di Carlo Formenti da Micromega
In un lungo, interessante articolo pubblicato dall’Huffington Post,
il professore Jedediah Purdy della Duke Law School esamina gli
argomenti con cui l’establishment democratico tenta di screditare la
candidatura di Bernie Sanders, dopo che l’anziano senatore del Vermont,
contro ogni pronostico, si è rivelato un pericoloso competitor per la
beniamina dell’apparato, Hillary Clinton. Purdy
esamina, in particolare, due posizioni: quella dell’economista
neokeynesiano Paul Krugman e quello di un’autorevole firma del New
Yorker, Alexandra Schwartz.
L’argomentazione di Krugman, ridotta all’osso, suona così: governare è
un compito troppo duro per un socialista democratico “idealista” come
Sanders, incapace di accettare i compromessi che ogni vero leader
politico deve necessariamente compiere. Per inciso: visto che le
proposte di politica economica di Sanders sono neokeynesiane, Krugman
confessa candidamente che le proprie idee sono impraticabili, visto che
fra tali idee e quelle liberiste tertium non datur (ove si escluda il
superamento del capitalismo). La Schwartz attacca invece sul versante
del massiccio consenso che Sanders riscuote fra giovani e giovanissimi:
ciò gli riesce, scrive, perché Sanders evoca antichi fantasmi di
“purezza”, coltiva nostalgie per un tempo immaginario in cui la politica
era più semplice e diretta. Bisognerebbe dunque aprire gli occhi ai
ragazzi e invitarli a scegliersi leader più “adulti” (come dire: Sanders
è un vecchio rimbambito).
I due approcci, nota Purdy, condividono la visione secondo cui il
tempo delle campagne è il tempo degli slogan e delle promesse, poi viene
il tempo delle scelte realistiche di chi dovrà governare. Non a caso si
ispirano entrambi a Obama, l’uomo che, dopo essere andato al potere
salmodiando “yes we can”, non ha smesso di fare guerre, ha fatto ben
poco per migliorare l’ambiente, si è accontentato di applicare
pannicelli caldi sulle piaghe di lavoro, debito studentesco,
carcerazioni di massa, ha fatto una “riforma” sanitaria che è un regalo
alle assicurazioni private ecc. Ecco perché preferiscono la Clinton:
perché sanno che le sue promesse di mettere la museruola a Wall Street
non valgono un soldo bucato in quanto, se vincerà, si guarderà bene
dall’irritare i poteri forti della finanza (i quali lo sanno tanto bene
che continuano a coprirla d’oro).
Gli argomenti di Krugman e Schwartz, continua Purdy, somigliano a
quelli di due noti intellettuali della prima metà del Novecento: Walter
Lippmann e Joseph Schumpeter, i quali erano convinti che la democrazia
altro non sia che una tecnica – da maneggiare con cautela – per ottenere
il consenso della maggioranza dei cittadini – incapaci di capire le
“leggi” del sistema politico ed economico – e mettere gli addetti ai
lavori nella condizione di fare tranquillamente il loro mestiere
(“Lasciateci lavorare” invocava Berlusconi, un grido che ritorna oggi
sulle labbra di Renzi). Per inciso, noi europei potremmo rivendicare un
pedigree ancora più “nobile” e vetusto: basti pensare agli “elitisti”
Mosca, Pareto e Michels.
Il dibattito americano ci tocca da vicino, perché la visione
“realista” della democrazia (della “democrazia reale”, per dirla con
Colin Crouch) è oggi condivisa da tutti i partiti politici che
si contendono il potere nei Paesi occidentali, ad eccezione dei
movimenti che, non a caso, vengono considerati espressione di un’ingenua
visione “populista”, perché invocano una politica in cui le parole
coincidano con i fatti. L’idea che il popolo abbia voce in capitolo su
temi “complessi” (la parolina magica per legittimare l’egemonia delle
caste) quali l’economia e le regole del gioco politico terrorizza i
padroni del vapore. Ovviamente, non c’è garanzia che una svolta
populista migliorerebbe le cose: non va infatti dimenticato che il
populismo, pur se si dichiara né di destra né di sinistra, è sempre
ideologicamente orientato: può produrre redistribuzione del reddito,
solidarietà e amicizia fra i popoli, come è avvenuto per i populismi
bolivariani, ma può anche produrre razzismo, nazionalismo e
intolleranza, come avviene con i populismi alla Salvini e alla Le Pen.
In altre parole, il populismo è oggi il terreno su cui si gioca la sfida
di un cambiamento radicale, con tutti i rischi relativi, mentre la
democrazia reale è il terreno su cui germogliano oppressione,
sfruttamento, dominio sulle masse popolari da parte dell’élite economica
e politica.
lunedì 8 febbraio 2016
L’establishment democratico contro Sanders
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