mercoledì 1 ottobre 2008

Tribunali da sogno. La psiconalisi porta i sogni in tribunale come prova di reato

Pubblicato su Associazione Italiana Psichiatri

I SOGNI ENTRANO IN TRIBUNALE E DIVENTANO PROVE.
PRETE CONDANNATO


da Kelebek

BOLZANO. Il caso don Carli si guadagna l’attenzione dei media nazionali. Del sacerdote bolzanino assolto in primo grado e condannato in appello per lo stupro ripetuto di una parrocchiana bambina si sono occupati ieri la trasmissione «Ombre sul giallo» della Rai ed il quotidiano «La Stampa». Cosa fa clamore? Semplicemente la decisione della corte d’appello di Bolzano di ritenere fonte di prova un sogno.

Come noto il sacerdote si è sempre dichiarato estraneo ad ogni accusa e la condanna in appello è giunta a conclusione di un processo altamente indiziario privo di riscontri oggettivi esterni in relazione agli episodi di violenza contestati. In realtà i giudici di secondo grado sono giunti a conclusioni diametralmente opposte rispetto a quelle del tribunale perchè hanno ritenuto credibile il racconto della presunta parte lesa basato su ricordi riemersi a distanza di anni dopo un lungo periodo di psicoanalisi. Fu l’interpretazione data dagli psicologi ad un sogno della ragazza ad avviare il procedimento e a portare sul banco degli imputati son Giorgio Carli. E’ quanto ieri hanno sottolineato anche i media nazionali. Cosa sognò la presunta parte lesa? Di essere violentata da marocchini in un bar di nome San Giorgio. Gli psicologi non diedero peso all’elemento «marocchini» e all’elemento «bar» ma agli elementi «San» e «Giorgio».

E dato che la ragazza da bambina aveva frequentato la parrocchia di San Pio X ed era seguita nelle attività giovanili parrocchiane da don Giorgio si arrivò a «decifrare» il sogno come un atto di accusa nei confronti del sacerdote.

A quel punto la ragazza iniziò a ricordare in maniera sempre più nitida sino a conclamare l’atto di accusa nei confronti del prete. Quest’ultimo (con gli avvocati Alberto Valenti e Flavio Moccia) si è sempre difeso sostenendo semplicemente che i fatti in questione non sarebbero mai avvenuti. L’assoluzione di primo grado venne motivata dai giudici affermando che la ragazza sarebbe stata soggettivamente attendibile ma non oggettivamente credibile. In altre parole la ragazza sarebbe stata convinta di dire la verità ma gli elementi di riscontro esterni si sarebbero dimostrati insufficienti a sostenere il teorema accusatorio della Procura. In appello invece i giudici hanno ritenuto la ragazza comunque credibile. Si dovrà attendere metà luglio per conoscerne le motivazioni. Poi il caso finirà al vaglio della Cassazione. Nel frattempo è stato confermato che don Giorgio (che ha lasciato per un periodo indefinitivo la parrocchia di via Gutenberg) sta svolgendo regolare attività parrocchiale giovanile in un’altra zona dell’Alto Adige. (Fonte: L'Adige)

La ragazza s’è fatta 350 sedute di psicanalisi, una particolare psicanalisi che non è freudiana né junghiana, ha discusso con l’analista e ha portato in tribunale numerosi sogni, ma ce n’è uno in particolare, in cui lei sogna violenze di marocchini in un bar che si chiama San Giorgio: nome allarmante, perché le violenze che lei denuncia sarebbero avvenute in una parrocchia che si chiama San Pio X, e il prete che le avrebbe compiute si chiama don Giorgio.

Questo sogno è sembrato determinante. Ma se fosse determinante, sarebbe il primo caso in cui un colpevole risulterebbe «incastrato da un sogno» (o, peggio, da una fantasia). E’ qui la rivoluzione. Nell’attribuire al mondo dei sogni la funzione di garanzia sul mondo reale, tanto forte da reggere una condanna pesante. In primo grado infatti (20 febbraio 2006) il prete fu assolto, ma in secondo grado (16 aprile 2008) fu condannato a 7 anni e mezzo. L’assoluzione in primo grado dipese da alcuni punti deboli dell’accusa, che il prete aveva fatto notare: se la ragazza mi avesse visto spogliato, osservò, saprebbe che sul mio corpo c’è un segno particolare (la circoncisione). Il secondo grado di giudizio fu deciso riesaminando lo stesso materiale probatorio discusso in primo grado, ma stavolta con un altro orientamento, più disposto a riconoscere una vicinanza tra sogno e realtà, tra materiale onirico e prove a carico.

Adesso si pronuncerà la Cassazione. La Cassazione è attesa a un passo storico. Quel che deciderà lascerà una traccia nella storia del diritto e nella storia della psicanalisi. Perché dovrà pronunciarsi sull’utilizzabilità del sogno in tribunale, il suo rapporto col vissuto, il grado in cui il sogno deforma o conferma la realtà, e le possibilità che la memoria, perduta per una serie di traumi, possa venir ricostruita con particolari tecniche psicanalitiche. La ragazza infatti non è andata in un’analisi freudiana o junghiana, ma s’è sottoposta a un metodo che si chiama «distensione immaginativa», che non è molto lontano dall’ipnosi. Questo metodo dovrebbe permettere alla memoria di allargarsi fino a rioccupare il terreno dal quale s’era ritirata.

Gli psicanalisti dicono che non è la biografia o la storia che genera nevrosi, ma la nevrosi che genera biografia e storia. Perciò i sogni e le fantasie si usano in analisi, non nelle aule giudiziarie. Se i sogni di coloro che vanno in analisi fossero prove a carico, non basterebbero tutte le prigioni ad accogliere i loro famigliari e amici e conoscenti. Quando leggiamo che un imputato è «incastrato dal dna, o da una scheda telefonica, o da una impronta», ci sentiamo sollevati; ma adesso leggiamo che un imputato è «incastrato da un sogno» o «da una fantasia indotta», e francamente ci sentiamo allarmati.


Nota di Kelebek:

[1] I "post-jughiani" in questione stanno a Jung come Walter Veltroni sta a Karl Marx. Infatti, qui non si vuole fare alcuna critica della psicanalisi - cosa che sarebbe molto al di sopra delle nostre possibilità - ma semplicemente dell'uso sociale, economico e politico di molte terapie.


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