venerdì 16 novembre 2012

Damasco sopravviverà all’ultimo tentativo di Washington di imporre un governo fantoccio alla Siria?

 di Stephen Gowans da voltairnet.org


La segretaria di Stato degli USA Hillary Clinton dice che Washington ha bisogno di “un’opposizione che sappia resistere decisamente agli sforzi degli estremisti di dirottare la rivoluzione siriana” [1] ma non riesce ad aggiungere che anche gli Stati Uniti devono essere disposti a fare la stessa cosa.

Le rivolte per rovesciare dei governi vengono spesso divise tra i militanti che fanno il lavoro sporco sul terreno e i politici che guidano la lotta nella sfera politica. Secondo le regole, le potenze straniere preparano un politico accettabile come leader da inserire nel vuoto creato, se e quando l’attuale governo venisse rovesciato.
Il leader deve essere gradito sia ai suoi sostenitori stranieri che ai militanti sul terreno. Washington ha deciso che il Consiglio nazionale siriano, che aveva “inizialmente sostenuto” nel “galvanizzare l’opposizione” [2] al governo baasista della Siria, è inaccettabile per i ribelli siriani e, quindi, non ha alcuna speranza di guidare un governo successore. In alternativa al consiglio fallimentare, ha recuperato i leader di un nuovo governo in esilio, che sarà presentato a Doha il 7 novembre, e subito dopo riceverà la preorganizzata benedizione della Lega Araba e degli amici della Siria. Non si commetteranno errori. Ciò che emergerà a Doha sarà una creazione degli Stati Uniti, destinata a rappresentare gli interessi degli Stati Uniti in Siria e Medio Oriente.
In una conferenza stampa dopo la riunione del 30 ottobre con il presidente della Croazia, la segretaria di Stato degli USA Hillary Clinton ha rivelato che il Consiglio nazionale siriano, scelto inizialmente da Washington nel condurre l’opposizione al governo di Assad, non aveva più il sostegno di Washington. Il CNS, secondo Washington, è diventato irrilevante. L’opposizione armata al governo Assad è guidata dall’esterno della dirigenza del CNS, un’organizzazione di esuli senza legittimità in Siria e divisa al suo interno da litigi incessanti tra le fazioni islamiste e laiciste. Il CNS, ha commentato uno ribelle armato, “è superato da molto tempo, i combattenti ne parlano solo con sarcasmo.” [3]
Altrettanto problematico per Washington è la ristretta base politica del CNS. “Fin dall’inizio, il consiglio è stato visto come un veicolo dei Fratelli musulmani, da molto tempo in esilio” [4] e quindi “non è riuscito ad attrarre una significativa rappresentanza delle minoranze”, [5] tra cui alawiti, cristiani e curdi. Data la sua incapacità di avere il sostegno dei combattenti e di espandersi al di là di una stretta base settaria, è difficilmente consigliabile per poter avere un valido governo in esilio. Ciò suona come una campana a morto per il consiglio, Clinton ha decretato “che il CNS non può più essere visto come la direzione visibile della opposizione.” [6]
Per settimane, Robert Ford, l’ex ambasciatore degli Stati Uniti in Siria, ha messo insieme un piano per promuovere un nuovo governo in esilio approvato dagli USA. L’iniziativa è conosciuta come “piano di Riad Seif” [7] dal nome di un ricco uomo d’affari di Damasco ed ex parlamentare siriano che ha svolto a lungo un ruolo attivo nell’opposizione al governo Assad. Accettabile per Washington a causa del suo liberismo (contrario all’impegno ideologico ba’athista nel dominare tramite lo stato l’economia, nella marginalizzazione del settore privato e nei controlli sugli investimenti esteri [8]), Seif è gradito da Washington per poter guidare un governo post-baathista. Sperano che le sue credenziali, essendo stato imprigionato dal governo siriano per le sue attività di opposizione, lo mettano sotto una buona luce presso i ribelli armati.
Il piano prevede la creazione di un “proto-parlamento” composto da 50 membri, 20 dell’opposizione interna, 15 del CNS (vale a dire, l’opposizione esilio) e 15 da altre organizzazioni dell’opposizione siriana. Un organo esecutivo composto da 8 a 10 membri, approvati dal Dipartimento di Stato degli USA [9] — lavorerà direttamente con gli Stati Uniti ed i loro alleati. [10] Washington e i suoi subordinati, la Lega Araba e i malnominati Amici della Siria, appartengono al club dei nemici della democrazia delle plutocrazie e delle petro-monarchie, e cercheranno di rendere l’entità accettabile ai siriani riconoscendola come legittimo rappresentante del popolo siriano. Non c’è garanzia che il piano funzioni. Uno dei suoi obiettivi è emarginare l’influenza dei jihadisti, molti, se non tutti, si sono riversati in Siria provenienti da altri paesi, decisi a rovesciare un regime laico guidato da un presidente la cui fede Alawi insultano come eretica. Se i jihadisti potranno essere messi da parte, Washington potrebbe essere in grado di incanalare armi ai gruppi militanti “accettabili”, senza paura che li utilizzino in seguito contro obiettivi statunitensi.

Adnan al Arour the spiritual leader of the FSA and the manager of the funds sent by Saudi Arabia to the jihadists
Ma c’è un punto interrogativo che incombe sull’appello di Seif ai militanti d’ispirazione religiosa, soprattutto quando le mani del puparo, il Dipartimento di Stato degli USA, sono così visibili. Lo stesso vale per l’appello antimperialista del nuovo consiglio dell’opposizione laica, “contro ogni nuovo soggetto politico che diventi oggetto delle agende di paesi stranieri.” [11] And there’s no mistaking that the new ‘Made-in-the-USA’ council will be subject to the political agenda of the United States.
E non ci sono dubbi che il nuovo Consiglio ‘Made-in-USA’ sarà oggetto dell’agenda politica degli Stati Uniti. Non abbiamo bisogno di indugiare a lungo per sfatare l’ingenua convinzione che l’intervento di Washington negli affari siriani abbia una minima connessione con la promozione della democrazia. Se la promozione della democrazia motiva la politica estera statunitense, le monarchie assolutiste con i loro esecrabili record sui diritti umani e la repressione violenta delle rivolte popolari contro i loro governi dittatoriali, non costituirebbero la maggior parte degli alleati arabi degli Stati Uniti. L’ultima cosa che i ricchi investitori, i banchieri e i pesi massimi aziendali che compongono la classe dirigente degli Stati Uniti vogliono è la democrazia, sia a casa che all’estero.

 
 Using violence against protests in Bahrain.
Vogliono il suo opposto plutocratico, il governo dei ricchi allo scopo di accumulare sempre più ricchezze attraverso lo sfruttamento del lavoro degli altri popoli e della terra, delle risorse e dei mercati degli altri paesi. Quando l’Arabia Saudita ha inviato carri armati e truppe in Bahrain, il 14 marzo 2011, per schiacciare la locale primavera araba, gli Stati Uniti non fecero nulla per impedire assalto del loro alleato aborra-democrazia alla rivolta popolare, se non pubblicando un invito al “dialogo politico”; come il New York Times ha spiegato, “Le ragioni della reticenza di Obama erano chiare: il Bahrain si trova al largo delle coste saudite, ed i sauditi non avrebbero mai permesso l’improvvisa fioritura della democrazia nel vicino… Inoltre, gli Stati Uniti mantengono una base navale in Bahrain… fondamentale per il controllo del flusso di petrolio dalla regione. ‘Ci siamo resi conto che la possibilità di tutto ciò che accade in Arabia Saudita, è che non dovrebbe diventare realtà’, ha dichiarato William M. Daley, capo del staff del Presidente Obama. “Per l’economia globale, questo non dovrebbe accadere.” In Arab Sprint, Obama finds a sharp test”, The New York Times, September 24, 2012.]]
Considerando che William Daley è un banchiere d’investimento di una famiglia politicamente ben collegata, “mantenere il flusso di petrolio” significa “mantenere il flusso di proventi del petrolio per i giganti del petrolio degli Stati Uniti“, e che per “l’economia globale”, i “rendimenti degli investitori”, è chiaro perché la plutocrazia condoni la repressione da parte del loro alleato della rivolta in Bahrain. Sotto il dominio plutocratico, i passi verso la democrazia, anche i bambini lo sanno, non sono permessi che dai profitti.
Né è necessario indugiare sulla convinzione ingenua che il governo scelto da Washington, di cui il Dipartimento di Stato ha “raccomandato nomi e organizzazioni che …. dovrebbero essere inclusi in qualsiasi struttura della leadership” divulgata dalla Clinton [12]—rappresenterà gli interessi siriani contro quelli del suo sponsor.
Gli interessi degli Stati Uniti in Siria non hanno alcun rapporto intrinseco nella protezione di Israele, che con il suo esercito formidabile, finanziato ogni anno con 3 miliardi di dollari di aiuti militari dagli USA e un arsenale di 200 armi nucleari, difficilmente ha bisogno di ulteriore assistenza nel difendersi contro Iran, Hezbollah e Hamas, nessuno dei quali è una grave minaccia per Israele, in ogni caso, ma che anzi sono minacciati da esso. Indebolire l’Iran, alleato della Siria, potrebbe essere uno degli obiettivi di Washington nel tentativo di orchestrare la cacciata di Assad, ma non perché l’Iran possa acquisire lo status nucleare e quindi minacciare Israele (cosa che non poteva fare in ogni caso, visto che è fortemente surclassato militarmente [13]), ma perché, come la Siria, salvaguarda gelosamente il proprio territorio economico dai disegni della plutocrazia degli Stati Uniti, consentendo allo Stato di dominare l’economia e proteggere le sue imprese nazionali, la terra e le risorse dal dominio estero. La vera ragione della plutocrazia degli Stati Uniti nel voler rovesciare i governi siriano e iraniano, è perché danneggiano gli interessi commerciali della plutocrazia. La democrazia, le minacce all’esistenza di Israele e la non proliferazione nucleare, non hanno nulla a che fare con tutto ciò.
Il governo siriano non è estraneo a sfide formidabili. Ha condotto una lunga guerra contro gli islamisti che rifiutarono l’orientamento secolare baathista fin dall’inizio. La guerra contro la pulizia etnica del regime dei coloni di Tel Aviv oscilla tra il caldo e il freddo. Gli Stati Uniti hanno intrapreso una guerra economica contro la Siria per anni, e furono conniventi nel rovesciamento del suo primo governo. Eppure, Damasco si trova in un punto particolarmente difficile ora. Le plutocrazie più forti del mondo hanno intensificato le loro ostilità. I terroristi jihadisti provenienti dall’estero, per non parlare di quelli interni, stanno facendo del loro meglio per sconvolgere il governo baathista. Ma il sostegno dei militari siriani e di una parte consistente della popolazione siriana, più l’assistenza di Russia e Iran, hanno permesso di resistere. Di fronte all’opposizione imperialista e islamista, il suo futuro appare fosco, ma i suoi governi hanno affrontato prospettive più buie prima e sono sopravvissuti, alcuni hanno anche prosperato.
A dire il vero, ci sono profonde differenze tra il governo Assad e il primo regime bolscevico, ma il governo siriano e i suoi sostenitori possono rincuorarsi sapendo che, a un certo punto, sembrava quasi certo che il governo nascente di Lenin stesse per cadere. La carestia aveva colpito le città. Una guerra imperialista aveva gettato l’industria della Russia nel caos e rovinato tutto il suo sistema dei trasporti. La guerra civile era scoppiata e gli stati predatori ostili avevano lanciato delle invasioni militari per soffocare nella culla il neonato governo.
Eppure, di fronte a queste sfide enormi, i bolscevichi sopravvissero e nel corso dei settantanni successivi continuarono a costruire una grande potenza industriale eliminando disoccupazione, superlavoro, insicurezza economica, l’estrema disuguaglianza e crisi economiche, mentre pressoché da soli sradicarono il flagello del nazismo. E lo hanno fatto senza sfruttare altri paesi, ma aiutandoli a sviluppare le loro economie e a sfuggire al dominio del colonialismo imperialista, spesso a caro prezzo.
Allo stesso modo, il governo siriano può superare le sue sfide, sia interne che esterne, e portare avanti una via indipendente di auto-sviluppo, senza il ritardo del fondamentalismo islamico, del settarismo e del dominio delle più grandi plutocrazie del mondo. Speriamo bene.

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