da Orizzonte48
1. Proviamo a fare un quadro comprensivo dei più importanti elementi che determinano lo scenario economico globale, europeo e italiano.
Una
volta che, infatti, abbiamo deciso che dobbiamo rinunciare alla
sovranità perché lo Stato è brutto e porta alle guerre e alla mancanza
di cooperazione tra i popoli (!), la situazione italiana è
inevitabilmente segnata da fattori determinati a livello internazionale
e, segnatamente, sovranazionale.
Tutto questo, poi, discende dalla linea politica dei governi che si sono succeduti in Italia da almeno 30 anni, in base alla quale l'art.11 Cost., invece che come una norma di forte - se non totale- limitazione dei trattati di natura economica, e in particolare liberoscambisti, è assunto, da economisti scopertisi intepreti autentici della Costituzione, e da giuristi "ideologicamente" convinti che monetarismo e liberoscambismo portino a una maggiore crescita, come titolo giustificativo di ogni vincolo esterno derivante dai trattati internazionali.
Il quadro da delineare è estremamente complesso e, in questa sede, cercheremo di darne uno schema sintetico.
Proviamo a fare un'elencazione fondata sull'attualità, cioè su quanto i vari aspetti del "vincolo esterno", economico e sovranazionale, siano oggetto di esposizione mediatica.
Per quello che vale naturalmente: l'attenzione cronacistica dei media non significa priorità dei problemi, ma semplicemente urgenza di costruire una versione neo-orwelliana
dei vari problemi, in modo da distogliere sistematicamente l'opinione
di massa dalle cause e, possibilmente, compiere l'inversione
causa/effetti che tanto giova al controllo sociale ordoliberista-tecno-pop, alternativo alla conservazione della democrazia (sostanziale).
3. Dunque abbiamo:
a- il crollo borsistico devastante di questi giorni iniziali del 2016, in particolare nel settore dei titoli bancari. In Italia, e lo abbiamo visto da numerosi post, ciò deriva dall'esigenza
tedesca di accelerare la destrutturazione-ristrutturazione delle
economie, piegate dal mercantilismo consentito dalle regole
liberoscambiste dei trattati UE-UEM, concentrando il potere di emissione di "moneta bancaria",
e di finanziamento di ogni azione pubblica o privata, presso un
oligopolio ristretto di superbanche, estere rispetto all'Italia.
Con l'effetto, - già iniziato invero dal QE nella forma attuale, che determina un indebitamento in euro (non convertibile in altra valuta, eventualmente ridivenuta nazionale) delle banche centrali nazionali verso la BCE-, di spostare
progressivamente il rendimento dei titoli pubblici italiani e le
condizioni valutarie di restituzione della sorte capitale
corrispondente, verso le tasche e le condizioni valutarie dettate dai neo-creditori: siano essi le banche o l'ESM o l'ERF.
a.1.- Con riguardo a questo specifico aspetto, del crollo delle quotazioni azionarie bancarie, ci limitiamo a riportare questo scambio di battute:
b- l'estendersi delle difficoltà del sistema bancario a tutto il quadro mondiale del settore, includendo il caso Deutschebank che, tra smentite e "minimizzazioni",
preannunzia però che la Germania, nel caso di default di tale istituto,
ricorrerebbe senza esitazioni al salvataggio pubblico, ponendo però a
rischio, con drasticità, la tenuta del quadro istituzionale della moneta
unica.
AEP: Torna la paura sui mercati del credito europee
Di Ambrose Evans-Pritchard, 9 febbraio 2016
I problemi di credito del sistema bancario europeo sono
improvvisamente diventati enormi e iniziano a pesare sul debito pubblico
italiano, spagnolo e portoghese, riattizzando i timori del “circolo
vizioso” sovrano che mise in crisi l’Europa quattro anni fa.
“La gente è spaventata. Siamo davvero vicini a una crisi creditizia
auto-alimentata”. Ha dichiarato Antonio Guglielmi, capo della ricerca
bancaria europea presso l’italiana Mediobanca.
“Abbiamo un forte sbilanciamento sui mercati del credito. La
liquidità è completamente evaporata ed è molto difficile condurre
transazioni. Non si trovano gli acquirenti”.
Il risultato perverso è che gli investitori stanno vendendo le azioni
delle banche per sistemare le proprie posizioni, peggiorando le cose.
Marc Ostwald, un esperto di credito presso ADM, ha detto che la
terribile novità è che le difficoltà delle banche ha improvvisamente
iniziato a pesare sui rendimenti degli stati già in crisi dell’Europa
del sud.
“Il vortice della disgrazia sta rialzando la testa”, ha detto,
riferendosi al circolo vizioso del 2011-2012 quando le banche
dell’eurozona e gli stati si erano inguaiati a vicenda in un vortice
distruttivo.
Questo succede mentre i fondi sovrani del blocco degli esportatori di
materie prime e dei mercati emergenti sono costretti a vendere gli
asset stranieri a ritmo sostenuto – o per difendere le proprie valute o
per coprire le proprie spese pubbliche.
Il signor Ostwald ha detto che il fallimento del mese scorso della Banca del Giappone nel suo tentativo di far scendere i tassi di interesse in territorio negativo
ha innescato la crisi, avendo minato la fiducia nei poteri “magici”
delle banche centrali. “E’ stata indubbiamente la goccia che ha fatto
traboccare il vaso. Ha innescato il panico”.
Lo spread sui titoli italiani e spagnoli a 10 anni è balzato a quasi
150 punti base rispetto ai Bund, rispetto ai 90 punti della fine dello
scorso anno. Lo spread portoghese è balzato a 235 punti mentre il
governo di sinistra del paese si scontra con Bruxelles riguardo le
politiche di austerity.
Anche se questi livelli sono più bassi di quelli tipici delle crisi,
stanno però aumentando mentre la BCE compra il debito di questi paesi in
grandi quantità con il Quantitative Easing. L’aumento dei rendimenti è
l’antipasto di quello che potrebbe accadere se e quando la BCE dovesse
fermarsi.
Il signor Guglielmi ha detto che una delle cause principali
dell’ultima crisi creditizia è l’imposizione del nuovo, duro regime di
“bail-in” per i bond delle banche europee senza che elementi cruciali
dell’unione bancaria europea sono stati implementati.
“I mercati si prendono la rivincita. Sono stati troppo imbrigliati e
ora pretendono un agnello sacrificale da parte dei politici”.
Così Evans-Pritchard, tradotto da Voci dall'estero:
"Il signor Guglielmi ha detto che c’è una paura strisciante tra gli
investitori globali che queste misure draconiane di “bail in” possano
cristallizzarsi mentre le banche europee affogano in mezzo a 1.000
miliardi di euro di crediti deteriorati. I crediti deteriorati
dichiarati sono il 6,4% del totale, in contrasto con il 3% degli USA e
il 2,8% del Regno Unito.
La regola del bail-in è stata imposta per la prima volta a Cipro
a seguito della crisi debitoria dell’isola, togliendo ai debiti delle
banche europee il loro stato di pilastri della stabilità finanziaria, e
la loro garanzia statale implicita. Il nuovo regime è entrato in vigore
per l’intera eurozona a gennaio. Sia i debiti subordinati che quelli
“senior” devono ora sostenere il rischio di essere azzerati prima che i
contribuenti siano chiamati a contribuire nei salvataggi.
Questo meccanismo da una parte ha senso, ma ha deformato
pericolosamente la struttura bancaria dell’eurozona. I singoli stati
dell’eurozona non possono più facilmente ricapitalizzare il proprio
sistema bancario perché ciò infrangerebbe le regole UE sugli aiuti di
stato, ma non c’è nessun organismo europeo che possa sostituirli..."
c- se aumentano le prospettive autoalimentate (dalla disciplina €uropea dell'Unione bancaria!), di crisi bancaria diffusa, e dunque, in vista di una qualche forma indispensabile di '"aiuto di Stato" per il salvataggio, - autorizzabile dall'UE a certe rigide condizioni, comunque post tosatura dei conti correnti-, aumentano gli spread, si può arrivare al de-rating del debito pubblico italiano, che sotto la soglia del BBB-, attualmente posseduto, non sarebbe più acquistabile dalla BCE nell'ambito del QE.
Risultato: prima si avrebbe l'attualizzazione di una nuova crisi degli spread e poi, - a causa delle perdite sui corsi dei titoli sovrani che inciderebbero sugli attivi delle banche italiane, già messe alla prova dalla devalorizzazione dei crediti "problematici"-, seguirebbe inevitabilmente, un'ondata di vendita degli stessi, in una situazione, di rendimenti e di collocabilità del debito, che andrebbe fuori controllo;
d) da ciò, l'ulteriore conseguenza che, proprio mentre le istituzioni UE si trincerano dietro la non concedibilità all'Italia di ulteriore flessibilità
nel rientro dei limiti di indebitamento annuale legati al fiscal
compact (e alla astratta, ma del tutto velleitaria pretesa che ciò
potrebbe far diminuire il rapporto debito/PIL nei limiti previsti dallo
stesso fiscal compact), il governo italiano, prima di dover ricorrere al fondo europeo di stabilità finanziaria (ESM, con l'imposizione del consueto memorandum e del trattamento "trojka" già visto per la Grecia), potrebbe essere costretto a imporre una forte patrimoniale (le fonti parlano, forse ottimisticamente, del 2% sull'intera ricchezza privata nazionale).
Con effetti depressivi dei consumi, dei prezzi immobiliari, della domanda interna e, perciò, dell'occupazione, repentini ed immediati (come abbiamo più volte visto, in funzione della propensione marginale al consumo del risparmio e della ricchezza in genere)
e) rammentiamo, poi, che se anche non si concretizzasse questa duplice prospettiva,
- cioè di aumento verticale degli spread in conseguenza dell'esclusione
dal QE e simultanea rigidità di applicazione del fiscal compact,
inclusivo della copertura in pareggio di bilancio (!) anche degli
interventi di salvataggio bancario-, i meccanismi di normazione €uropea in attuale gestazione, guidati dalla Germania, spingono comunque per una neo-graduazione del rischio dei titoli del debito sovrano detenuti dalle banche;
cioè agisce, tale nuova "inevitabile" regolazione, svalutandoli
fortemente e portando allo stesso effetto di vendite massicce da parte
del sistema bancario nazionale, nonchè al consolidamento di enormi
perdite di bilancio (per qualche decina di miliardi) col conseguente ricorso all'ESM, a cui, nella stessa disciplina che si vuole introdurre da parte dei tedeschi, conseguirebbe l'automatico default dello Stato richiedente.
E
tutto questo, si badi, nasce dal fatto che non esiste alcuna banca
centrale che possa svolgere il suo naturale ruolo di prestatore di
liquidità di ultima istanza e di tesoriere dello Stato in casi come
questi.
Tanto che, proprio in mancanza di tale entità monetaria, si riattualizzerebbero anche le pulsioni (distruttive per l'Italia) all'introduzione del sistema dell'ERF per ridurre a tappe forzate di espropriazione di flussi fiscali e di asset pubblici, l'ammontare del debito pubblico.
f)
A questo quadro sintetizzato degli aspetti principali della situazione
creatasi a seguito della inevitabile evoluzione della disfunzionalità
dell'euroarea, e della folle volontà di preservarne AD OGNI COSTO
l'esistenza, occorre aggiungere un'altra incombente prospettiva.
Infatti, a seguito della scadenza
della clausola eccettuativa del WTO dedicata, nel 2001, alla situazione
della Cina, ai fini della liberalizzazione globale degli scambi, si porrebbe il problema del riconoscimento dello status di economia di mercato della stessa Cina.
Se la sostanza di questa clausola sia stata rispettata,
- cioè se la Cina non sia più configurabile come capitalismo "di Stato"
e non pienamente rispondente alle norme concorrenziali, sul piano
delle tutele del lavoro, previdenziali e ambientali (tra l'altro,
sebbene questo aspetto non stia, per tradizione, particolarmente a cuore
in sede WTO)- è oggetto di forti perplessità da parte di USA e Giappone: l'UE
invece, sarebbe disponibile a tale riconoscimento, ritenendolo un
effetto della scadenza automatica della clausola eccettuativa in
questione, con la conseguenza che verrebbe meno la possibilità di imporre dazi selettivi sulle merci cinesi e l'applicazione di misure antidumping.
L'arrivo di merci a prezzi "competitivi" sul mercato UE, avrebbe un impatto molto forte in termini di occupazione e di sopravvivenza del residuo manifatturiero europeo: ma, ancora di più andrebbe ad incidere sul nostro sistema industriale (ancora
sopravvissuto a austerità e insolvenze), caratterizzato da una rete (un
tempo fiorente) di PMI che verrebbe definitivamente disarticolata,
precipitando ulteriormente i livelli occupazionali (si parla di un effetto incrementale tra lo 0,9 e l'1,9% della disoccupazione:
ma spero di avere stime attendibili da economisti accreditati...nello
studio dell'economia internazionale e nella conoscenza dell'economia
cinese).
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