venerdì 11 luglio 2008

UTA RANKE-HEINEMANN: COSI' NON SIA - PARTE II -

postato da oniat alle ore 23:32 venerdì, 11 luglio 2008
Ghirlandaio-Adorazione dei Magi

I racconti dell'infanzia di Gesù in Matteo e in Luca risalgono al tardo primo secolo. In fondo il solito termine «racconti dell'infanzia» non è corretto. Infatti, non veniamo a sapere che tipo di bambino fosse Gesù. Era un bambino vivace? O piutto­sto tranquillo? Queste storie si riferiscono più che altro alla sua nascita.

Che i racconti sulla nascita di Gesù risalgano a un periodo così tardivo è, secondo un noto studioso del Nuovo Testamento, Karl Hermann Schelkle, del tutto naturale: «Il primo dei quattro vangeli in ordine di tempo è - almeno stando alle versioni in lingua greca a noi pervenute - il vangelo di Marco, che fu scritto probabilmente prima del 70 d.C. vale a dire pri­ma della distruzione di Gerusalemme. Il vangelo di Marco non comprende nessun racconto dell'infanzia. Il fatto sor­prende.

Ma sarebbe affrettato se da questo dato si volesse de­sumere che i racconti dell'infanzia siano delle aggiunte appo­ste in epoca posteriore e probabilmente leggendarie. In un primo momento bisognava annunciare la risurrezione di Cri­sto per spiegare e superare la croce spaventosa che tutti avevano davanti agli occhi. [...] Solo più tardi nasceva l'interesse per gli accadimenti nascosti della prima infanzia di Gesù. Ciò spiega come mai solamente i vangeli scritti più tardi, vale a dire quelli di Matteo e di Luca, comprendano una storia sull'in­fanzia» (Die Kindheitsgeschichten, in: Bibel und zeitgemäßer Glaube, vol. II [1967], p. 14).

Schelkle intende quindi dire questo: non in quanto leggen­de, i racconti dell'infanzia sono nati così tardi, ma perché pri­ma si era occupati in altro. Prima, infatti, si doveva annuncia­re la risurrezione. Solo alla fine del primo secolo (i vangeli di Matteo e di Luca furono scritti, secondo Schelkle, intorno all'80 d.C.), quando cioè la morte di Gesù era «spiegata e superata» in virtù di tale annuncio, Matteo e Luca potevano dedicarsi ad altre questioni.

Ma anche se i cristiani fossero stati celeri a «spiegare e supe­rare» la morte di Gesù, i racconti dell'infanzia, ai quali in tal caso, si sarebbero potuti dedicare prima, sarebbero pur sem­pre leggende.

D'altronde c'è gente che a tutt’oggi non è riu­scita a «spiegare» la morte di Gesù e che, soprattutto, non riesce a «superarla», gente cioè a cui costa molto prendere atto delle spiegazioni teologiche della morte sulla croce e del supe­ramento di tale morte da parte dei teologi. Ma di questo parleremo più avanti. Tutto ciò non riguarda i racconti dell'infanzia che restano pur sempre leggende.

Anche Matteo racconta che «Gesù di Nazaret» (probabil­mente Gesù è nato storicamente in questa città) nacque a Betlemme, nella città di Davide. Quanto al resto, racconta una storia completamente diversa da quella che troviamo in Luca. Matteo colloca gli avvenimenti esclusivamente al tempo di Erode. Pertanto, Gesù sarebbe nato, secondo Matteo, prima del 4 a.C., anno in cui Erode morì.

Matteo inoltre non sa niente di un censimento ordinato da Augusto. Luca aveva bisogno di tale censimento solamente per giustificare il viaggio di Maria e Giuseppe a Betlemme, nella città di Davide.

Per Matteo, invece, Maria e Giuseppe abitano non già a Nazaret, bensì sin dall'inizio a Betlemme. Pertanto il problema di Matteo è completamente diverso da quello di Luca: mentre Luca fa andare Maria e Giuseppe a Betlemme per far sì che «Gesù di Nazaret» nasca a Betlemme, Matteo deve risolvere il problema opposto: per lui «Gesù di Nazaret» deve in qualche modo spostarsi da Betlemme per ar­rivare appunto a Nazaret. E in questo contesto Matteo scorge prontamente l'avverarsi di una profezia dell'Antico Testamento: «Perché si adempisse ciò che era stato detto dai profe­ti: "Sarà chiamato Nazareno"» (Mt 2,23).

Purtroppo tale profezia presenta un piccolo difetto: non esiste affatto. Ora, neanche le sentenze veterotestamentarie esistenti andrebbero interpretate come profezie su persone concrete, pertanto si può anche ricorrere direttamente a sen­tenze veterotestamentarie inesistenti per ottenere una profe­zia su Gesù. La citazione riportata da Matteo dimostra che questi ha completamente frainteso un versetto di Isaia (11,1) in cui il Messia viene descritto come nezer (= germoglio), vale a dire come germoglio che spunterà dal tronco di Iesse (il padre di Davide); da questo nezer Matteo ha, poi, derivato la città di Nazaret. Ma comunque sia, non si scappa: questo versetto co­strinse Maria e Giuseppe a trasferirsi a Nazaret.

Ed ecco il motivo che Matteo addusse per tale trasferimen­to: non un caotico censimento ordinato da Augusto o qualcos'altro di questo genere, ma la fuga, una fuga però che comprendeva una sosta intermedia. Gesù fuggì da re Erode prima in Egitto e poi, per paura del successore di questi, a Nazaret.

Certo che sarebbe potuto fuggire direttamente a Nazaret, ma al fine di adempiere prima un'altra profezia dovette scappare in un primo momento in Egitto: la colpa era del profeta Osea. Questi infatti, aveva detto: «Dall'Egitto ho chiamato mio fi­glio» (Os 11,1).

Di conseguenza era necessario che prima o poi anche Gesù fosse chiamato dall'Egitto, e affinché ciò fosse possibile era ovvio che prima doveva recarvisi. Ecco perché fuggendo da Erode, da quell'assassino di bambini, andò in Egitto. Una nota a parte: il «figlio» che venne chiamato dall'Egitto non era affatto un figlio unico; questo termine indica piuttosto il popolo d'Israele.

Ma prima delle due fughe (in Egitto e a Nazaret) c'erano ancora le insidie di Erode le quali erano a loro volta collegate con una visita di personaggi altolocati provenienti da Oriente. Più precisamente, le cose andarono più o meno così: Matteo menziona brevemente l'evento della nascita di Gesù (si vede che non ha conoscenze particolari in merito) e solo dopo que­sta nota il suo racconto inizia davvero. Comincia cioè con de­gli avvenimenti astrologici: «Gesù nacque a Betlemme in Giu­dea, al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da Oriente a Gerusalemme» (Mt 2,1). Probabilmente vennero da Babilo­nia per cercare il neonato re dei Giudei poiché avevano visto la sua stella. E così fecero scendere in campo Erode. Infatti, sembra che per un certo periodo la stella non avesse assolto il suo compito alla perfezione: è vero che i Magi l'ave­vano vista in Oriente, ed essa gli aveva sì indicato la via fino a Gerusalemme, ma poi aveva ripreso a splendere solo dopo la visita a Erode per precederli fino a Betlemme, al luogo dove si trovava il bambino cercato.

Se il bagliore della stella li avesse accompagnati, invece, ininterrottamente o se, almeno, fosse ripreso un po' prima, o se gli avesse indicato la via senza farli passare per Gerusalemme, allora avrebbero potuto fare a me­no della fatale visita a Erode; e così il nuovo re dei Giudei non sarebbe venuto a trovarsi in pericolo di morte a causa del gua­sto temporaneo della stella. Almeno per i bambini di Betlemme che, secondo Matteo, furono assassinati da Erode, la stella celeste diventò in tal modo una cattiva stella, greve di morte.

Quanto poi all'illuminazione astrale sulla via da Gerusalemme a Betlemme, si trattava di una cosa superflua poiché già Erode si era preso la briga di fornire ai Magi le informazioni necessarie circa Betlemme quale possibile città nativa del neo­nato re. Ormai la stella serviva praticamente solo a individuare con precisione il numero civico. Hermann Samuel Reimarus (m. 1768), il padre degli scettici moderni, commenta a proposito: «Una cometa con una coda si trova troppo in alto per indicare una qualche casupola» (Apologie oder Schutzschrift fűr die vernunftigen Verehrer Gottes, vol. II [1972], p. 536).

Nel racconto di Luca non c'era, ovviamente, abbastanza tempo per tutta questa storia della stella e dei Magi. Infatti, dato che, secondo Matteo, Erode fece uccidere tutti i bambini maschi «dai due anni in giù, corrispondenti al tempo su cui era stato informato dai Magi» (Mt 2,16), deve essere passato al­meno un anno fra la nascita di Gesù e la visita dei Magi guidati dal bagliore della stella, e Gesù deve essere stato nel secondo anno di vita.

Come sappiamo da tutte le rappresentazioni ecclesiastiche del presepe con i tre Magi, Gesù stava in quel mo­mento ancora nella mangiatoia: sembra, quindi, che non fosse un bambino eccessivamente vivace. L'aspetto flemmatico del suo carattere Gesù l'aveva probabilmente ereditato da suo pa­dre, che dopo tutto quel tempo stava con la sua giovane famiglia ancora fermo in quella stalla.

Ma secondo Luca le cose andarono altrimenti: già dopo quaranta giorni, vale a dire dopo la purificazione della madre richiesta dalla Legge, Maria e Giuseppe tornarono diretta­mente in Galilea nella città di Nazaret (Lc 2,39). Non è tutta­via possibile che la visita dei Magi a casa del bambino di uno o due anni, nonché la successiva fuga in Egitto e la strage dei bambini fossero avvenute nell'arco di quei quaranta giorni. A questo punto si vede come le fiabe si avvicinano almeno indirettamente alla verità quando si confutano a vicenda.

Nell'antichità si parla spesso di una stella che annuncia av­venimenti importanti e, in particolare, la nascita di uomini illustri. In tempi antichi l'idea di essere guidati dalle stelle era una convinzione diffusa. Era un pensiero familiare a tutte le nazioni che avevano a che fare con la navigazione marittima. Ma poiché questi segni che indicavano la via, furono interpre­tati come segni divini, si cominciò presto a scorgervi l'allusione a una dignità divina che andava al di là delle possibilità dei comuni mortali.

Svetonio (n. 70 d.C. circa, anno di morte sconosciuto) parla non già esplicitamente di una stella, ma di un segno miracolo­so apparso nel contesto della nascita di Augusto. Facendo ri­ferimento a Giulio Marato, un liberto che era segretario di Augusto, egli scrive: «Narra Giulio Marato che pochi mesi prima della sua nascita (= della nascita di Augusto) avvenne in Roma un portento, che fu noto a tutti, annunziante che la na­tura generava un re per il popolo romano; che il Senato atter­rito decretò che non si avesse ad allevare nessuno nato in quell'anno, e che coloro i quali avevano la moglie incinta, spe­rando tal fortuna per sé stessi, procurarono che il decreto non fosse passato agli archivi».

Inoltre, Svetonio racconta quanto segue: «Nel Teologùmeni di Asclepiade Mendete leggo che Azia (la madre di Augusto), recatasi a mezza notte a un solenne rito di Apollo, si addor­mentò, mentre dormivano anche le altre matrone, nella lettiga che aveva deposta nel tempio; e d'un tratto un serpente strisciò fino a lei e poco dopo se ne uscì; ed ella, risvegliatasi, si purificò quasi fosse giaciuta col marito, e tosto sul suo cor­po apparve una macchia, come d'un serpe dipinto, né mai po­té levarsela, sì che dovette poi astenersi sempre dal frequenta­re i bagni pubblici; e Augusto nacque nove mesi dopo e per ciò fu ritenuto figlio di Apollo. [ ... ] Il padre Ottavio sognò che su dall'utero della moglie sorgeva un raggiante fulgor di sole» (Svetonio, Augusto 94; trad. it.: Caio Svetonio Tranquillo, Le vite di dodici Cesari, Nicola Zanichelli Editore, Bologna, vol. I,195  p. 185).

Gli stessi elementi narrativi che incontriamo nei racconti sulla nascita di Gesù, ricorrono quindi anche in riferimento ad Augusto: un segno miracoloso, il concepimento senza l’intervento di un uomo, la visione onirica del marito, l'inseguimento da parte dei potenti.

Anche Schellde richiama l'attenzione su testi paralleli che parlano di qualche segno astrale: «Secondo Virgilio (m. 19 a.C.), Eneide 2,694ss, una stella condusse Enea da Troia nel Lazio. Secondo il commento di Servio (che visse intorno al 400 d.C.) su Eneide 10,272, apparve una cometa quando Au­gusto giunse al potere. Si annunciava una grande gioia che sarebbe stata di tutto il popolo. La descrizione della stella dei Magi che appare, scompare e riappare, può essere definita come racconto stilizzato in forma leggendaria» (loc. cit. p. 16).

Visto in questa chiave il racconto del vangelo sulla miracolosa apparizione di una stella in occasione della nascita di Gesù, non rappresenta più nessun miracolo.

Il padre della chiesa Origene (m. 253) arriva addirittura a pretendere una stella per la nascita di Gesù: «È stato osservato che nei grandi eventi e nei cambiamenti più forti che avvengo­no sulla terra si levano gli astri di natura cotale, che presagi­scono o rivoluzioni di regni, o guerre, o altri fatti che possono capitare agli uomini, capaci di scuotere il mondo. Lo ho letto nello scritto Sulle comete dello storico Cherèmone (sec. I d.C.) come delle comete siano apparse talvolta alla vigilia di un felice evento, e l'autore ne porta degli esempi. Se pertanto una cometa o qualche altra stella di natura simile appare all'avven­to di una nuova monarchia o in occasione di altri grandi even­ti della terra, qual meraviglia che sia sorta una nuova stella alla nascita di una persona che doveva determinare un così grande mutamento del genere umano?» (Origene, Contro Celso 1, 59; trad. it.: Aristide Colonna [a cura di], Contro Celso di Origene, UTET, Torino 1971, p. 108s).

Inoltre, il fatto stesso che si trattasse dell'apparizione di una stella singola e non, invece, di un insieme di più stelle, esclude la possibilità che si fosse trattato della rarissima triplice congiunzione di Giove-Saturno nel segno dei Pesci che si verificò, secondo i calcoli degli astronomi da Keplero in poi, nei mesi di maggio, ottobre e dicembre del 7 d.C. Del resto, una congiunzione astrale non si sposta da Gerusalemme a Betlemme per fermarsi lì, secondo l'affermazione di Matteo, sopra una casa.

Solo una stella delle fiabe può tanto, vale a dire una stella che si trovi a bassa quota. Infatti, se stesse molto in alto non si capirebbe certo sopra quale casa si sia fermata. In questo contesto è interessante notare quanto papa Leone I (m. 461) - ispirato da un antisemitismo formatosi già molto presto - disse in merito a tale stella: egli sostenne che essa era invisibile per i Giudei per via del loro accecamento. Dev’essere stato un accecamento davvero superdimensionale, dato che la stella era, secondo l'opinione della chiesa antica, anch'essa superdimensionale. Il padre della chiesa Ignazio di Antiochia (m. 110 circa) scrive in merito: «Un astro brillò nel cielo sopra tutti gli astri, la sua luce era indicibile, e la sua no­vità stupì. Le altre stelle con il sole e la luna fecero un coro all’astro ed esso più di tutti illuminò» (Lettera agli Efesini 19, trad. it.: Antonio Quacquarelli [a cura di], I Padri Apostolici, Città Nuova Editrice, Roma, VII edizione, settembre 1991, p. 106). E nell'apocrifo Protovangelo di Giacomo (ca. 150 d.C.) i Magi descrivono la stella a Erode in questi termini: «Abbiamo visto una stella grandissima che splendeva tra queste stelle e le oscurava, tanto che le stelle non apparivano più» (21; Luigi Moraldi [a cura di], Apocrifi del Nuovo Testamento, ed. TEA, 1991, [abbr.: L. Moraldi I], p. 85)

Per gli scrittori del Nuovo Testamento, e in particolar mo­do per Matteo, l'Antico Testamento è un libro pieno di profe­zie su Gesù. Matteo fa di tutto per spiegare che tali profezie si sono ormai avverate, anche se a volte non ci riesce senza ri­correre a forzature.

Quanto a Betlemme, che, in quanto città di Davide, veniva comunque messa in relazione con il futuro Messia, Matteo menziona anche una profezia del profeta Michea.

Michea, in­fatti, parla di Betlemme come città nativa di un futuro «domi­natore in Israele» (Mi 5,1). I sommi sacerdoti (si noti a propo­sito che bisogna distinguere fra il sommo sacerdote e i sommi sacerdoti: i sommi sacerdoti sono i membri di un concistoro composto da sacerdoti e nobili laici sottoposto al sommo sa­cerdote) e gli scribi sapevano indicare a Erode il luogo di na­scita del neonato re, appunto sulla base di tale profezia: «E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capo­luogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo Israele» (Mt 2,6). Solo che in Michea si legge, invece, questo: «Sei la più piccola delle tribù di Giuda» (Mi 5,1).

Approfondendo la questione, si può osservare inoltre che la presunta identità fra il dominatore preannunciato da Michea e Gesù non sembra poi tanto convincente. Infatti, colui che viene annunciato è un condottiero sanguinario. I suoi uo­mini «governeranno la terra di Assur con la spada, il paese di Nimròd con il suo stesso pugnale» (Mi 5,5). La nota traduzione cattolica della Bibbia edita dall'editore (tedesco) Pattloch non esita a dare a questa scena all'insegna del putiferio e della strage così come viene descritta dal profeta Michea (secolo VIII a.C.), il titolo: «Nascita e opere del Messia». Quanto a tali «opere del Messia», il testo prosegue: «Il quale, se entra, calpe­sta e sbrana e non c'è scampo» (Mi 5,7). In base a questa pro­fezia sul Messia, dunque, si afferma che Gesù nacque a Betlemme (se non è nato altrove).

Ogniqualvolta Matteo pensa di aver scoperto, nell'Antico Testamento, qualcosa di somigliante a una profezia, si sforza di trovare nella vita di Gesù avvenimenti che potrebbero rap­presentare il compimento della stessa. In caso di bisogno inventa i rispettivi avvenimenti. Racconti inventati in cui si com­piono in questo modo antiche profezie, si chiamano «leggen­de di compimento» (Erfilungssagen). E’ come quando in Christian Morgenstem il Wiesel (la donnola) sta seduto sul Kiesel (il ciottolo) per far rima.

A questo proposito conviene accennare a un passo in cui una profezia dell'Antico Testamento si compie, alla maniera di Matteo, in modo assai curioso, anche se tale compimento si verifica solamente verso la fine della vita di Gesù, vale a dire nel contesto del suo ingresso a Gerusalemme. Secondo la vi­sione di Matteo tale ingresso a Gerusalemme rappresenta il compimento della profezia di Zaccaria 9,9: «Esulta grande­mente figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asi­no, un puledro figlio d'asina».

L’espressione «puledro figlio d’asina» precisa l’espressione «asino». Si tratta, pertanto, di un unico asino. L’errata interpretazione di Matteo, il quale pensa che Zaccaria parli di due asini, porta l’evangelista ad una traduzione errata: «Ora questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato scritto dal profeta: “dite alla figlia di Sion: ecco, il tuo re viene a te mite, seduto su un’asina, con un puledro figlio di bestia da soma”» (Mt 21,5). Di conseguenza, Gesù dice, secondo Matteo, prima ai discepoli: «“Andate nel villaggio che vi sta di fronte: subito troverete un’asina legata e con essa un puledro. Scioglieteli e conduceteli a me. Se qualcuno poi vi dirà qualche cosa, ri­sponderete: Il Signore ne ha bisogno” [ ... ] I discepoli andaro­no e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: condussero l'asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere (su tutt'e due gli animali!) » (Mt 21,2ss). Il sodalizio tra chiesa e stato è, comunque, in grado di suc­chiare da questa traduzione errata in Matteo miele teologico: nella sinossi cattolica della casa editrice Pattloch (1968) auto­rizzata come libro scolastico dal ministro della Pubblica Istru­zione della Renania-Vestfalia si legge: «Così Matteo testimo­nia modo suo la fede che tale avvenimento corrisponde alla volontà di Dio [ ... ] Per Matteo è, evidentemente, molto im­portante che la profezia veterotestamentaria si compia fin nei più piccoli particolari» (p. 13).

Un'interpretazione curiosa e sbagliata di un passo dell'Antico Testamento da parte di Matteo, viene quindi risanata interpretando tale malinteso come testimonianza per la fede «che gli avvenimenti corrispondono alla volontà di Dio». Tirare in ballo la volontà di Dio non sembra, però, opportuno quando si tratta di malintesi. Non c'è affatto bisogno di ravvisare la volontà di Dio anche in mezzo alle insensatezze; basta vederla nelle cose sensate. Ma accordare Dio e il buon senso è cosa che riesce a chiunque. Il nonsenso, invece, è quel fondo di caffè da cui i teologi spesso cercano di leggere la volontà di Dio: un'arte in cui questi studiosi vedono non di rado il loro compito principale.

Un detto di Gesù contenuto in un testo copto, l'apocrifo vangelo di Tommaso, ritrovato nel 1945 a Nag Hammadi nell'alto Egitto e per l'autenticità del quale depongono svariati indizi, dimostra che Gesù stesso aveva più buon senso che non i teologi con la loro capacità di raddrizzare tutto. Tale detto di Gesù suona così: «Non è possibile che un uomo cavalchi due cavalli» (vangelo copto di Tommaso, logion 47, Luigi Moraldi [a cura di], Apocrifi del Nuovo Testamento, UTET Torino, vol. I [1971], p. 491).

Alunni più piccoli, dagli otto ai nove anni circa, potrebbero non capire la teologia «bi-asinina». I teologi non hanno trascu­rato questo problema, ma per affrontarlo preferiscono passare dalla teologia alla zoologia invece di insistere ancora sulla cavalcata su due asini. Joseph Solzbacher, che vuole rispar­miare agli insegnanti di religione «un'esegesi (spiegazione del testo) complicata», ha escogitato, nel Kommentar [… ] zum Glaubensbuch fűr das 3. und 4. Schuljahr (Commento [ ... ] al li­bro della fede per la 3a e 4a elementare), una soluzione esem­plare di tale problema: l'interpretazione zoofila dell'ingresso a Gerusalemme di Gesù, di mamma asina e figlio asino, un'interpretazione a favore delle famigliuole degli animali. Egli scrive: «Gesù era seduto sull'asina? Sul puledro? Su entrambi? [ ... ] Gesù cavalcava il puledro e solo il puledro. Comunque, bisognava andare a prendere anche la madre, poiché il puledro si sarebbe impuntato se non ci fosse stata anche l'asina: non avrebbe seguito i discepoli e non si sarebbe fatto cavalca­re» (1966, p. 190).

Anche l'atroce storia di Erode il quale avrebbe fatto uccide­re i bambini maschi di Betlemme, rappresenta il compimento di una profezia.

Ma non dobbiamo rattristarci a causa di que­sta strage: tutta questa storia, infatti, è una fiaba, proprio co­me la storia dei tre Magi venuti da Oriente, e tutto ciò accad­de solo ed esclusivamente perché si verificasse una profezia.

Matteo scrive: «Allora si adempì quel che era stato detto per mezzo del profeta Geremia: un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande; Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più» (Mt 2,17s; Ger 31,15).

A Matteo non importa che Geremia parli di Rama, che si trova a otto chilometri dalla capitale in nord, e non invece di Betlemme, sita anch'essa a otto chilometri da Gerusalemme, ma in direzione sud. Del resto, Geremia non parla affatto di una strage di bambini, poiché i figli di Rachele sono, secondo lui, prigionieri, e il profeta predice: «Essi torneranno dal paese nemico» (Ger 31,16).

Il racconto della strage di bambini si trova anche in altri tempi e in altri luoghi: essa contiene un motivo ricorrente in molte fiabe e leggende. Matteo riprende questo motivo in li­nea di massima da Es 1, 15s. Ciò facendo, egli utilizza la forma che questa storia su Mosè ha assunto nell'ambito della cultura ebrea del suo tempo e che si trova anche in Giuseppe Flavio (m. 100 d.C. circa): «[ ... ] uno scriba de i sacrificij [ ... ] predisse al Re, che nascerebbe a quel tempo un fanciullo tra gli Hebrei, che abbasserebbe de gli Egitti l'Imperio, e salverebbe la natione Israelitica [ ... ) Per il qual consiglio il Re comandò che ogni maschio de gl'Israeliti nasciuto fosse nel fiume annegato [ ... ]» (Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche, II, 9,2; trad. it.: p. 52). L'inseguimento dei bambini israeliti da parte del faraone è la matrice dell'inseguimento dei bambini betlemiti da parte di Erode.

Matteo arricchisce la sua fiaba sulla strage degli innocenti ancora con alcune altre citazioni tratte dall'Antico Testamen­to che si riferiscono a uno stadio successivo della vita di Mosè, quando cioè questi era già adulto. Mosè era dovuto fuggire dal faraone perché aveva colpito a morte un egiziano (Es 2,12ss), ed era rimasto lontano dal faraone fin quando Dio gli aveva comunicato che poteva ritornare: «Sono morti quanti insidiavano la tua vita» (Es 4,19). «Sono morti coloro che insi­diavano la vita del bambino» (Mt 2,20). «Mosè prese la moglie e i figli [ ... ] e tornò nel paese d'Egitto» (Es 4,20). «Prese con sé il bambino e sua madre, ed entrò nel paese d'Israele» (Mt 2,21). Matteo riprende, quindi, gli avvenimenti di Es 1,15s (secondo la versione abbellita del suo tempo) e le frasi di Es 4,19s per comporre una nuova storia.

Certo che dimostrando come un autore abbia ripreso una storia da un altro autore, non si riesce a mettere in imbarazzo un teologo. Hermann Schelkle, per esempio, scrive: «La tradi­zione della storia dell'infanzia miracolosa di Mosè ha eviden­temente influenzato il racconto dell'infanzia di Gesù. Questo risultato della Storia delle Forme ha però anche un significato teologico: in questo modo si intende esprimere che Gesù è il nuovo Mosè» (loc. cit., p. 17). All'insegna del motto del «signi­ficato teologico» diventa possibile copiare tante cose da tanti autori facendo sì che Gesù diventi la copia di qualsiasi predecessore. In realtà, il paragone con Mosè non calza già per il fatto che Gesù non ha colpito a morte nessuno.

Quanto a Erode, sappiamo di tante infamie che egli ha commesso, ma non gli si può imputare l'assassinio dei bambi­ni betlemiti. Si tratta semplicemente di una calunnia cristiana. Del resto, un tale provvedimento da assassino non sarebbe stato necessario: infatti, chiunque a Betlemme sarebbe stato in grado di dire sopra quale casa con quale ragazzino (ci saranno stati dai 20 ai 30 ragazzini che, in questo contesto, po­tevano interessare Erode) si fosse fermata la stella seguita dalla carovana dei Magi.

Ma se davvero si volesse prendere per oro colato il racconto della strage degli innocenti, allora sorgerebbe una domanda: come mai Dio aveva salvato suo figlio, mettendo in guardia Giuseppe attraverso un angelo apparso in sogno, mentre ave­va consentito la morte dei piccoli figli di altri padri e altre ma­dri che nessuno aveva avvertito? Ma chissà, forse questa non è una domanda cristiana. Almeno papa Leone I Magno (m. 461) vede la cosa in chiave positiva: Dio concesse ai piccoli bambini morti «già la dignità dei martiri» (Sermo XXXI). Rimane aperta anche la questione del perché Maria e Giuseppe, dopo un sogno d'allarme del genere, non avessero avvertito gli altri genitori. Forse la pensavano come più tardi l'avrebbe pensata Leone Magno: era tutta una cosa positiva.

Anche se la strage dei bambini betlemiti attribuita a Erode non è che una fiaba, l'affermazione che Erode era un assassi­no di bambini è in qualche modo corretta. Egli fece, infatti, giustiziare tre dei suoi figli accusati di congiura contro il pa­dre: nel 7 a.C. i due figli Alessandro e Aristobulo avuti dalla seconda moglie Marianna (nel 29 a.C. aveva fatto uccidere an­che lei, accusata di adulterio) e poi, nel 4 a.C., cinque giorni prima della propria morte, suo figlio maggiore Antipatro, avuto dalla prima moglie Doris. Erode era stato sposato, complessivamente, con dieci donne. Augusto, considerando gli as­sassini dei figli perpetrati da Erode, pare aver detto che avreb­be preferito essere uno dei maiali di Erode piuttosto che uno dei suoi figli. In greco - e ogni romano colto di quel tempo conosceva il greco - le parole «figlio» e «maiale» suonano simili: hys = maiale e hyos = figlio. Erode, essendo ebreo, non man­giava carne di maiale, ma assassinava i propri figli.

Quanto poi ai Magi e alla loro visita a Betlemme, tutto lo scenario rimase, nonostante il fascino orientale di tali sacer­doti incantatori e divinatori, comunque troppo scarso e palli­do per non suscitare la curiosità di sapere qualcosa di più pre­ciso sul conto di questi visitatori misteriosi. La chiesa ha provveduto a colmare questa lacuna offrendo al pubblico credente una specie di teologia illustrata per spegnere la pia sete di sapere sempre di più fino a giungere alla completa soddisfazio­ne. In questo modo prese forma una delle immagini da fiaba centrali del cristianesimo. Per non pochi il centro del cristia­nesimo è proprio questa consueta immagine fantastica del pe­riodo natalizio con la mangiatoia, i re Magi, il bue e l'asino e, in mezzo a loro, «l'intima coppia e l'incantevole fanciullo dal capello riccioluto».*

All'inizio non si sapeva neppure quanti Magi fossero mai venuti da Oriente, ma questa fu la prima lacuna a venire col­mata. Dato che i doni che, secondo il vangelo di Matteo, furono portati al bambino erano tre - oro, incenso e mirra - si concluse che anche i donatori erano tre. I Magi erano tre: ec­co l'opinione professata già da Origene (m. 253; cfr. Gen. hom. XIV,3). Per papa Leone Magno era, come si vede nelle sue «Prediche per l'Epifania», ormai un dato indiscutibile che i Magi fossero tre. A mano a mano i Magi divennero dei re: dignità questa che gli fu aggiudicata definitivamente da Cesario (m. 542), vesco­vo di Arles (la Roma della Gallia), il quale era nel secolo VI il principe della chiesa più influente. Nel secolo VIII si conob­bero anche i loro nomi (Gaspare, Melchiorre e Baldassarre), nonché l'età di ciascuno: un uomo giovane, un uomo e un uo­mo vecchio. E sempre a partire dal secolo VIII, sappiamo che provenivano da tre continenti: Europa, Asia e Africa.

I loro nomi servivano a scongiurare fantasmi e demoni. La notte prima dell'Epifania (la festa dei tre re Magi) è la notte della Befana, l'ultima delle notti tra Natale ed Epifania in cui spiriti maligni passavano nell'aria. La benedizione dei tre re protegge tutt’oggi casa e bottega da cattive influenze. Incan­tesimi da Epifania (festa dei tre re Magi) scongiuravano epidemie, disgrazie e incendi. Le loro iniziali incise sulle campane delle chiese tenevano lontano il maltempo, e a tutt'oggi pro­mettono ai viaggiatori che sostano in pensioni chiamate per esempio Stern (la stella) o Krone (la corona), una sosta sicura. La stella di Betlemme ha quindi perso il suo grande e santo splendore per essere profanamente commercializzata.



* «L'intima coppia e l'incantevole fanciullo dal capello riccioluto» «das traute Paar und der holde Knabe im lockigen Ram»: allusione a un versetto di Stille Nacht, heilige Nacht (ital.: Astro del ciel) [N.d.T.]

Uno dei tre re risulta ancor oggi vivacissimo nel Kasperletheater.* Il fatto che a Colonia Gasparetto sia più vivace che al­trove non è casuale. Infatti, nel 1164 Rainaldo di Dassel (m. 1167), arcivescovo di Colonia nonché cancelliere dell'impero, fece portare con la forza le reliquie dei tre da Milano a Colo­nia. Insieme a Federico I Barbarossa, questi aveva combattuto in Italia, e per l'occasione univa la realtà profana della guerra con la realtà sacra del trafugamento di reliquie. Quale fosse la buona o cattiva stella che prima aveva guidato i tre a Milano, non lo sappiamo. Quanto poi ad alcune altre questioni, come ad esempio chi li avesse trovati e dove, e chi avesse in seguito avuto la fantastica idea che si trattasse delle ossa dei Magi, siamo completamente all'oscuro. Secondo la tradizione fu l'im­peratrice Elena, la madre dell'imperatore Costantino (la quale ogni tanto aveva visioni di luoghi e oggetti sacri) a mandarli come dono a Milano. Ma questa è un'altra fiaba.

Per chi ci crede, i tre vecchi incantatori giacciono, ormai tranquilli, dentro una grande bara d'oro all'interno dell'alto duomo di Colonia, sul Reno, aspettando che trascorra il tem­po. Qualche visitatore notturno del duomo crede di aver av­vertito, nella notte precedente la loro festa, cose misteriose intorno a questo sarcofago. Alcuni pensano addirittura di aver visto una strana luce che proveniva dalla bara, una specie di stella; altri, invece, sostengono che si fosse trattato semplicemente di un riverbero smarrito dei lampioni di Colonia.


 prima parte

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