lunedì 20 ottobre 2008

Fondazioni e ricerca

Riportiamo una parte dell’intervento che il Prof Di Orio, rettore dell’Università dell’Aquila, ha tenuto in occasione della “Conferenza Programmatica Regionale”- Il Cantiere del Programma - di Rifondazione Comunista a Pescara, il giorno 4 Ottobre. Uno dei temi toccati è rappresentato dalle fondazioni, un argomento molto in voga ultimamente.

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UNIVERSITÀ E RICERCA

Il problema fondamentale per il sistema dell’ “innovazione ricerca sviluppo” riguarda sostanzialmente l’acquisizione di risorse soprattutto finanziarie, ma anche umane e organizzative, alla scala necessaria per conseguire le indispensabili masse critiche.

In tale prospettiva, possono svolgere un ruolo importante le Fondazioni universitarie, che possono rappresentare strumenti essenziali per il reperimento di nuove risorse finanziarie e per l’utilizzazione dei risultati della ricerca scientifica.
Le Fondazioni Universitarie rappresentano ormai una realtà consolidata. Previste dalla Legge Finanziaria 2001 e dal DPR 254/2001, sono state promosse sinora da molti Atenei con le finalità di acquisire risorse finanziarie per il sistema universitario, di favorire la ricerca applicata e la formazione, di diffondere una cultura per lo sviluppo economico, anche attraverso iniziative congiunte tra università, aziende, istituti bancari, centri di ricerca ed enti pubblici.
Le Fondazioni già costitute sono 12 (Fondazione Politecnico di Milano; Fondazione Marco Biagi – Modena; Fondazione Università IULM – Milano; Fondazione Università degli Studi di Salerno; Fondazione Università G. D’Annunzio; Fondazione Università Teramo; Fondazione dell’Università degli Studi dell’Aquila; Fondazione Politecnica delle Marche; Fondazione N. Copernico – Ferrara; Fondazione Universitaria Azienda Agraria – Perugia; Fondazione Università Mediterranea –Reggio Calabria; Fondazione Università IUAV - Venezia).
Mentre altre quattro sono in via di costituzione (Fondazione Università di Padova; Fondazione Università della Basilicata; Fondazione Università di Palermo; Fondazione Università di Pavia).
In questa sede mi limiterò a ricordare tra le attività esercitabili dalle Fondazioni previste dall’art. 2 comma 2 quelle più importanti ai fini del rapporto tra Università e sviluppo del Territorio:

A) Promuovere la raccolta di fondi privati e pubblici e la richiesta di contributi pubblici  e privati locali, nazionali, europei ed internazionali da destinare agli scopi della fondazione;

B) Stipulare contratti, convenzioni, accordi o intese con soggetti pubblici o privati;
C) Amministrare e gestire beni di cui abbia la proprietà o il possesso, nonché le strutture universitarie delle quali le sia stata affidata la gestione;
D) Sostenere lo svolgimento di attività di formazione, ricerca e trasferimento tecnologico, anche attraverso la gestione operativa di strutture scientifiche e/o tecnologiche degli enti di riferimento;
E) Promuovere la costituzione o partecipare a consorzi, associazioni o fondazioni che condividano le medesime finalità, nonché a strutture di ricerca, alta formazione e trasferimento tecnologico in Italia e all’estero…

L’esigenza di garantirne una maggiore incisività e un migliore coordinamento a livello nazionale alle Fondazioni esistenti, è stata recentemente riconosciuta attraverso la recente costituzione di un’Associazione che dovrà svolgere una funzione determinante nell’ulteriore crescita, anche numerica, delle Fondazioni stesse, nella condivisione delle loro esperienze e nella promozione di iniziative connesse allo sviluppo della società della conoscenza.



Ricerca, innovazione e sviluppo economico

È stato osservato come tra l’andamento della ricerca (numero di articoli scientifici) e l’andamento dei brevetti vi sia tra Europa e Stati Uniti un comportamento divergente e cioè in Europa sono in crescita gli indicatori che misurano l’output della ricerca (numero di articoli, impact factor, ecc.) mentre negli Stati Uniti è in crescita il numero di brevetti che è l’indicatore principale per valutare il trasferimento tecnologico. Ciò vuol dire che in Europa e, in modo ancora più stridente in Italia, l’aumento nella produzione di conoscenza non si straduce in un maggior utilizzo della conoscenza stessa.

Contemporaneamente, si è assistito ad un fiorire di istituzioni di varia natura a livello europeo (come il Technological Tranfer Networks - TTN), nazionale e regionale (agenzie regionali o nazionali di trasferimento tecnologico, parchi scientifici tecnologici, stazioni sperimentali ecc.).
Compito di queste istituzioni è di organizzare dall’alto l’interazione fra impresa e ricerca pubblica, favorire la diffusione della conoscenza del patrimonio di know-how tecnologico disponibile nel territorio, indirizzare la ricerca pubblica verso obbiettivi industriali, far collaborare fra loro le imprese e le università. Nella sostanza si cerca di ottenere con una pianificazione dall’alto, e con strutture appositamente costituite, quei trasferimenti tecnologici che il sistema non ha prodotto spontaneamente.
In Italia, a livello centrale, e in alcune regioni a livello periferico (Emilia Romagna e Lombardia per citare gli esempi più emblematici) sono nate una pluralità di iniziative di creazione di interfacce dell’innovazione. Poco è stato fatto con la dovuta continuità per fare in modo che all’interno del mercato, del sistema industriale e di quello finanziario si sviluppino le condizioni - e i finanziamenti necessari - per il trasferimento tecnologico. In Italia occorrerebbe in primo luogo rimuovere quelle situazioni che scoraggiano investimenti nella ricerca di frontiera e negli spin-off di alta tecnologia, in particolare:

1.  I diritti di proprietà intellettuali non sono protetti sufficientemente;

2.  Le leggi fiscali, non creano sufficienti incentivi per gli investimenti in ricerca e sviluppo;
3.  Il capitale di rischio, come già detto, è quasi impossibile da ottenere.

Le politiche necessarie per promuovere meccanismi di trasferimento sono state già individuate e richiedono:

•  una legislazione sui diritti di proprietà intellettuale nei brevetti che protegga l’attività inventiva di tutti i ricercatori, privati e pubblici, e consenta loro di fruire adeguati ritorni economici;
•  incentivazioni economiche per l’attività di brevettazione altrimenti possibile solo nelle imprese medio grandi ma inaccessibile alle piccole imprese, alle Università e ai ricercatori universitari;
•  l’ampliamento della base di deducibilità delle erogazioni delle imprese a favore della ricerca pubblica;
•  la concessione di crediti di imposta a fronte delle spese sostenute dalle aziende per attività di ricerca;
•  leggi di incentivazione che favoriscano gli investimenti in iniziative di ricerca o ad alto rischio tecnologico effettuate dal sistema finanziario;
•  leggi sugli intermediari finanziari che facilitino la creazione di società di venture capital orientate alle imprese hi-tech;
•  la creazione di una Borsa azionaria dedicata a imprese hi-tech.
Il finanziamento diretto delle imprese, erogato a livello nazionale, sembra essere meno efficace in quanto non risulta mai accompagnato da una seria attività di controllo che è l’unica che garantisce che le iniziative finanziata si traducano effettivamente in attività di ricerca e trasferimento tecnologico.
Diverso è il discorso dell’intervento a livello regionale, in questo caso l’attività di controllo e pianificazione sarebbe possibile e potrebbe essere efficace.
È di esempio per tutti il modello dell’Emilia Romagna in cui gli interventi regionali sono riusciti ad aggregare le imprese a livello locale sia tramite centri di servizi alle imprese che tramite il potenziamento dei distretti produttivi utilizzando la legge 317/1991 e da ultimo tramite i sistemi territoriali locali in cui accanto alle imprese si inseriscono i centri di ricerca pubblici e le Università.



La rottura di vecchi schematismi nel rapporto tra Università e Industria

Il fenomeno “spin-off”, con la presenza di società al confine fra Università ed industria, pur nella attuale limitatezza numerica, ha rappresentato un fattore di rottura di vecchi schematismi presenti sia all’interno del sistema universitario sia di quello produttivo.

In ambito industriale, infatti, per anni è stata sottovalutata l’esigenza del continuo aggiornamento delle conoscenze come elemento di competitività delle imprese, con la conseguente necessità di un rapporto costitutivo con Università e centri di ricerca. L’industria ha, invece, privilegiato la collaborazioni con singoli ricercatori per consulenze o l’utilizzazione di laboratori per prove specifiche nella forma di prestazione in conto terzi.
In modo speculare l’Università è stata sin qui permeata da una cultura che vedeva il ricercatore come parte di una comunità scientifica, i cui criteri metodologici, la valutazione del merito, i valori epistemologici, morali e sociali avevano valenza universale e non interagivano con la natura dei problemi espressi dal territorio e dal tessuto economico. Allo stesso modo alla ricerca scientifica non veniva attribuita alcuna accezione di tipo utilitaristico. Questo modello, che è stato validissimo per molti aspetti ed ha prodotto ricerca anche di elevatissima qualità, è stato però deficitario in un punto cruciale: non è riuscito ad interagire in modo significativo con il sistema industriale, ha vissuto in modo parallelo ad esso e quindi non ha prodotto innovazione tecnologica.
La presenza di società di spin off universitario, alcune delle quali insediati nel territorio e nelle zone industriali, il loro muoversi contemporaneamente nel mondo universitario e in quello dell’impresa tendono a scardinare questa separazione e tendono a porre in modo diverso e di maggior efficacia il rapporto impresa-università.
Ciò a maggior ragione in un momento storico in cui il progresso della società è basato sul binomio conoscenza-innovazione e, conseguentemente, viene attribuito un valore economico alla conoscenza e in generale a tutto ciò che costituisce un “bene immateriale”.


Una legge regionale per la ricerca, l’innovazione e l’Università

Per troppo tempo la Regione Abruzzo ha dimostrato scarso interesse nei confronti del sistema universitario, che oggi con i suoi tre Atenei e con i numerosi poli decentrati, è diffuso su tutto il territorio regionale. Il recente svolgimento della “Prima Conferenza sulle strategie per la ricerca e l’innovazione in Abruzzo” svoltasi all’Aquila il 19 maggio 2006, promossa e organizzata congiuntamente dal Comitato di Coordinamento regionale delle Università Abruzzesi e dalla Regione Abruzzo, ha rappresentato una significativa inversione di tendenza.

In tale prospettiva, la formulazione di una legge regionale finalizzata alla promozione, valorizzazione, sviluppo e diffusione della cultura umanistica e scientifica, della ricerca e dell’innovazione tecnologica; al sostegno dei luoghi dove si formano, si condividono e si diffondono le conoscenze scientifiche; a favorire l’interazione fra i saperi, al servizio dello sviluppo culturale e socio-economico del territorio e al miglioramento della qualità della vita; a creare e potenziare reti di eccellenza e incrementare gli scambi e la cooperazione scientifica internazionale.
Una Legge regionale in grado di assicurare risorse ai Centri di eccellenza e alle Università abruzzesi e che, nella finalità di regolamentazione e  implementazione di tutto il sistema regionale abruzzese delle ricerca e dell’innovazione, abbia ben chiaro il legame strettissimo e irrinunciabile tra questo, la Scuola e le Università pubbliche.
Un Osservatorio regionale per l’Università può inoltre rappresentare l’organo di supporto alle decisioni e alla programmazione in materia di sviluppo del sistema universitario, dei servizi per il diritto allo studio e all’implementazione dei rapporti tra Atenei, Amministrazioni pubbliche, forze sociali ed economiche, popolazione studentesca.


Considerazioni conclusive

Il complesso di dati qui sinteticamente evidenziati permette di delineare un quadro di difficoltà strutturale del Mezzogiorno, cui si è accompagnato nell’ultimo quinquennio anche un peggioramento congiunturale dei livelli relativi, in particolare nei confronti delle regioni più deboli dell’Unione. In questo contesto nazionale e meridionale, non può essere di conforto il fatto che l’Abruzzo si posizioni, rispetto a molti indicatori, al vertice delle regioni meridionali. L’analisi degli indicatori consente di individuare alcune aree specifiche di debolezza competitiva, e quindi di delineare una sorta di “agenda prioritaria” di intervento: Il deficit di dotazione di infrastrutture strategiche; l’insufficiente livello di spesa pubblica per ricerca e sviluppo; la bassa quota di laureati in materie scientifiche; l’insufficiente volume di investimenti esteri; la scarsa apertura dei mercati. Questi punti sinteticamente rappresentati devono diventare target da monitorare al fine di verificare la reale capacità della politica di coesione nazionale e regionale di incidere sulle determinanti del ritardo di sviluppo.

In Abruzzo, nel processo di interazione tra ricerca, formazione, trasferimento tecnologico operano una pluralità di attori di cui i principali sono il sistema formativo – ed in particolare le le UniversitàAbruzzesi - il sistema delle autonomie locali, e gli enti che esplicitamente sono stati creati per iltrasferimento tecnologico e per il supporto delle imprese. È necessario che queste diverse forze acquistino la capacità di fare sistema e cioè di coordinare in modo esplicito gli sforzi per il  raggiungimento di un obiettivo. Il sistema formativo ed in particolare l’Università rappresentano punti di forza – sebbene non esclusivi – del sistema abruzzese, che sicuramente potrà e dovrà ulteriormente rafforzarsi in futuro, anche in relazione ad una nuova mission emergente dell’Università, che consiste nella valorizzazione economica dei nuovi saperi e nella loro trasformazione in risorsa strategica per ilterritorio.
Se investire ancora di più sull’istruzione e sulla formazione rappresenta un elemento necessario, può tuttavia non essere sufficiente per garantire lo sviluppo del sistema, senza una contemporaneapresa di coscienza da parte dell’impresa e di tutto il sistema produttivo, finalizzata alla crescita economica e alla predisposizione di adeguate politiche industriali e di sviluppo. Ciò significa anche investire su strumenti innovativi di azione che colleghino più direttamente il sistema formativo con il tessuto economico territoriale (crediti per la formazione, prestiti d’onore per progetti individuali di formazione e stage, spin-off per l’innovazioni tecnologica derivati dalla ricerca universitaria, ecc.), e consentano di mettere in rete le Università, i Centri di ricerca presenti sul territorio e il sistema produttivo. Tra i possibili campi di interazione con il territorio sono: il trasferimento tecnologico, il partenariato con le imprese e l’incubazione di nuove imprese; la diffusione della cultura scientifica; il dialogo tra ricercatori e cittadini; la promozione del lavoro intellettuale; la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, artistico e naturale; la vivibilità urbana e la sostenibilità dello sviluppo territoriale; l’attenzione alla salute e la sicurezza dei cittadini, la cura e i servizi alla persona.
L’attività di trasferimento tecnologico al sistema produttivo può determinarsi anche mediante percorsi formativi sul campo che, prendendo origine dall’Università stessa, portino i giovani a svolgere tesi di laurea mirate allo specifico progetto di ricerca, per svilupparsi con contratti di progetto post-laurea e completarsi poi con il definitivo ingresso dei “giovani tecnologi” all’interno del sistema produttivo. Perché quanto prima esposto possa davvero diventare prassi consolidata anche in Abruzzo, è necessario che il sistema “innovazione-ricerca-sviluppo” abruzzese si proponga, con indipendenza e autorevolezza, al rapporto e al confronto con la società, con le altre istituzioni, con l’opinione pubblica, con il contesto regionale nella sua globalità, declinando il suo ruolo di servizio in modo strategico e con spirito propositivo e propulsivo.

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