domenica 15 gennaio 2017

Superare l'euro per rivitalizzare la democrazia costituzionale e salvare l'Europa

di Stefano Fassina da stefanofassina.it

 
La straordinaria vittoria del "No" al referendum sulla revisione costituzionale imposta dal Governo Renzi al Parlamento è stata condizione necessaria, ma non sufficiente a rianimare la democrazia costituzionale. Vi è un'altra condizione imprescindibile. È scritta magistralmente nell'art 1 della nostra Costituzione: il lavoro. La Repubblica è democratica in quanto fondata sul lavoro. Sinistra Italiana si pone  l’obiettivo di essere strumento democratico di organizzazione del fronte del lavoro per limitare lo strapotere del capitale finanzario.
La sinistra del XXI secolo è neo-umanista. Essa ha come orizzonte il lavoro di cittadinanza e, in un rapporto di interdipendenza, la trasformazione ecologica dell'economia. Il lavoro, in tutte le sue forme, di mercato e "fuori mercato", rimane capacità fondativa della dignità della persona e della cittadinanza democratica e condizione necessaria per l'ecologia integrale. L'enorme innalzamento delle disuguaglianze, anche tra gli occupati, l'impoverimento delle classi medie, l'estensione della povertà anche tra i lavoratori, la minore mobilità sociale hanno come causa prioritaria la svalutazione del lavoro e il degrado dell'ambiente. Il trasferimento di reddito a carico della fiscalità generale per chi è in determinate condizioni economiche e partecipa a un percorso di inclusione attiva è un nostro obiettivo primario, strumentale al raggiungimento del lavoro come fonte di cittadinanza.
La piena e buona occupazione, unita al protagonismo di lavoratori e lavoratrici nelle attività produttive, deve tornare al centro della nostra agenda. Va perseguita attraverso un ventaglio di interventi sinergici: politiche macroeconomiche di segno espansivo e politiche industriali orientate all'innalzamento della specializzazione produttiva; redistribuzione del tempo di lavoro di mercato e fuori mercato; il "lavoro garantito", ossia progetti di utilità sociale definiti attraverso la regia dei governi territoriali, finanziati da risorse pubbliche, gestiti dalle associazioni della cittadinanza attiva, dedicati a chi è senza lavoro. Le sinergie attivabili tra politiche economiche e ecologiche sono in grado, anche nell’immediato, di aumentare quantità e qualità del lavoro, di rivoluzionare i cicli produttivi e di innovare profondamente infrastrutture essenziali quali i trasporti, le reti dell’acqua e dell’energia.
Oggi, una faglia attraversa le nostre società. Segna il confine di vaste, contraddittorie e impervie periferie economiche, sociali e culturali. I popoli delle periferie attribuiscono alla sinistra storica la corresponsabilità del loro declino e impoverimento. Giustamente, perché la sinistra storica, dopo l'89, si è arresa e, in Europa, è stata orgogliosa protagonista dell'agenda neoliberista europea. Distante dal popolo delle periferie è spesso anche la cosiddetta “sinistra radicale”, chiusa in un cosmopolitismo astratto e aristocratico e in un esasperato individualismo sul terreno dei diritti civili, spesso declinati in contraddittoria separazione dai diritti sociali.
Il lavoro come fonte di cittadinanza e di dignità e fondamento della democrazia è una prospettiva improponibile nell'ordine del capitalismo finanziario globale. Ma tale ordine non regge più. Il 2016 segna un passaggio storico. Trump negli USA, la Brexit, la valanga di No al referendum costituzionale in Italia il 4 Dicembre sono scosse politiche di magnitudo massima, successive a tante altre scosse: dalla Grecia alla Spagna; dall'Austria, alla Francia, alla Germania, per lasciare fuori dall'analisi le vicende della UE dell'Est. SI tratta di eventi politici profondamente diversi, ma il messaggio di fondo è chiaro: l'insostenibilità per le working class e le classi medie del capitalismo neo-liberista, dei mercati globali di capitali, merci e servizi giocati sulla svalutazione del lavoro. La sequenza di risultati elettorali degli ultimi mesi è per il neo-liberismo reale quello che il crollo del Muro di Berlino è stato per il socialismo reale. Il 2016 e il 1989.
Per rinascere, la sinistra nel XXI Secolo, intesa come fronte sociale e politico del lavoro, deve guardare in faccia la realtà. Sebbene la rivolta delle periferie sia segnata da tendenze politiche e culturali fortemente improntate da partiti di destra populisti e xenofobi, noi non possiamo chiamarci fuori. Noi dobbiamo stare dalla parte giusta della faglia, senza cedere al ricatto di chi demonizza il populismo per salvare una logica “sistemica” sempre più indifendibile.
L'insostenibilità del neo-liberismo reale investe frontalmente anche l'Ue e l'euro-zona, poichè qui, con il protagonismo subalterno della sinistra storica, si sono istituzionalizzati in forma estrema i principi cardine del neo-liberismo.
Il progetto di integrazione europea è nato con obiettivi nobili e ambiziosi: garantire un sviluppo pacifico e cooperativo del nostro continente dopo la tragedia della guerra, che evitasse il riemergere degli egoismi nazionali. Da sinistra, abbiamo visto in questo progetto e nella progressiva integrazione economica e politica l’affermazione del modello sociale europeo, dei valori di sicurezza economica, promozione del benessere e libertà. Abbiamo imparato a sentirci e ci sentiamo europei oltre che italiani.
Tuttavia, anche per effetto dall’egemonia culturale del neoliberismo, si è progressivamente affermato un paradigma diverso: quello della competizione tra Stati e della supremazia dei meccanismi di mercato. Tale paradigma si è cristallizzato in un sistema di regole europee che hanno condizionato e limitato lo spazio della politica economica. L’integrazione europea, rendendo ancora più rigido ed efficace per ciascun paese il “vincolo esterno”, si è fatta veicolo di politiche di privatizzazione, di deregolazione del mercato del lavoro e di smantellamento dei diritti sociali.
La stessa moneta unica, presentata come strumento di stabilità, ha scaricato sulla svalutazione del lavoro la competizione tra i Paesi membri, a tutto vantaggio dell’interesse dei più forti tra essi. Come è ormai ampiamente riconosciuto, la sua adozione da parte di economie strutturalmente diverse, unitamente alle politiche mercantiliste attuate dall’economia più forte dell’area, ha determinato l’emergere di crescenti squilibri, deflagrati in occasione della crisi finanziaria. Nelle condizioni politiche createsi nell’Unione, l’euro ci ha resi più deboli invece che più forti: ci impone di competere nella svalutazione del lavoro; ha portato alle politiche di austerity che stanno progressivamente smantellando i diritti sociali e impediscono l’uscita dalla stagnazione; sta minando le basi di quel modello sociale che era per noi europei elemento distintivo e di orgoglio.
Occorre dunque riconoscere che l’adozione della moneta unica e del mercato unico – in assenza di adeguati standard fiscali, sociali e ambientali – è stato un errore, aggravato dall’apertura incondizionata ad Est, obiettivo che senza un reale processo di integrazione ha esasperato la concorrenza al ribasso per il lavoro subordinato e autonomo.
Un’Europa al servizio del capitale finanziario, e contro il lavoro e i diritti sociali, non è la nostra Europa. Abbiamo bisogno di un diverso modello di integrazione, che promuova la fratellanza tra i popoli.
La sinistra deve riconoscere l'assenza delle condizioni politiche per riscrivere i Trattati o per "far girare" l'euro in senso favorevole al lavoro, ossia in sintonia con le Costituzioni nate dopo la II Guerra Mondiale. Deve riconoscere il conflitto irriducibile fra i Trattati europei e la Costituzione e riaffermare il primato storico e politico di quest’ultima. Deve riconoscere che il demos europeo non esiste, a parte la upper class, cosmopolita da sempre, promotrice e beneficiaria dell'ordine vigente.
Per ricostruire la sua funzione storica, per rispondere in chiave progressiva ai popoli delle periferie, la sinistra deve riconoscere insomma la necessità e l'urgenza di superare l'euro e l'ordine istituzionale, economico e monetario ad esso connesso: un superamento in via cooperativa, assistito dalla Bce, attraverso la costruzione di un’alleanza tra forze politiche, sociali e intellettuali degli altri membri della Ue, in coerenza con la sua cultura internazionalista. Il superamento dell’ordine dell’euro è la condizione per rivitalizzare funzioni fondamentali dello Stato nazionale al fine di proteggere il lavoro da ulteriore svalutazione e rianimare la democrazia costituzionale.
In sintesi, per rigenerare la sinistra nel XXI Secolo il banco di prova è la capacità di rimettere in discussione, dopo un trentennio di subalternità culturale e politica, "il nesso nazionale-internazionale" (per riprendere il lessico di Antonio Gramsci). Quindi, per noi, vuol dire ripartire dalle città per riconquistare spazi di sovranità democratica in un'Unione europea rifondata attraverso la cooperazione tra Stati nazionali. Solo così si potrà riconciliare il progetto europeo con la Costituzione repubblicana e con il principio della sovranità popolare.

Primi firmatari
Stefano Fassina, Massimo D'Antoni, Monica Gregori, Laura Lauri, Floriana D'Elia, Lanfranco Turci, Carlo Galli, Sergio Gentili, Michele Raitano, Rosa Fioravante, Michele Prospero, Giuseppe Davicino, Chiara Zoccarato, Vincenzo Montelisciani.

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