenere intatta la coerenza interna della saga: il fatto che un evento si situi nel passato non significa che tale evento non possa essere modificato o annullato.
Il mito, in Terminator 2 (in tutto il ciclo, in effetti, nonostante la "cagata pazzesca" del terzo capitolo), si spande a piene mani: visione profetica, il drago che vuole mangiare il figlio della donna vestita di sole (insomma, il cattivo, che è la creazione più mirabile della mente umana, Skynet, da vero angelo caduto si ribella al suo creatore, e cerca di uccidere il messia bambino che dovrà liberare il suo popolo dalla schiavitù), l'elemento tragico di un fato che è contemporaneamente ineluttabile e frutto di libera scelta.
Naturalmente ci sono gli effetti speciali, le sparatorie, il governatore della California. Perché i miti non si illustrano, si raccontano. Per l'ennesima volta.


Il wallpaper dedicato al telefilm Terminator-The Sarah Connor Chronicles mi permette di elogiare i layer style di Photoshop e anche di parlare del serial.
La prima stagione delle Chronicles, come succede sempre, si conclude con eventi in corso e tragedie in sospeso, soprattutto per quel che riguarda il destino del personaggio interpretato da Summer Glau. Ah, Summer Glau, con quell'incredibile fronte bombata e gli occhi da pazzoide! Probabilmente è per questo che in ben due serie (Firefly e 4400) interpreta personaggi con profondi scompensi psichici, così come in Chronicles: un terminator ha una personalità, dal punto di vista umano, decisamente psicopatica, anche quando è schierato dalla parte dei buoni. A questo va aggiunto l'elemento “bambola meccanica” del balletto classico: Summer Glau (che originariamente praticava davvero il balletto) esordisce interpretando una prima ballerina bloccata in un incubo stregonesco di un episodio di Angel (lo spinoff di Buffy). Joss Whedon, creatore di entrambi i telefilm, le da' una parte importante in Firefly, un western fantascientifico durato una sola stagione, parte che produce fuochi d'artificio nell'epilogo cinematografico Serenity (anche in Chronicles, Summer trova l'occasione di sfoggiare le sue doti di étoile, facendo l'infiltrata in un'accademia di danza).
Personalmente, questa prima stagione mi è piaciuta parecchio, nonostante certi guasti di sceneggiatura: Summer Glau è l'estraneo che non conosce (o interpreta troppo letteralmente) i costumi della società a cui appartengono gli altri personaggi e il pubblico, creando i classici effetti di comicità, straniamento e, tendenzialmente, di satira sociale, eppure all'inizio ci viene mostrata come perfettamente mimetizzata nel contesto umano...
Veniale.

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