L'espressione patto sociale a mio modo di vedere ha una valenza diversa da contratto sociale. Il patto è figlio di una visione strategica, il contratto è un elemento costitutivo della società. Oggi è di patto che bisogna parlare poiché il contrato rimanda alla filosofia della politica, il patto alla vita reale. Se la sinistra oggi vuol vincere deve abbandonare propositi pedagogici e riuscire ad immaginare una strategia che contempli il patto sociale come fattore di transizione verso una società diversa e più equa. Il patto è la risposta, la via di uscita da aporie che confinano l'equità e il giusto ai margini della politica, condannandoci (noi sinistrati) a perdere in eterno. Ovviamente il patto si fa fra componenti sociali non omogenee e separati da interessi diversi. Nella situazione italiana questo può significare un patto con una parte della borghesia o della piccola e media impresa o semplicemente con la cittadinanza tutta. Perché si è così titubanti, data l'ineluttabilità di processi produttivi necessari alla nostra economia? Un altro patto è sull'immigrazione. Dobbiamo conciliare le esigenza di giustizia con le resistenze di gran parte della popolazione. Si potrebbe immaginare di organizzare flussi controllati di immigrazione in misura proporzionale alla nostra capacità di accoglienza e di estensione di sistemi di tutela. Ma ci rendiamo conto che questo significa che l'economia deve fondarsi sul reddito garantito e sulla possibilità dello stato di contrarre debiti, necessari a finanziare, lavoro, tutele e welfare? Il nodo è sempre lì. Il liberismo ci riporta verso lo stato di natura. Lo capite perché un'inversione di 180 gradi nell'economia è necessaria come l'aria che respiriamo?
giovedì 10 ottobre 2013
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