di Fulvio Scaglione da fulvioscaglione.com
Francamente mi è difficile tifare per un simile personaggio, ma le considerazioni di Scaglione sono condivisibili. I liberals e la loro dannata ipocrisia, cosa ci inducono a fare...
Chissà che Presidente degli Usa sarà Donald Trump. A
dispetto di quanto sentiamo da settimane, nessuno può dirlo. Magari
sarà un disastro, e non sarebbe il primo, alla Casa Bianca. In quel caso
prenderemo atto, e lo stesso faranno gli americani. Nel frattempo, i
tifosi travestiti da esperti (gli stessi che trovarono geniale l’idea di
invadere l’Iraq nel 2003, esclusero la vittoria della Brexit e diedero
per scontato il trionfo di Hillary Clinton) dovrebbero spiegare perché,
per dire, Rex Tillerson, amministratore delegato e
presidente di ExxonMobil e come tale conoscitore dei politici e della
politica mondiale, dovrebbe essere un segretario di Stato peggiore della
Clinton o di John Kerry. O perché l’ex generale Michael Flynn, due vite nell’esercito (una come soldato in innumerevoli missioni, l’altra come capo della intelligence
militare) dovrebbe essere per Trump un consigliere per la Sicurezza
nazionale peggiore di quanto lo sia stata Susan Rice per Obama.
Ma appunto: vedremo e capiremo. Per il momento, però, una cosa è certa: la vittoria di Trump ha fatto impazzire il sistema di potere che ha retto gli Usa negli ultimi decenni.
Basta osservare quello che succede. L’Fbi è messa sotto accusa dal
Dipartimento di Giustizia per essersi mal comportata, nel pieno della
campagna elettorale, annunciando di aver ripreso le indagini su Hillary
Clinton. La stessa Fbi che viene citata a sostegno della tesi che la
Russia ha lavorato in modo decisivo per far vincere Trump. In altre
parole: l’agenzia è credibile se dà ragione a Obama, alla Clinton e al
Partito democratico; ha torto, anzi va punita, se dubita del
comportamento di qualcuno di loro.
Sempre a proposito di Fbi. Qualcuno dei molti che lo citano ha
davvero letto il rapporto dell’agenzia sulle interferenze russe, quello
intitolato “Grizzly Steppe – Russian Malicious Cyber Activity”? Vale la pena di leggerlo perché è pieno di nulla.
Dice che i servizi segreti russi hanno penetrato le mail di un partito
politico e mandato un sacco di virus nei computer di uffici governativi,
università, think tank e partiti politici. Poi dà buoni
consigli su come proteggere il proprio computer. Non una parola su cosa
gli hacker del Cremlino avrebbero ottenuto, perché sarebbe troppo
imbarazzante ripetere che le primarie del Partito democratico erano truccate a favore della Clinton
(come risulta dalle e-mail interne al Partito democratico pubblicate da
Wikileaks). Non una parola sull’interesse del Cremlino nel far vincere
Trump.
Ed è forse questa la ragione per cui l’Fbi ora è trascinata in tribunale per ordine di Obama.
Troppo poco impegnata, l’agenzia, nel compito di diffamare Trump.
Perché è questo il vero obiettivo e lo si vede bene dall’altro rapporto,
quello intitolato “Assessing Russian Activities and Intentions in
Recent Us Elections”, firmato dal National Intelligence Council presieduto da Gregory Treverton, nominato da Obama nel 2014.
Ci sono le solite accuse alla Russia, che usa gli hacker e, non
contenta, finanzia siti, radio e Tv che diffondono il suo punto di
vista, pensa un pò. Ma il cuore del tutto sta in un piccolo paragrafo
posto verso l’inizio, che dice: “Putin ha fatto molte esperienze
positive con leader politici occidentali resi dai loro interessi
d’affari più disponibili ad accordi con la Russia, come l’ex presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi e l’ex cancelliere tedesco Gerhard Schroeder”
(pag.1). Infatti, com’è noto, e a prescindere da qualunque giudizio
politico, con Berlusconi e Schroeder questi due Paesi, Italia e
Germania, si sono sganciati dalla Nato, sono entrati in conflitto con
gli Usa e sono diventati satelliti della Russia. Chissà che cosa avrebbe scritto, il buon Treverton, se avesse conosciuto Craxi e Andreotti!
A questo punto, puntualissimo, è arrivato il dossier su Trump e le
prostitute a San Pietroburgo e Mosca, fatto filtrare ai giornali da vecchi arnesi dei servizi segreti al soldo di esponenti del Partito repubblicano.
Perché il punto è proprio questo: la vittoria di Trump rischia di
mettere in crisi un sistema di potere che negli Usa è sostenuto da
entrambi i partiti. Nel 1999, quando si trattò di bombardare la Serbia,
fu il senatore democratico del Delaware ad andare a convincere il
Congresso: tale Joseph Biden, per otto anni vice di Barack Obama alla
Casa Bianca. E nel 2003, quando si trattò di autorizzare l’uso delle
armi contro l’Iraq, 82 parlamentari democratici si unirono a 215
repubblicani per varare l’invasione.
Questo sistema si regge sulla famosa teoria della “esportazione della democrazia”, varata
nel 1989, subito dopo il crollo del Muro di Berlino, dal presidente
George Bush senior e dal suo segretario di Stato James Baker.
Una bandiera in apparenza nobile ma sventolata solo per coprire il
disegno degli Usa, teso a impedire la rinascita di Russia e Cina, a
bloccare qualunque riavvicinamento tra Russia ed Europa, a ridisegnare
il volto dei Balcani e poi del Medio Oriente. Un obiettivo strategico
caro ai vertici del Partito democratico come ai neo-con. Dopo Bush
senior, infatti, Bill Clinton, George Bush junior e Barack Obama
(distrutta la Libia, aggravata la crisi in Siria, destabilizzata
l’Ucraina. Ispirato o organizzato il golpe contro Erdogan, forse?)
sono stati i fedeli continuatori di quella linea. E lo sarebbe stata
anche Hillary Clinton, non a caso neanche tanto velatamente apprezzata
dai pezzi grossi del Partito repubblicano, i vari Bush, Romney, McCain,
se non le fosse esplosa tra i piedi l’inattesa bomba Trump.
Per questo ora Obama usa i suoi ultimi giorni da Presidente e
mette all’opera i funzionari da lui stesso nominati per screditare
l’intruso Trump, gettare le basi per un eventuale impeachment e,
soprattutto, tentare di rendere impossibile al successore qualunque
scarto dalla rotta demo-neo-con tracciata negli ultimi decenni. Vedremo
come reagirà Trump a questa campagna che è di una violenza senza
precedenti nella storia degli Usa. Ma considerato anche solo il sangue
sparso dal premio Nobel per la Pace Obama, diventa inevitabile, e
moralmente sano, fare il tifo per il palazzinaro dai capelli tinti,
buzzurro amico dei russi. Sperando intanto che sappia pure fare il
Presidente.
venerdì 13 gennaio 2017
TRUMP, ORA E’ UN DOVERE TIFARE PER LUI
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