Le proposte tedesche si trasformano praticamente sempre in regole europee. Le due che sono state ora avanzate accelererebbero la nostra fine come paese avanzato, e Renzi e Padoan forse se ne sono finalmente accorti. Da questa trappola sembra esserci una sola possibile via d'uscita
(pubblicato su Repubblica.it il 14 feb 2016)
La distruzione della ragione è il titolo di un ponderoso saggio
in cui il filosofo ungherese György Lukács analizzò il percorso
intellettuale che aveva portato la Germania agli orrori del nazismo.
Fatte le debite proporzioni e differenze, qualcosa di analogo si
potrebbe scrivere oggi sul percorso che sta portando la Germania a
distruggere l'Europa, per lo meno quell'idea di Europa che avevano in
mente gli intellettuali di Ventotene e che per tanti anni ha affascinato
noi Italiani più dei popoli degli altri paesi.
La spirale
autodistruttiva perseguita dai tedeschi sta facendo probabilmente il suo
ultimo giro, al termine del quale si aprono scenari che sarebbe un
eufemismo definire foschi. Uno dei più probabili è quello
dell'implosione - ossia la situazione che sfugge di mano a chi oggi
determina le politiche - con conseguenze difficili da prevedere ma
certamente catastrofiche. Un altro, a cui gli allibratori inglesi
darebbero purtroppo qualche punto in più, è quello della
desertificazione economica di interi paesi (tra cui il nostro), ridotti a
colonie del nucleo centrale guidato dalla Germania. Un terzo è quello
che sarebbe auspicabile, ma non ha nessuna chance di verificarsi, ossia
la rifondazione dell'Europa, che straccia i trattati da Maastricht in
poi e li riscrive secondo una logica profondamente diversa. E' arrivato
dunque il momento, ormai non più rinviabile, di puntare tutto sul
costruire una strada diversa. Che si voglia chiamare "Piano B" o in un
altro modo poco importa: ciò che conta è che ci si renda conto che o
riusciamo a cambiare direzione subito o sarà troppo tardi per farlo.
Il motivo di
questa urgenza è in due proposte - entrambe provenienti dalla Germania -
che, se passeranno, segneranno la nostra fine come paese avanzato. La prima è quella
che vorrebbe che ai titoli pubblici posseduti dalle banche siano
attribuiti coefficienti di rischiosità corrispondenti a quelli degli
Stati, mentre ora sono considerati privi di rischio. Nei bilanci
emergerebbero perdite enormi che renderebbero necessari altrettanto
enormi aumenti di capitale, e non si vede dove potrebbero essere
reperiti tutti quei soldi. Il valore delle nostre banche crollerebbe e
chiunque le potrebbe acquistare per un tozzo di pane. Naturalmente le
banche potrebbero vendere quei titoli, ma questo provocherebbe una crisi
ancora peggiore, ossia una crisi del debito pubblico. In quel caso
saremmo costretti a ricorrere al Fondo salva-Stati, ma cadremmo dalla
padella nella brace: il piano tedesco prevede infatti che chi lo facesse
sarebbe automaticamente soggetto alla ristrutturazione obbligatoria del
debito pubblico, il che significa allungamento delle scadenze e magari
anche sospensione e riduzione degli interessi. In pratica un default
obbligatorio i cui costi ricadrebbero sui possessori dei titoli
pubblici, cioè su tutti noi.
L'altra proposta, sempre di provenienza tedesca e di recente caldeggiata in un articolo dei presidenti della Bundesbank e della Banca di Francia,
è quella di un ministro del Tesoro europeo, che assorbirebbe i residui
di autonomia degli Stati nella gestione dei bilanci. Lo scopo,
assolutamente evidente, è rendere ferreo il controllo sul rispetto del
sentiero di consolidamento dei conti pubblici previsto dal Fiscal
compact, con tanti saluti alle "flessibilità" di ogni tipo. Insomma,
un'ulteriore stretta nel senso dell'austerity, che allontanerebbe
definitivamente ogni speranza di una nostra ripresa.
Sono
proposte, ma l'esperienza di questi anni ci dice che le "proposte" della
Germania nove volte su dieci diventano regole dell'Unione. Così è
accaduto per l'impostazione del Trattato di Maastricht e dello Statuto
della Bce, così per il "salvataggio" della Grecia (in realtà delle
banche tedesche, francesi e olandesi), così per la priorità alla
politica di consolidamento di bilancio riassunta nel Fiscal compact,
così per il principio "aiuti in cambio di riforme" (le riforme che
piacciono ai tedeschi) e la centralizzazione dei controlli sulla finanza
pubblica, che erano stati annunciati
dalla cancelliera Merkel al Parlamento tedesco dicendo esplicitamente
che ne sarebbe stata forzata l'approvazione: "I nostri più stretti
alleati, i francesi, si oppongono, e così altri paesi", ma noi li
imporremo. Infatti.
E ancora, più di recente, le regole del bail-in e la sua applicazione nel caso italiano e la vicenda della bad bank per le sofferenze, formalmente gestite dalla Commissione, ma secondo le linee dettate dal governo di Berlino.
La novità è
che finalmente anche il nostro presidente del Consiglio e il ministro
dell'Economia Pier Carlo Padoan sembrano essersi resi conto che - se
finora ci stavano lentamente uccidendo - ora siamo davanti a un
programma che ci ucciderà invece velocemente. La lettera di Renzi a Repubblica
contiene quasi tutte le obiezioni alla politica europea che si sono
lette negli scritti di chi da anni ha assunto una posizione critica (e
che chi segue questo blog ha letto infinite volte). Meglio tardi che
mai, naturalmente.
Scrive Renzi:
" L'austerity non basta. E del resto i Paesi che sono cresciuti in
Europa lo hanno fatto soltanto perché hanno violato in modo macroscopico
le regole del deficit: penso al Regno Unito di Cameron che ha
finanziato il taglio delle tasse portando il deficit al 5% o alla Spagna
di Rajoy che ha accompagnato la crescita con un deficit medio di quasi
il 6%".
Insomma,
quello che scriviamo da tanto tempo finalmente lo scrive anche il
presidente del Consiglio. Attenzione, non pensiamo affatto che solo noi
che scrivevamo quelle cose le avessimo capite per tempo: ma no, non
c'era bisogno di essere geni, non era una grande scoperta. Se a livello
ufficiale queste cose non si dicevano era per ragioni politiche, per
restare allineati e coperti rispetto alla linea ufficiale imposta dalla
Germania e dalle tecnocrazie. E perché adesso si dicono? Perché siamo
davvero sull'orlo del baratro, e se si faranno quei due passi di cui
abbiamo parlato ci precipiteremo e ci sfracelleremo.
Ma Renzi
lancia il sasso e ritira la mano: "Non pongo un problema di regole, sia
chiaro. L'Italia rispetta le regole, con un deficit che quest'anno sarà
il più basso degli ultimi dieci anni (2,5%). La Germania invece non
rispetta le regole con un surplus commerciale che continua a essere
sopra le richieste della Commissione. (...) Il problema non sono le
regole, dunque; il problema è la politica economica di questa nostra
Europa".
Eh no,
presidente. Il problema sono proprio le regole, perché la politica
economica è ferreamente guidata appunto da quelle regole. Se non
cambiano quelle, la politica economica non può cambiare. Che quella
frase costituisca un diplomatico tentativo di nascondersi dietro un
dito, di fingere che si sta confermando che siamo comunque disciplinati?
Può darsi, ma così non si mette sul tavolo il vero problema, che è
esattamente questo: o l'Europa cambia radicalmente, o ci avviamo a
precipizio verso uno di quei due terribili scenari descritti all'inizio.
Che cosa si
può fare? Non possiamo nemmeno sperare, a meno di affidarsi
completamente alla fantasia, che si riesca ad imporre la riscrittura dei
trattati. Neanche se riuscissimo a stringere alleanze con il governo di
sinistra portoghese e con un eventuale governo simile spagnolo, a cui
potrebbe aggiungersi la Grecia di Tsipras: l'alleanza dei Pigs non può
sperare di cambiare l'Europa. L'unica possibilità - e quello che
dovremmo ad ogni costo ottenere - è un qualche tipo di opting out,
di esenzione dalle regole, magari definendola temporanea per salvare le
forme, come l'hanno ottenuto in alti casi altri paesi, vuoi per non
entrare nell'euro, vuoi per non aderire a Schengen (il Regno Unito, per
esempio, entrambi). Londra, brandendo l'arma del referendum "Brexit", ha
intavolato una dura trattativa per ottenere altre eccezioni alle regole
comuni e molto ha già ottenuto. Certo, per loro è meno difficile
minacciare perché sono fuori dall'euro, ma neanche per loro uscire dalla
Ue sarebbe una passeggiata. E comunque la nostra situazione è molto più
drammatica: a questo punto, rimanere a quelle condizioni non sarebbe
meno deleterio che uscire, anche se in modo traumatico.
L'unica
possibile soluzione, insomma, è "meno Europa", invece che "più Europa"
come continua a chiedere chi evidentemente non si rende ben conto della
situazione. Ma non sarebbe la prima volta che nella storia dell'unità
europea si fanno passi indietro. Nulla impedisce che in seguito si possa
riprendere il cammino unitario, come più volte è accaduto in passato;
ma non certo sulle basi attuali. Questo, anzi, potrebbe essere l'ultimo
treno per salvare l'Europa, che altrimenti va incontro a una crisi
traumatica e drammatica (e noi con lei).
Qual è
l'alternativa? Continuando a stare in "questa" Europa, guidata da questi
principi, queste regole, questa politica, il nostro (rapido) destino è
diventare la Calabria del continente, con la differenza che noi alla
Calabria qualche aiuto lo diamo, mentre l'Italia non avrebbe neanche
quello. La Germania si sta comportando come i naufraghi che colpiscono
col remo l'uomo in mare per paura che se salisse la scialuppa sarebbe
troppo carica, con il dettaglio che è tra i massimi responsabili del
naufragio. Il rischio è che qualcuno abbia la tentazione di far affogare
tutti sperando di ottenere un posto a bordo, anche se da mozzo. Non c'è
che dire, è proprio l'Europa sognata a Ventotene.
good work
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