di Carlo Formenti da Micromega
La vittoria di Trump marca una clamorosa sconfitta della lobby
transnazionale delle élite neoliberiste. Fino a poche ore prima
dell’esito elettorale siamo stati bombardati dal coro pressoché unanime
di governi, partiti, economisti, manager, star dello show business,
campioni sportivi, sondaggisti, giornali, televisioni, piattaforme
internet che celebravano la vittoria di Hillary Clinton presentandola
come l’unico esito possibile dettato dalla “ragione” politica, culturale
e civile.
A parte gli auspici dei governi russo e cinese – preoccupati per le
minacce di alzare il livello del conflitto geopolitico globale da parte
della Clinton – hanno fatto eccezione quasi solo le forze populiste di
destra e le pochissime voci che si sono timidamente alzate a sinistra
per ricordare che Hillary Clinton incarna i più feroci e aggressivi
interessi del capitale finanziario transnazionale, nonché delle
industrie hi tech che dominano il sistema militare industriale e
governano un pervasivo sistema di spionaggio globale.
Personalmente sono più volte intervenuto su queste pagine
a rimproverare Bernie Sanders per la fallimentare scelta di
sponsorizzare come “il minore dei mali” la donna che gli aveva
letteralmente “scippato” – con l’appoggio della macchina di partito, dei
media e delle élite di sistema – la candidatura democratica
all’elezione presidenziale, impedendo a classi medie impoverite,
lavoratori bianchi e migranti, studenti , donne, giovani, ambientalisti,
ecc. di unirsi attorno a un programma e a un leader politico comuni.
Solo invitando a votare per i candidati di minoranza o ad astenersi,
avrebbe potuto capitalizzare le energie e le reti organizzative che si
erano aggregate nel corso della campagna, in vista della costruzione di
una terza forza alternativa ai due maggiori partiti, ormai del tutto
intercambiabili e allineati agli interessi del blocco sociale che domina
l’America (e dunque il mondo). Arrendendosi all’apparato ha indebolito
questo patrimonio, senza riuscire peraltro a impedire la vittoria di
Trump, al quale ha letteralmente regalato il monopolio della rabbia
antisistema di un popolo impoverito e frustrato dalla crisi. Ciò detto,
mi preme anticipare alcune considerazioni a caldo, mentre mi riservo
successivi approfondimenti.
Primo punto: la comunicazione. Come già abbiamo avuto modo di
constatare con la campagna sulla Brexit (e come spero potremo constatare
con la campagna referendaria di Renzi e soci), le strategie di
manipolazione/dissuasione di massa condotte dai media al servizio
dell’establishment (cioè tutti) non funzionano più. La crisi ha
intaccato talmente in profondità le condizioni di vita della maggioranza
delle persone che nessuna chiacchiera sul fatto che l’economia va
meglio, che i posti di lavoro aumentano, ecc. può nascondere la realtà
dei fatti, per cui più balle si sparano più si generano effetti contrari
a quelli voluti. Stesso discorso per i sondaggi: la loro attendibilità è
ormai pari a zero, sia perché è evidente che servono esclusivamente a
influenzare il voto tentando di funzionare da self fulfilling prophecy,
sia perché aumentano sempre più gli intervistati che prendono i
sondaggisti per i fondelli, dichiarando intenzioni di voto opposte a
quelle reali.
Secondo punto: populismo, lotta di classe ed eutanasia delle
sinistre. In un suo post l’amico Bifo scrive che i vari Clinton, Blair,
Hollande, Renzi, Tsipras ecc. stanno pagando il fio del tradimento che
hanno consumato ai danni della classe operaia, la quale ora li ripaga
cercando risposte alla propria disperazione nelle destre neofasciste,
esattamente com’era successo fra le due Guerre Mondiali. D’accordo sul
tradimento e sulla punizione, ma con un approfondimento e una
precisazione (con la quale spero di introdurre una nota di cauto
ottimismo).
L’approfondimento consiste nel fatto che a perpetrare il tradimento, come scrivo nel mio ultimo libro (La variante populista, da poco pubblicato da DeriveApprodi) non sono state solo le socialdemocrazie, ma tutte
le sinistre, comprese quelle sedicenti radicali e antagoniste, le quali
hanno progressivamente concentrato la propria attenzione sulle classi
medie colte (creativi, lavoratori della conoscenza, partite iva, ecc.),
sui cosiddetti “bisogni immateriali”, e sulla esclusiva rivendicazione
di diritti civili (soprattutto individuali) a danno dei diritti sociali,
scambiando infine la retorica politically correct (del tutto funzionale
alla governance neoliberista) per contestazione antisistema.
L’odio operaio nei confronti di questi soggetti non è quindi solo
frutto di frustrazione culturale, ma un vero e proprio odio di classe
che rispecchia interessi materiali divergenti. Ciò significa che la
forma populista (anche nelle varianti di destra) è la forma politica che
la lotta di classe assume in questa fase storica. E qui arriva la
precisazione (e il possibile spiraglio): il populismo (vedi le
rivoluzioni bolivariane, Podemos, Sanders come esito del movimento
Occupy Wall Street, la prima fase di Syriza, ecc.) può indirizzarsi a
sinistra e contendere l’egemonia sulle classi subordinate al populismo
di destra (che a sua volta non è tout court assimilabile al fascismo: la
storia non si ripete).
Terzo punto: le controtendenze alla globalizzazione. Il terrore dei
mercati (vedere le pagine dell’Economist) dopo la Brexit e la vittoria
di Trump rispecchiano le preoccupazioni in merito allo svilupparsi d’una
possibile controtendenza ai processi di globalizzazione (politiche
protezioniste, revoca o mancata conclusioni dei trattati di libero
commercio, ecc.). Ora è chiaro che difficilmente Trump compirà tutti i
passi isolazionisti che ha annunciato in campagna elettorale, ma è certo
che, così come sta succedendo con il governo conservatore di Theresa
May in Inghilterra, dovrà necessariamente concedere qualcosa alle
aspettative popolari che sperano in una attenuazione, se non in una
inversione delle scelte economiche neoliberiste.
Ciò apre spazi per una battaglia politica antiliberista e
antiglobalista da sinistra (che da noi passa necessariamente da una
battaglia contro la Ue) che può divenire il terreno strategico su cui
contendere l’egemonia ai populismi di destra. Difficile? Difficilissimo,
quasi impossibile, ma come diceva qualcuno “chi lotta può perdere, chi
non lotta ha già perso”.
giovedì 10 novembre 2016
Trump, la rabbia antisistema e l'eutanasia delle sinistre
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Il racconto truccato del conflitto previdenziale
di Matteo Bortolon da Il Manifesto Le pensioni sono sotto attacco. Non a singhiozzo, non in fasi circoscritte: sempre. Tale conclu...
-
di Domenico D'Amico Repetita iuvant , ho pensato di fronte al libro di Michel Floquet ( Triste America , Neri Pozza 2016, pagg. 2...
-
di Franco Cilli Hanno ucciso il mio paese. Quando percorro la riviera adriatica in macchina o col treno posso vedere chiarament...
Nessun commento:
Posta un commento