di Stefano Fassina da stefanofassina.it
La straordinaria vittoria del "No" al referendum sulla revisione
costituzionale imposta dal Governo Renzi al Parlamento è stata
condizione necessaria, ma non sufficiente a rianimare la democrazia
costituzionale. Vi è un'altra condizione imprescindibile. È scritta
magistralmente nell'art 1 della nostra Costituzione: il lavoro. La
Repubblica è democratica in quanto fondata sul lavoro. Sinistra Italiana
si pone l’obiettivo di essere strumento democratico di organizzazione
del fronte del lavoro per limitare lo strapotere del capitale
finanzario.
La sinistra del XXI secolo è neo-umanista. Essa ha come orizzonte il
lavoro di cittadinanza e, in un rapporto di interdipendenza, la
trasformazione ecologica dell'economia. Il lavoro, in tutte le sue
forme, di mercato e "fuori mercato", rimane capacità fondativa della
dignità della persona e della cittadinanza democratica e condizione
necessaria per l'ecologia integrale. L'enorme innalzamento delle
disuguaglianze, anche tra gli occupati, l'impoverimento delle classi
medie, l'estensione della povertà anche tra i lavoratori, la minore
mobilità sociale hanno come causa prioritaria la svalutazione del lavoro
e il degrado dell'ambiente. Il trasferimento di reddito a carico della
fiscalità generale per chi è in determinate condizioni economiche e
partecipa a un percorso di inclusione attiva è un nostro obiettivo
primario, strumentale al raggiungimento del lavoro come fonte di
cittadinanza.
La piena e buona occupazione, unita al protagonismo di lavoratori e
lavoratrici nelle attività produttive, deve tornare al centro della
nostra agenda. Va perseguita attraverso un ventaglio di interventi
sinergici: politiche macroeconomiche di segno espansivo e politiche
industriali orientate all'innalzamento della specializzazione
produttiva; redistribuzione del tempo di lavoro di mercato e fuori
mercato; il "lavoro garantito", ossia progetti di utilità sociale
definiti attraverso la regia dei governi territoriali, finanziati da
risorse pubbliche, gestiti dalle associazioni della cittadinanza attiva,
dedicati a chi è senza lavoro. Le sinergie attivabili tra politiche
economiche e ecologiche sono in grado, anche nell’immediato, di
aumentare quantità e qualità del lavoro, di rivoluzionare i cicli
produttivi e di innovare profondamente infrastrutture essenziali quali i
trasporti, le reti dell’acqua e dell’energia.
Oggi, una faglia attraversa le nostre società. Segna il confine di
vaste, contraddittorie e impervie periferie economiche, sociali e
culturali. I popoli delle periferie attribuiscono alla sinistra storica
la corresponsabilità del loro declino e impoverimento. Giustamente,
perché la sinistra storica, dopo l'89, si è arresa e, in Europa, è stata
orgogliosa protagonista dell'agenda neoliberista europea. Distante dal
popolo delle periferie è spesso anche la cosiddetta “sinistra radicale”,
chiusa in un cosmopolitismo astratto e aristocratico e in un esasperato
individualismo sul terreno dei diritti civili, spesso declinati in
contraddittoria separazione dai diritti sociali.
Il lavoro come fonte di cittadinanza e di dignità e fondamento della
democrazia è una prospettiva improponibile nell'ordine del capitalismo
finanziario globale. Ma tale ordine non regge più. Il 2016 segna un
passaggio storico. Trump negli USA, la Brexit, la valanga di No al
referendum costituzionale in Italia il 4 Dicembre sono scosse politiche
di magnitudo massima, successive a tante altre scosse: dalla Grecia alla
Spagna; dall'Austria, alla Francia, alla Germania, per lasciare fuori
dall'analisi le vicende della UE dell'Est. SI tratta di eventi politici
profondamente diversi, ma il messaggio di fondo è chiaro:
l'insostenibilità per le working class e le classi medie del capitalismo
neo-liberista, dei mercati globali di capitali, merci e servizi giocati
sulla svalutazione del lavoro. La sequenza di risultati elettorali
degli ultimi mesi è per il neo-liberismo reale quello che il crollo del
Muro di Berlino è stato per il socialismo reale. Il 2016 e il 1989.
Per rinascere, la sinistra nel XXI Secolo, intesa come fronte sociale
e politico del lavoro, deve guardare in faccia la realtà. Sebbene la
rivolta delle periferie sia segnata da tendenze politiche e culturali
fortemente improntate da partiti di destra populisti e xenofobi, noi non
possiamo chiamarci fuori. Noi dobbiamo stare dalla parte giusta della
faglia, senza cedere al ricatto di chi demonizza il populismo per
salvare una logica “sistemica” sempre più indifendibile.
L'insostenibilità del neo-liberismo reale investe frontalmente anche
l'Ue e l'euro-zona, poichè qui, con il protagonismo subalterno della
sinistra storica, si sono istituzionalizzati in forma estrema i principi
cardine del neo-liberismo.
Il progetto di integrazione europea è nato con obiettivi nobili e
ambiziosi: garantire un sviluppo pacifico e cooperativo del nostro
continente dopo la tragedia della guerra, che evitasse il riemergere
degli egoismi nazionali. Da sinistra, abbiamo visto in questo progetto e
nella progressiva integrazione economica e politica l’affermazione del
modello sociale europeo, dei valori di sicurezza economica, promozione
del benessere e libertà. Abbiamo imparato a sentirci e ci sentiamo
europei oltre che italiani.
Tuttavia, anche per effetto dall’egemonia culturale del neoliberismo,
si è progressivamente affermato un paradigma diverso: quello della
competizione tra Stati e della supremazia dei meccanismi di mercato.
Tale paradigma si è cristallizzato in un sistema di regole europee che
hanno condizionato e limitato lo spazio della politica economica.
L’integrazione europea, rendendo ancora più rigido ed efficace per
ciascun paese il “vincolo esterno”, si è fatta veicolo di politiche di
privatizzazione, di deregolazione del mercato del lavoro e di
smantellamento dei diritti sociali.
La stessa moneta unica, presentata come strumento di stabilità, ha
scaricato sulla svalutazione del lavoro la competizione tra i Paesi
membri, a tutto vantaggio dell’interesse dei più forti tra essi. Come è
ormai ampiamente riconosciuto, la sua adozione da parte di economie
strutturalmente diverse, unitamente alle politiche mercantiliste attuate
dall’economia più forte dell’area, ha determinato l’emergere di
crescenti squilibri, deflagrati in occasione della crisi finanziaria.
Nelle condizioni politiche createsi nell’Unione, l’euro ci ha resi più
deboli invece che più forti: ci impone di competere nella svalutazione
del lavoro; ha portato alle politiche di austerity che stanno
progressivamente smantellando i diritti sociali e impediscono l’uscita
dalla stagnazione; sta minando le basi di quel modello sociale che era
per noi europei elemento distintivo e di orgoglio.
Occorre dunque riconoscere che l’adozione della moneta unica e del
mercato unico – in assenza di adeguati standard fiscali, sociali e
ambientali – è stato un errore, aggravato dall’apertura incondizionata
ad Est, obiettivo che senza un reale processo di integrazione ha
esasperato la concorrenza al ribasso per il lavoro subordinato e
autonomo.
Un’Europa al servizio del capitale finanziario, e contro il lavoro e i
diritti sociali, non è la nostra Europa. Abbiamo bisogno di un diverso
modello di integrazione, che promuova la fratellanza tra i popoli.
La sinistra deve riconoscere l'assenza delle condizioni politiche per
riscrivere i Trattati o per "far girare" l'euro in senso favorevole al
lavoro, ossia in sintonia con le Costituzioni nate dopo la II Guerra
Mondiale. Deve riconoscere il conflitto irriducibile fra i Trattati
europei e la Costituzione e riaffermare il primato storico e politico di
quest’ultima. Deve riconoscere che il demos europeo non esiste, a parte
la upper class, cosmopolita da sempre, promotrice e beneficiaria dell'ordine vigente.
Per ricostruire la sua funzione storica, per rispondere in chiave
progressiva ai popoli delle periferie, la sinistra deve riconoscere
insomma la necessità e l'urgenza di superare l'euro e l'ordine
istituzionale, economico e monetario ad esso connesso: un superamento in
via cooperativa, assistito dalla Bce, attraverso la costruzione di
un’alleanza tra forze politiche, sociali e intellettuali degli altri
membri della Ue, in coerenza con la sua cultura internazionalista. Il
superamento dell’ordine dell’euro è la condizione per rivitalizzare
funzioni fondamentali dello Stato nazionale al fine di proteggere il
lavoro da ulteriore svalutazione e rianimare la democrazia
costituzionale.
In sintesi, per rigenerare la sinistra nel XXI Secolo il banco di
prova è la capacità di rimettere in discussione, dopo un trentennio di
subalternità culturale e politica, "il nesso nazionale-internazionale"
(per riprendere il lessico di Antonio Gramsci). Quindi, per noi, vuol
dire ripartire dalle città per riconquistare spazi di sovranità
democratica in un'Unione europea rifondata attraverso la cooperazione
tra Stati nazionali. Solo così si potrà riconciliare il progetto europeo
con la Costituzione repubblicana e con il principio della sovranità
popolare.
Primi firmatari
Stefano Fassina, Massimo D'Antoni, Monica Gregori, Laura Lauri,
Floriana D'Elia, Lanfranco Turci, Carlo Galli, Sergio Gentili, Michele
Raitano, Rosa Fioravante, Michele Prospero, Giuseppe Davicino, Chiara
Zoccarato, Vincenzo Montelisciani.
domenica 15 gennaio 2017
Superare l'euro per rivitalizzare la democrazia costituzionale e salvare l'Europa
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