di Tonino D'Orazio
E delle informazioni
televisive prezzolate. Una semplice carrellata di dati e concetti da fine
maggio 2015 a ieri. Dati vari, crudi e nudi, raccolti sui mass media da
istituti vari. Mi perdonerete il collage e i commenti inseriti. Non ho osato
protrarre la lunghezza del documento, già lungo di per sé. La lista del
disastro sarebbe veramente lunga. Le conclusioni sono vostre.
Abi
(Assoc.Bancari Ital) per anno 2013. Sono state 42.818, tra ottobre 2013 e marzo
2015, le domande di sospensione del pagamento delle rate nei confronti delle
imprese per un valore complessivo di debito a 14,6 mld di euro e una maggior
liquidità a disposizione delle imprese di 1,8 mld.
L’Istat a marzo registrava un aumento della disoccupazione al 13%,
quella giovanile oltre il 43% e un calo degli occupati di oltre 110mila unità.
Altro che magnifiche sorti e progressive del Jobs act e le ultraballe del governo. Lo stesso Def prevede una
disoccupazione ancora al 12,3% per il 2015 e oltre l’11%, ancora nel 2018. Cioè
la luce del tunnel non esiste. Si sono verificate soprattutto trasformazioni da
contratti precari in rapporti a tempo indeterminato. Peccato che le tutele
crescenti non abbiano più le garanzie dell’articolo 18. Si tratta di contratti
stabili solo nel nome, visto che l’imprenditore può sempre mandarti via con un
piatto di lenticchie. quando e come vuole. Vedremo alla scadenza triennale del
“contratto”, pagato con i soldi dello stato, cioè i nostri.
Nuovi dati allarmanti
sull’università italiana resi noti
dal ministero dell’Istruzione.
Dall’anagrafe degli studenti risulta che rispetto all’anno accademico 2004-2005
i diplomati che nell’anno corrente hanno deciso di proseguire gli studi sono
diminuiti del 27,5 per cento su base nazionale. I picchi come era prevedibile
sono a Sud, dove la situazione è ancora più critica: -56% Abruzzo, Molise -52,3
%, Sicilia - 50,7% , Basilicata -49,4, Calabria -43,8%. il 40% degli studenti
che intraprendono un corso di primo livello non conclude gli studi e dopo il
primo anno; circa il 15% abbandona gli studi nella triennale e altrettanti
decidono di cambiare corso. (Rassegna.it
Cgil). Nel frattempo l’intelligenzia
universitaria è rappresentata in gran parte da canuti e spesso sorpassati professori
settantenni. Sono talmente abbullonati alle loro poltrone che anche dopo essere
andati in pensione riescono ad ottenere ulteriori contratti ad personam, o addirittura rimangono a
gratis.
Gianluca Scuccimarra,
coordinatore dell’Udu (Unione Universitari): “Il dato sugli iscritti complessivi (-71.784
in un solo anno pari ad un calo del 4,23%) ci dice chiaramente che senza
interventi immediati e strutturali l’università italiana rischia di morire”.
Almalaurea. Nel 2013 il 28% dei manager aveva completato solo la
scuola dell’obbligo. In Germania tale quota è del 5%. La media Eu27
è del 10%. Alle imprese dirette da questa illuminata categoria il
governo Renzi ha elargito 3,9 miliardi di euro in sgravi fiscali per assumere
precari «a tutele crescenti» in tre anni.
La ricerca permette
inoltre di comprendere il complesso intreccio tra l’arretratezza culturale,
l’inesistenza delle politiche industriali, bassi salari (i laureati guadagnano
mille euro in media) e il fallimento delle riforme dell’istruzione,
a cominciare da quella del loquace Luigi Berlinguer rivendicata da
Renzi. Un disastro attestato dal basso tasso dei laureati (il 22% contro
una media Ue al 37%) a cui oggi si aggiunge il crollo delle iscrizioni
all’università: dal 2003 (338 mila) al 2013 (270 mila), meno 20%. Invece di
curarlo, queste «riforme» hanno peggiorato il basso tasso di scolarizzazione
tra la popolazione. Nel 2013 gli adulti in possesso della scuola
dell’obbligo erano il 64%, più del doppio della media europea al 29%, per non
parlare di quella tedesca al 18%.
Da aggiungere che in 7
anni circa un milione di cittadini italiani sono espatriati, tra questi più di 750.000 giovani tra laureati e
diplomati. (Caritas. 2015). Oltre che
economica anche la povertà intellettuale del paese avanza. Ha fatto bene
Stefano Benni a rifiutare il premio De Sica agli scrittori elargito dal
Ministro della Cultura Franceschini, visto che “per il governo la cultura è una risorsa non necessaria”.
Dipartimento Min Finanze per 2014: L'82,6% dei circa
41 milioni di contribuenti Irpef detiene prevalentemente reddito da lavoro
dipendente o pensione (e quindi pagano obbligatoriamente le tasse perché
trattenute alla fonte) e solo il 5,9% del totale ha un reddito prevalente
derivante dall'esercizio di attività d'impresa o di lavoro autonomo, in linea
con l'anno precedente. La percentuale di coloro che detengono in prevalenza
reddito da fabbricati è pari al 3,8, in aumento rispetto al 2,5% del 2012, per
effetto delle novità Irpef sui redditi immobiliari. Lo rileva l'analisi del
Dipartimento delle Finanze sulle dichiarazioni fiscali presentate nel 2014
relative all'anno d'imposta 2013.
Tra evasione, elusione, ed altre pratiche illecite, nel 2013, il fisco
italiano ha perso per strada circa un terzo del potenziale gettito Iva. Mancano
nelle casse dello Stato 47,5 miliardi di euro, pari al 33,6%, del gettito
previsto. Secondo i dati dell’ultimo rapporto della Commissione Europea, nel
2013 il gap italiano sull’Iva è aumentato di oltre un punto, passando dal 32%
al 33,6%. Stabile il dato relativo all’Unione Europea che non ha registrato
sostanziali miglioramenti rispetto al 2012: il totale dell’imposta sul valore
aggiunto persa fra tutti i Paesi è di circa 168 miliardi di euro, circa 15,2%
del gettito calcolato. Tra i 26 Paesi analizzati, 15 hanno segnato
dei miglioramenti, fra cui la Lettonia, Malta e la Slovacchia, mentre 11
presentano un’involuzione. A guidare la classifica dei peggiori ci sono Estonia
e Italia. (Reuters. Sett.2015).
Forse portando il tasso dell’Iva al
12/15% si eviterebbe la perdita del gettito e lo stato incasserebbe di più.
(Teoria della legge di Laffer). E’ un consiglio spassionato dell’amico
Netanyahu a Renzi !
Il presidente dell'Inps, il
chiacchierone Boeri (tutte le sue
proposte sono già state bocciate dalla Corte Costituzionale e sono uno
specchietto per le allodole, anche perché se almeno le dicesse il ministro del
lavoro…), ha reso noto che tra 2003 e 2014 oltre 36mila persone hanno deciso di
passare la vecchiaia all'estero. I loro assegni “costano” (sic!) alle casse
dell'istituto oltre 1 miliardo ogni anno. (La somma si riferisce però anche a 500.000
assegni sociali erogati a cittadini italiani già all’estero) A riequilibrare i
conti sono i contributi previdenziali dei quasi 200mila immigrati che hanno
lavorato nel nostro Paese ma non ricevono, né riceveranno mai, la pensione. Che
si fa di questi evasori in libera tournée
per il mondo e che non vogliono morire servi e in miseria a casa loro?? Tripla
tassa sulla casa lasciata? Trattenute direttamente da Boeri?
Nei primi quattro mesi
del 2015 le vittime sul lavoro sono
state 305, con un incremento di oltre il 13 per cento sul 2014. Incidenza
altissima del fenomeno tra gli over 65. Si muore di più di venerdì, dopo una
settimana di lavoro. Se non si tiene conto degli infortuni mortali cosiddetti
“in itinere” (avvenuti nel tragitto casa-lavoro o lavoro-casa): in questo caso
si passa dai 196 morti del primo quadrimestre 2014 ai 223 del 2015 (+13,8%). Il
rischio di infortuni gravi, o peggio mortali, cresca a dismisura con
l’innalzamento dell’età anagrafica dei lavoratori, (over 65 anni), conseguenza
a sua volte delle riforme pensionistiche varate negli ultimi anni. Non si va
facilmente in pensione a 70 anni e per alcune pesanti professioni si rischia di
morire prima. (Rapporto Vega Engineering).
Fisco, più di dieci milioni di italiani versano solo 55 euro all’anno. Le due
facce del Paese: il 4,01% dei contribuenti paga il 32,6% dell’Irpef, mentre
oltre 10 milioni di italiani versano in media 55 euro l’anno. I contribuenti
effettivi (che pagano almeno un euro di tasse) sono circa 31 milioni. In altre
parole, quasi la metà degli italiani non ha redditi e quindi vive a carico di
qualcuno. Per valutare poi l’Irpef media versata, occorre fare il rapporto tra
il numero dei dichiaranti e il numero di abitanti: a ogni dichiarante
corrispondono 1,48 abitanti.
Analizzando in
dettaglio le dichiarazioni, si arriva alle seguenti considerazioni:
1) Tra i contribuenti
i primi 799.815 dichiarano redditi nulli o negativi.
2) Il totale di coloro
che dichiarano redditi (compresi quelli con reddito nullo o negativo) fino a
7.500 euro annui sono 10.338.712 contribuenti, cioè il 25,23% del totale, e
corrispondono a 15.331.084 abitanti. L’Irpef media dichiarata pro capite è pari
a 55 euro l’anno. Per queste persone, oltre agli altri servizi, lo Stato deve
provvedere a pagare circa 1.790 euro a testa per la sanità (109 miliardi il
totale 2013). Per cui occorre reperire dagli altri contribuenti, per il solo
servizio sanitario, circa 27 miliardi.
3) Tra i 7.500 e i 15.000 euro di reddito
annuo contiamo 8.740.989 contribuenti (circa 13 milioni di abitanti) che pagano
una Irpef media di 649 euro. Anche qui per la sola sanità dobbiamo reperire
altri 15 miliardi circa. In totale, con i 27 miliardi di prima, sono 42
miliardi in totale.
4) Tra i 15.000 e i 20.000 euro di reddito
dichiarato troviamo 6,2 milioni di contribuenti (9,31 milioni di abitanti) che
pagano un’imposta media di 1.765 euro, quasi sufficiente per pagarsi la sanità.
Ricapitolando,
i primi 19.079.701 di contribuenti (pari al 46,56% del totale), di cui 7.187.273 pensionati, dichiarano
redditi da zero a 15.000 euro e quindi vivono con un reddito medio mensile
inferiore ai 600 euro: meno di quello dei circa 6 milioni di pensionati che,
come dice in modo errato l’Istat, hanno pensioni inferiori a mille euro al mese
(per la metà sono superstiti). Questi primi 19.079.701 contribuenti a cui
corrispondono 28,3 milioni di abitanti, anche per via delle detrazioni, pagano
in media circa 300 euro l’anno e si suppone pochissimi contributi sociali, con
gravissime ripercussioni sia sull’attuale sistema pensionistico sia sulla
futura coesione sociale.
Gian Paolo Patta, già segretario nazionale della Cgil, sottosegretario
alla sanità con il secondo governo Prodi, padre del testo unico su salute
e sicurezza nei luoghi di lavoro e rappresentante della Cgil nel
Consiglio di Indirizzo e Vigilanza dell’Inps, indaga, nel volume
Primo riformare le pensioni (Ediesse), il sistema previdenziale, sottolineando come gli interventi adottati
dal governo Monti e dall’allora lacrimosa Ministra Fornero hanno trasformato
la previdenza nel bancomat di quasi tutti i governi venuti dopo. Le
iperboliche denunce di spesa previdenziale fuori controllo, ormai saldamente
al di sopra del 16% del Pil, nascondono qualcosa che in troppi si ostinano
a non vedere. Se depuriamo la previdenza dall’imposta Ire e dal
Tfr, (quest’ultimo istituto non fa parte dello stato sociale, è denaro
dei lavoratori), il rapporto previdenza/Pil scende al di sotto del 13%. In
altri termini, l’Inps (bancomat) trasferisce ogni anno allo stato qualcosa
come 50 mld di euro. E non viceversa.
Se si vuole veramente
riformare il sistema pensionistico, la prima e non banale proposta
è di separare assistenza, previdenza e mercato del lavoro. Ma la
chiarezza non serve al potere politico, meglio il polverone e la comoda
frattura generazionale.
Chi avrà i soldi per pagare le
pensioni agli oltre 10 milioni di soggetti
privi di contribuzione? Il 61,88% dei contribuenti, pari a 37.613.497 abitanti,
non supera i 20.000 euro di reddito lordo dichiarato l’anno (cioè poco più di
1.100 euro netti al mese). Oltre i 55.000 euro di reddito lordo troviamo solo
1,64 milioni di contribuenti (il 4,01%); tra i 100.000 e i 200.000 euro,
339.217 (lo 0,83%), e sopra i 200.000 euro lordi sono 106.356. Siamo proprio un
Paese povero! Alcuni stati in via di sviluppo o emergenti hanno percentuali ben
più alte.
Rovesciando
la descrizione possiamo
riassumerla anche così: Lo 0,19% dei cittadini paga il 6,9% dell’Irpef, il che
ovviamente è clamoroso. L’1,02% dei contribuenti paga il 16,3% dell’Irpef,
oppure il 4,01% paga il 32,6%, oppure ancora il 10,91% paga il 51,2% di tutta
l’Irpef (il 38,1% paga quasi l’86% di tutta l’Irpef).
Impressionante la progressione delle
imposte medie pagata. Tra i 20 ai
35.000 euro: 3.400 euro; tra i 35 e i 55 mila euro: 7.393 euro; tra i 55 e i 100
mila euro: 15.079 euro; tra i 100 e i 200 mila euro: 31.537 euro; sopra i
200.000 euro: 102.463 euro; oltre i 300.000 euro, la media della sola Irpef ed
addizionali regionali e comunali è 163.021 euro, cioè oltre il 50% del reddito
lordo a cui si sommano le altre imposte, tasse e accise; in pratica si lavora
per i 2/3 per lo Stato e solo per 1/3 per la propria famiglia; si capisce il
perché ogni anno questo numero di «vacche da mungere» diminuisce sempre più,
anche perché a costoro sono precluse quasi tutte le agevolazioni tariffarie e
sanitarie. Nell’immaginario collettivo sono quelli da spremere con patrimoniali
e, se pensionati, con blocchi delle indicizzazioni, prelievi forzosi e, secondo
alcuni movimenti, da espropriare oltre un certo livello di pensione.
La chiamano ripresa.
Dal 2008 al 2014, si è cumulata una caduta
del Pil di ben 9 punti. Altro che rallentamento. Altro che ripresa. Nello
stesso periodo, l’economia mondiale è cresciuta del 20,5%, quella americana del
7,9%, mentre l’Eurozona ha registrato una flessione dello 0,8% (comunque 11
volte meno intensa di quella italiana), in cui agli estremi si trovano la
Germania (+ 5,2%) e la Grecia (- 28,8%). Quelli della “ripresa” (nel senso di
riprendersi tutto) è attualmente la parola giusta, mentono spudoratamente.
Investimenti e produzioni industriale si sono ridotti del 25% dal 2008 a
oggi. Di conseguenza, il tasso di disoccupazione in Italia è passato dal 6,3%
dell’ultimo trimestre 2007 (pre-crisi) al 13% del primo trimestre 2015,
contando circa un milione di occupati in meno e gonfiando la platea dei
disoccupati oltre la soglia dei 3 milioni di persone, a cui vanno aggiunti
altri 700 mila disoccupati “potenziali” (scoraggiati, Neet, nuovi inattivi,
sottoccupati ecc.). Più 1.000.000 di espatriati, non considerati o scomparsi dalla
statistica. La negazione incredibile del fallimento del pensiero economico
liberista ha addirittura indotto le istituzioni europee a moltiplicare la crisi
attraverso le politiche dell’austerità, ovvero rigore fiscale e svalutazione
del lavoro. Serve a poco l’allentamento monetario della Bce. La politica
monetaria, per quanto non convenzionale, non risolve. La finanza non è la
produzione, è solo carta.
Il
tasso dei suicidi in Italia è,
fortunatamente, basso, per quanto sapere che circa 4.000 persone all’anno si
tolgono la vita nel Bel Paese è comunque triste. Recentemente i giornali hanno
dato molto spazio a suicidi e tentati suicidi collegati alla crisi economica,
con un tasso in aumento, addirittura raddoppiato, negli ultimi 3 anni. Togliersi la vita non interessa mai solo la
sfera personale del singolo, ma anche quella sociale e di rapporti personali.
Questo vale anche per i suicidi tra i componenti delle forze
dell’ordine/militari, che coinvolgono, certo a vari livelli, tutto il gruppo
(Polizia, Carabinieri, Polizia Locale etc.), nei suoi rapporti umani e nelle
dinamiche lavorative. Esercito e Carabinieri hanno delle statistiche Ufficiali
(dal 2003 al 2013 ci sono stati 241 suicidi complessivi nell’Esercito, di cui
149 Carabinieri), mentre per la Polizia di Stato, per la Finanza e quella
Penitenziaria non abbiamo dati ufficiali. Ma tra i Carabinieri, per i quali
come dicevo possediamo dati certi, il tasso di suicidi è di circa 4 volte più
alto rispetto la media italiana! Tutto nella norma se non fosse che la
percentuale dei divorzi per questa categoria lavorativa è drasticamente più
alta rispetto la media italiana. E se non fossero spesso protagonisti negli
omicidi familiari, perché armati, insieme alle guardie private.
In questo lasso di tempo, dicono
i relatori, la dimensione della povertà
alimentare in Italia è raddoppiata: sono 5 milioni
e mezzo le persone, di cui ben 1,3 sono minorenni, che non hanno la possibilità
di assicurarsi un’alimentazione equilibrata. Significa che 14 famiglie su
100 non hanno soldi a sufficienza per garantirsi cibo proteico ogni
due giorni (il dato è più che raddoppiato dal 2007, quando erano
6 su 100). Il confronto con altri paesi è disarmante: in Francia
sono 7,3 e in Spagna 3,5 le famiglie altrettanto povere. Alla luce delle statistiche però
non si trovano tracce di battaglia ideologica tra quegli adulti italiani
— persone disoccupate, indebitate o separate — che chiedono di ricevere
un pacco alimentare (la principale causa di povertà nel 2014 è stata
nell’80% dei casi la perdita del lavoro). Inoltre, sottolineano
i ricercatori, “è proprio tra chi
ha meno di 18 anni che si nasconde il vero dramma della povertà in Italia”.
Quasi 14 bambini su 100 tra i 6 e i 14 anni “sperimentano problemi”
di mancanza di cibo. Nel sud le cifre sono ancora più “impressionanti”: 19,3
bambini della fascia 6–14 anni su 100 sono poveri “anche dal punto di vista
alimentare”; e sono aumentati in modo “vertiginoso”, erano
3 ogni 100 prima della crisi. E’ un virus pericoloso per un nuovo
razzismo verso i migranti, che non può che aumentare la guerra tra poveri e
aiutare i seguaci del neofascista Salvini. Ironia, sarcasmo? Tutte le
reti televisive, a qualsiasi ora, hanno aumentato le trasmissioni di
"cucina".
Sole 24ore: “quattro milioni e centoduemila connazionali
si trovano in condizioni di povertà assoluta, il cuneo fiscale per il
lavoratore dipendente single ha raggiunto il 48,2% nel 2014, mezzo punto in più
rispetto al 2013 e dodici punti in più della media Oecd”.
Al
massimo si giunge a dire che la
disuguaglianza di reddito è “la grande questione morale del nostro tempo”,
come sta facendo Bernie Sanders, l’avversario “socialista” della guerrafondaia Clinton.
O papa Bergoglio che presto avrà tutta la struttura destroide della Chiesa
contro se continua a scegliere come referenti “i poveri”, a puntare l’indice
contro un capitalismo barbaro, disumano e contro la cultura cristiana
fondamentalista.
Questione
morale? Chissà perché quando si tratta dei soldi dei ricchi la questione è
“morale”, ma quando si tratta del sudore e del sangue degli sfruttati la
faccenda diventa maledettamente di “sostenibilità economica”.
Per
il resto “Tout va bien, madame la marquise”.
Ci avviamo ad una mirabolante ripresa dello zero virgola qualcosa, spesso
smentito anche dagli organismi internazionali.
Grande articolo!
RispondiElimina... dimenticavo (si fa per dire), poveri noi. Notte.
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