mercoledì 15 ottobre 2008

Mobilità e biopotere. Note su sinistra e meritocrazia


RACCOMANDAZIONE AI COMPAGNI

 
Franco Cilli


Ho lavorato dieci anni in Veneto, in un piccolo ospedale di provincia. Ci sono arrivato grazie a un concorso, fatto nell'89, in cui mi sono piazzato ultimo, al tredicesimo posto. La cosa interessante è che in Italia non entri da nessuna parte senza raccomandazioni, nemmeno nella civile Padania, ma lì hai almeno la possibilità di piazzarti in graduatoria e aspettare la provvidenza. Così andò: entrarono prima i raccomandati e poi, pigramente, la graduatoria è arrivata fino a me, man mano che un veloce turn over, creando buchi nell'organico, permetteva un ricambio degli operatori.
Grazie a D'Alema e alla sua idea di mobilità sociale, nel '98 sono tornato nella mia regione, usufruendo di un articolo, l'articolo 39 del CCNL 1998-2001 della diri
genza del SSN, frutto se non ricordo male di uno dei governi Prodi (mi si perdoni l'approssimazione, ma ho perso il conto), il quale permetteva un trasferimento in tempi brevi da un'Aziensa sanitaria a un'altra, superando intoppi burocratici e l'eventuale ostracismo della propria amministrazione. Fu così che molti profughi sparsi fra le valli chiavennate, e le nebbie venete, passando per le brughiere piemontesi, poterono tornare in patria.
Non sarei mai riuscito a tornare nella mia città se non fosse stato per quell'articolo, per il semplice motivo che tutti, dal portantino al primario di reparto nell'ospedale in cui lavoravo (al momento sono in aspettativa), sono stati assunti tramite raccomandazione e io mi sono sempre rifiutato di farmi raccomandare. Tranne una volta, quando preso dall'esasperazione chiesi a un mio amico socialista se poteva metterci una buona parola in un dato concorso, non certo per vincerlo (il posto era già assegnato al genero del primario), ma almeno per riuscire a piazzarmi in graduatoria. Arrivai ventunesimo, fu il mio miglior risultato nella mia regione. Da allora feci le valigie e andai a cercare fortuna al Nord. Forse qualcuno è riuscito a infilarsi nelle maglie strette del sistema e a farsi assumere senza dover ricorrere alle raccomandazioni del vescovo (anch'egli sì), ma sono un'esigua, quasi inesistente minoranza. Quando c'era il manager targato AN, poi, era obbligatoria la tessera. Neanche il peggiore dei democristiani era arrivato a tanto.
Roba risaputa, si dirà, ma questa è una delle cose che più mi infastidisce dell'Italia, poichè da' l'idea dell'inamovibilità assoluta del sistema,  trasmettendo forte e chiaro un'immagine disarmante di arretratezza.
Perchè mai, in questo paese, una tipa che ho conosciuto, che dirigeva un laboratorio in un prestigioso ospedale sudafricano, quando è tornata in Italia per raggiungere i propri genitori e vivere in un posto più tranquillo, non ha trovato di meglio che un posto di sciacquaprovette in uno squallidissimo laboratorio d'analisi  privato? Perchè pochi giorni dopo aver mandato il suo CV a un ospedale inglese è stata contattata e assunta in quattro e quattr'otto da un'amministrazione che non credeva ai suoi occhi quando gli è pervenuto un curriculum con quelle referenze? Ve lo immaginate? In Italia avrebbe dovuto fare un concorso per una posizione largamente inferiore alla sua, senza alcuna speranza di vincerlo, poiché guarda caso quel consorso, truccato, sarebbe stato fatto ad hoc per fare entrare il figlio del primario x, o il raccomandato del politico o del sindacalista y, sempre se non ci si mettevano di mezzo le tonache o altri enti "benefici".
Perchè meravigliarsi? Rubbia è stato escluso da un concorso in Puglia per far posto a uno dei tanti gaglioffi con targa di partito. Nemmeno Einestein sarebbe stato assunto da un'università italiana senza raccomandazione.
Al di là della facile indignazione, dico questo perchè ritengo che la sinistra anche in questo caso sconta un ritardo cronico, causato probabilmente dal pregiudizio e dall'ideologia.
Per anni si sono fatte solo dichiarazioni generiche sull'universalità dei diritti, sulla sanità pubblica, sulla scuola pubblica eccetera, cose giustissime in linea di principio, ma lontane dalle ossa e dal sangue  di chi nel pubblico ci lavora e si becca travasi di bile quotidiani perché le cose non funzionano, perchè l'organizzazione del lavoro è una "disorganizzazione" del lavoro a tutto vantaggio dei cantori del privato e dei soliti furbi e perchè si vede passare avanti incompetenti con la boria di chi ha la protezione in alto. Diciamocelo pure, per anni si è accettato il sistema delle raccomandazioni, tacendo o addirittura essendo conniventi con esso (anche i compagni tengono famiglia). Per anni il discorso sull'etica è stato derubricato come impolitico e relegato in second'ordine, abbandonadolo ai richiami sguaiati di qualche moralista ipocrita o alla solerzia di persone con una moralità all'antica, ma senza voce. Finalmente adesso, dopo tanti bei discorsi, a sinistra si comincia a ragionare sullo specifico delle cose, maturando conoscenze, professionalità e competenze anche negli aspetti gestionali del sistema, e molti operatori si stanno riavvicinando. Finalmente il discorso etico non è più necessariamente giustizialismo e moralismo borghese. Per anni una certa sinistra ha individuato nella scienza e nell'organizzazione dei rapporti di lavoro l'insieme degli strumenti del "biopotere". Cazzate. Stupidaggini, come sono stupidaggini tante altre cose della sinistra, che per fortuna oggi appaiono superate. C'è ancora molto da fare e da inventare, ma almeno ci siamo lasciati dietro l'era del "compagni il discorso è politico", come se politico significasse abdicare alla realtà quotidiana per rivolgersi a suggestioni meno prosaiche come "l'analisi della fase" o delle nuove soggettività.
Andiamo avanti.

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