mercoledì 6 maggio 2015

Quale Resistenza. Quale 25 aprile.

di Tonino D’Orazio 

Molta retorica. Molto tran tran mediatico. Mai come questo anno tutte le reti televisive, almeno per una settimana intera, hanno proposto film e filmati del periodo di fine guerra per il 25 aprile. Molti sulla Resistenza, altri sul fascismo. Nel frattempo si finiva a demolire la Costituzione, frutto di quella Resistenza e di quelle gloriosi morti per la libertà. Si imbrigliava il diritto di voto e di scelta dei cittadini nel infantile gioco di “asso piglia tutto”, arrogandosi, l’Esecutivo tutti i poteri.
In quasi tutti i filmati scompaiono le responsabilità collettive. Assurgono solo quelle individuali, dimenticando che se Mussolini avesse accettato le elezioni, dopo due o tre anni di “orgoglio nazionale”, sarebbe stato eletto in modo plebiscitario. Parola strana, con il termine plebe, come populismo con il termine popolo. Responsabilità collettive per il lungo e convinto sostegno dato a Mussolini che traspaiono solo in pochi fotogrammi di piazze stracolme e dell’artista all’opera sulle balconate. Il fatto è che dietro al termine “gli italiani” si possa nascondere tutto e tutti in un grande amalgama è più che reale.
Responsabilità collettiva della borghesia e delle classi dominanti che favorirono concretamente la sua dittatura. Intendo gli agrari, gli industriali, la finanza, la Chiesa, l’esercito, le lobbie, cioè quelli che, messa la museruola alla Resistenza, hanno continuato a dominare la scena economica e sociale dal dopoguerra fino ad oggi. Fino a riportarci al punto di partenza piduista: un uomo solo al comando e sempre meno democrazia reale. Ci hanno convinto con le buone, culturalmente, che “non c’è alternativa” a questa società, e legalmente con l’abrogazione sostanziale della Costituzione.
Non sanno fino a che punto si possa sfruttare e comprimere il popolo, ma si attrezzano aprendo le porte ai nuovi fascismi, a sempre nuove e sottili repressioni delle libertà individuali. A sempre meno possibilità di decisione per il voto, imbrigliandolo. A cautela. La resistenza va spezzettata e indebolita passo passo, in tempo, in base a un progetto e programma precisi. Magari con stragi, tempo fa, e paure di vario genere oggi, dallo spread all’Isis e agli immigrati.
Dall’altra parte le classi sfruttate pur concependo la necessità di una giustizia sociale, sono incapaci di realizzarla. Anzi sembrano amare e votare i loro aguzzini. Quale tipo di resistenza possibile, oggi, all’obbrobrio della miseria e della povertà di queste classi davanti a 10% della popolazione che vive un secondo Eldorado, sfacciato e tracotante, ingurgitando anche la loro anima e quella della loro nuova e già raminga prole. Con una sconfitta anche della piccola borghesia che potrebbe patteggiare con le classi subalterne e riconquistare anche lei un minimo di sopravvivenza. Sembra tardi anche per loro, si erano illusi di appartenere ad una classe unica, e non demordono ancora. Hanno appena iniziato la lenta discesa verso l’impoverimento. Hanno ancora un po’ di risparmi e di riserve accumulate per aspettare la sicura e speranzosa uscita dal tunnel. Poi dovranno pensare a come utilizzare le classi subalterne per ricominciare a tornare al comando. Ma i tempi sono cambiati e gli avversari vengono colpiti meglio quando sono a terra. Devono scomparire democraticamente affinché il duello wester possa svolgersi tra due contendenti, anche truccando le carte. Con il beneplacito di un nuovo falso Garante. Tutti iscritti all’Anpi, per maggiore chiarezza.
 

Nessun commento:

Posta un commento

Il racconto truccato del conflitto previdenziale

di Matteo Bortolon da Il Manifesto   Le pensioni sono sotto attacco. Non a singhiozzo, non in fasi circoscritte: sempre. Tale conclu...