venerdì 17 ottobre 2008

Derivati


FuturesCOSA SONO I DERIVATI
di Vincenzo Comito


Si chiamano così quegli strumenti finanziari il cui valore deriva da quello delle attività sottostanti, quali valute, merci, titoli, crediti, indici finanziari o di altro tipo, o anche altri derivati (!!). Sono nati per coprire le imprese ed altre istituzioni da una serie di rischi legati alle loro attività, quali il rischio di cambio, quello di tasso di interesse, il rischio di oscillazione dei prezzi delle materie prime e si sono poi estesi ad altre aree, quale quella del rischio di credito (di questi ultimi contratti si è molto parlato negli ultimi tempi in relazione alla crisi finanziaria del luglio scorso). Oggi vengono però usati anche per fini diversi da quello della protezione, alcuni dei quali certamente meno nobili.
Le principali categorie di derivati di base utilizzate oggi sono:

- gli swap

- i future
- i forward (molto simili al future concettualmente ma differenti nell'operatività)
- le opzioni

Esistono poi innumerevoli prodotti derivati da quelli base, tra i quali ricordiamo i forward rate agreement, i warrant, i cap, i floor, i collar, i titoli cosiddetti sintetici. In gergo si parla anche di contratti plain vanilla, per caratterizzare quelli più semplici, di base, e di contratti esotici, con riferimento a quelli più sofisticati. La maggior parte dei giornalisti non ha assolutamente idea di quel che dice quando usa questi nomi a farcitura di fumosi articoli sulla finanza. Proviamo quindi a fare un po' di chiarezza.


I CONTRATTI DI SWAP

vengono stipulati tra due controparti che hanno accesso a due situazioni finanziarie distinte (a livello di tasso di interesse o di valute), a condizioni differenti l’una dall’altra.
Con questi contratti si possono scambiare un tasso di interesse fisso con uno variabile, un importo in una valuta con un importo in una valuta diversa. Ad esempio, un’impresa italiana che abbia esportato merci negli Stati Uniti con pagamento in dollari a sei mesi (periodo nel quale dovrebbe quindi affrontare il rischio che il dollaro si deprezzi nei confronti dell’euro) potrebbe cancellare tale rischio scambiando questo importo con quello di un’impresa statunitense che abbia esportato merci in un paese europeo con pagamenti in euro, sempre a sei mesi. I due contraenti normalmente non si conoscono ed ecco allora intervenire una banca o un’istituzione finanziaria che funge da intermediario.
Naturalmente, bisognerà pagare alla stessa banca una commissione per il suo servizio.

I FUTURE

sono contratti per l’acquisto o la vendita di quantità standardizzate di merci, di valute, di attività finanziarie, ad un prezzo ed ad una data futura prestabiliti. Sono trattati in borse specializzate, con l’apprestamento di una serie di strumenti di tutela per i contraenti. Esiste una gamma molto vasta di future.

L'OPZIONE

a sua volta, consiste in un diritto, ma non in un obbligo, a comprare o a vendere un certo bene (adesempio, un titolo azionario) ad un prezzo prefissato, entro o ad una certa data. Si distinguono opzioni call, che danno il diritto di comprare un certo bene, da opzioni put, che danno invece il diritto di vendere. Le opzioni presentano alcune caratteristiche specifiche, quali quella della perdita limitata - le perdite sono circoscritte alla somma pagata per acquistare l’opzione - mentre si può beneficiare di un elevato profitto potenziale legato all’andamento del titolo sottostante; la caratteristica della perdita limitata non si estende peraltro a tutti i tipi di derivati, anzi in alcuni casi tali perdite possono essere molto importanti - nonché quella dell’elevato potenziale di leva a fini speculativi - per ottenere cospicui profitti può bastare l’impiego di una somma di denaro relativamente ridotta.
Qualche brevissima informazione sugli altri prodotto elencati: con il contratto cap si stabilisce che, in una data futura prefissata, se il tasso di interesse concordato alla stipula di un contratto, ad esempio di prestito, supera un valore di riferimento prestabilito, il venditore pagherà all’acquirente un importo pari al differenziale tra i due tassi.
Il contratto floor è l’opposto di quello cap e scatta quando il tasso di interesse effettivo si dimostra inferiore a quello prestabilito.
Il collar unisce le caratteristiche del cap e del floor e consiste così nel predeterminare una banda vincolata di oscillazione per il tasso di interesse, con un livello minimo ed uno massimo di tassi di interesse stabiliti con criteri ex-ante.

Un po’ di storia
I contratti derivati hanno una storia molto lunga. Già nel Medioevo e nel Rinascimento forme relativamente semplici di tali tipologie di contratti erano usati, tra l’altro, in alcune città italiane, che erano allora alla guida dell’economia europea. Forme sofisticate di opzioni e future si ritrovano poi utilizzate ampiamente, nel Seicento, alla borsa di Amsterdam.
Tali complesse tecniche diedero anzi lo spunto a Josè Penso de la Vega, un ebreo portoghese rifugiatosi ad Amsterdam per sfuggire agli orrori delle persecuzioni religiose, nello scrivere un volume dall’espressivo titolo: Confusion de Confusiones, nel quale si dissertava con ironia e disprezzo su tali complicati ed astrusi meccanismi.
Naturalmente, già allora tali tecniche si prestavano facilmente ad abusi, truffe, manipolazioni. Così in Inghilterra, nel 1733, dopo uno scandalo borsistico, la legge proibì alla borsa londinese la contrattazione di opzioni e future.
Venendo a tempi almeno relativamente più recenti, negli Stati Uniti un mercato dei future sulle merci agricole è esistito sin dai primi anni dell’Ottocento, mentre nello stesso paese un mercato future dei prodotti finanziari si è affermato a partire dal 1972, in coincidenza con le incertezze sugli andamenti dei tassi di interesse, di inflazione, di cambio, portate dalla soppressione del sistema dei cambi fissi di Bretton Woods. La necessità di meccanismi di protezione si fa più accentuata con la crisi petrolifera del 1973 ed opzioni sui titoli azionari sono state lanciate nello stesso anno al Chicago Board Options Exchange. Presso tale mercato oggi si trattano opzioni sulle azioni, sulle obbligazioni, sulle monete, sui metalli e su vari tipi di indici. Tali prodotti si sono diffusi poi, più o meno velocemente, al resto del mondo, sino ad acquisire oggi un’importanza fondamentale.
I derivati comportano un forte legame tra i singoli mercati; i mercati dei derivati e quelli delle borse, quelli monetari e delle diverse valute e dei diversi paesi, sono resi interdipendenti da una fittissima rete di contratti e di connessioni.
Essi oggi vengono negoziati sia nei mercati ufficiali, in borsa, sia nei mercati over the counter, cioè fuori borsa, tramite in sostanza reti telefoniche attivate in genere dalle banche o da altre istituzioni specializzate.
L’insieme degli strumenti elencati ha avuto un fortissimo sviluppo nell’ultimo periodo.
Già nel giugno 2004 il mercato over the counter aveva raggiunto, secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali, un valore totale di 220 mila miliardi di dollari; alla fine del giugno 2007 eravamo ormai a 430 mila miliardi. Va peraltro ricordato che le statistiche ufficiali hanno rilevanti difficoltà a registrare la reale dimensione e natura delle transazioni che si svolgono in tale mercato.

I vantaggi ed i problemi

Tale importante sviluppo del mercato si spiega, oltre che con la possibilità di mitigare alcuni rischi, anche con la riduzione dei costi di copertura, con l’incremento che essi comportano nella liquidità e quindi nel funzionamento dei mercati finanziari, con i progressi recenti nel campo della teoria finanziaria, che permettono misure dei rischi e del valore dei vari strumenti molto più precise di una volta - di recente è stato anche assegnato un premio Nobel per l’economia ad uno degli inventori di una formula matematica in grado di permettere di calcolare il valore di un’opzione - nonché, infine, con le grandi possibilità di arbitraggio offerte dalle differenze di regolamentazione a livello internazionale.
Ma va anche ricordato che la creazione di tali strumenti non ha avuto soltanto effetti positivi. In effetti, mentre il loro scopo di base sarebbe quello di ridurre il rischio delle imprese e di altre istituzioni, non sempre con le singole operazioni si riesce a farlo completamente; d’altra parte, l’utilizzo di tali strumenti tende a gonfiare l’attivo e il passivo di bilancio, sia delle imprese produttive che di quelle bancarie, e pertanto, paradossalmente, tende adaumentare la necessità di un’efficace gestione del rischio complessivo, mentre rende di più difficile comprensione i dati di bilancio stessi.
Uno dei dati della crisi finanziaria di luglio-agosto 2007 è proprio quello che, a forza di usare derivati sempre più complessi, molte banche non sanno più alla fine quanti debiti hanno e verso chi. L’emergere di questi nuovi strumenti contribuisce ad aumentare la volatilità dei mercati, spostando contemporaneamente l’attenzione degli operatori dal mercato di base del risparmio e dell’investimento e accrescendo quella verso la speculazione, nonché, più in generale, verso i rendimenti e l’ottica di breve termine. Mentre, in effetti, l’obiettivo originario dei derivati è quello di strumenti di tutela contro i rischi, essi possono essere anche adoperati a fini speculativi, anzi sono ormai molto più adoperati a fini speculativi che a fini di protezione.
Negli ultimi anni essi sono anche stati usati per nascondere delle perdite di bilancio, per spostare in avanti un indebitamento difficilmente affrontabile sul momento - cosa che è, tra l’altro, successa di recente a molti enti pubblici italiani, come ci mostrano le cronache di queste settimane - per eludere le leggi nel settore finanziario, per evadere le tasse, ecc. Si tratta, per la verità, come già accennato, di strumenti spesso di difficile o difficilissima comprensione in tutte le loro implicazioni e questo spiega il fatto che essi possono portare, paradossalmente, a perdite enormi ed, in caso di crisi dell’economia, possono accentuare, attraverso la stretta connessione che essi attuano tra i vari mercati finanziari, l’instabilità sistemica.
Grandi perdite, dovute a frodi da parte di alcuni operatori e/o ad un’insufficiente comprensione del funzionamento dello strumento da parte degli utilizzatori - anche negli ultimi anni, non soltanto nel Seicento e Settecento - hanno costellato la storia dei mercati, dallo scandalo della Long Term Capital Management - nella cui direzione pure prestavano la loro opera due premi Nobel per l’economia - , a quello della Enron, a quello infine della Italease; essi hanno attirato l’attenzione sui derivati più sofisticati, ma possono registrarsi, attraverso tali strumenti, anche rischi di credito, rischi legali, rischi di mercato, rischi di sistema, come, di nuovo, la recente crisi finanziaria ha ampiamente mostrato.
La difficoltà di comprensione piena di tali strumenti da parte degli operatori ha comportato a suo tempo, quando essi hanno cominciato ad essere importati in Italia dalle grandi banche anglosassoni, la conseguenza che banche italiane hanno pagato costi pesantissimi a quelle estere prima di riuscire ad impadronirsi in qualche modo dello strumento; molte di esse, ora, insieme a quelle straniere, stanno cercando apparentemente di fare la stessa operazione con gli enti pubblici del nostro paese, dopo averlo fatto con il sistema delle imprese, in particolare di quelle piccole e medie.
Così, secondo l’Adusbef, l’associazione di tutela dei consumatori, le imprese del Nord-Est hanno perso di recente su tale fronte tra i 5 e i 7 miliardi di euro. Uno dei problemi che possono emergere riguarda il fatto che, almeno agli occhi di una persona o di un ente non troppo esperti della materia, il costo vero di un contratto può essere mascherato da un prezzo offerto dalla controparte bancaria che nella sostanza è diverso, e di solito maggiore, di quello di mercato. Si parla anche a questo proposito di costi “impliciti”.

da www.finansol.it

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