da goofynomics
(...che rispetto all'antefatto, quella dello zero, è comunque un progresso...)
(...ormai la situazione è paradossale. Da Meloni a Cremaschi, passando per Cisnetto - e molti altri - il numero e la qualità di chi ha capito che le cose così non vanno cresce di giorno in giorno. Non si tratta di "opinioni". Il dato è oggettivo, risalta agli occhi, e non dipende dalle intenzioni mie, o vostre, o della Merkel, o di Obama. Semplicemente, questa cosa non funziona, e quindi sarebbe il caso di cominciare a parlarne e di capire come tirarsene fuori - dato che sul perché mi pare che dubbi non ne abbia più nessuno, e che comunque che la cosa possa durare per sempre nessuno lo crede sul serio. In questa situazione, chi sono i nemici? Chi sono quelli che lottano attivamente per impedire che si costituisca un movimento trasversale di resistenza a difesa dell'interesse e dei valori della costituzione nazionale? Ma è semplice! Quelli che sanno meglio e da prima di tutti quale sia la cosa giusta, ma sanno anche che chiunque - tranne loro - la farà nel modo sbagliato, ed è quindi meglio che nessuno faccia niente. Sì, ci siamo capiti: quelli dell'uscita a sinistra. Abbiamo avuto la fase "se usciamo ci saranno i fire sales" - e infatti si è visto - ora abbiamo la fase "se usciamo sospenderemo Schengen" - e infatti si è rivisto. Che poi, su, invece di inventarsi tanti giri di parole, uno potrebbe anche avere un minimo di coraggio e dirla come la pensa: "Non ascoltate Bagnai perché è leghista e xenofobo!". Faremmo prima, no? Al convegno di oggi, visibilmente seccato dall'intervento di un uscista da sinistra, un giovane in platea mi guarda e mi fa: "Praticamente quello lì sta dicendo che dobbiamo scegliere fra l'euro o Salvini!". E un meno giovane (scusa, però eri meno giovane): "Esatto. E così facendo senza capirlo fa campagna per Salvini, pensando di farla per se stesso".
Allora, vogliamo parlare di Schengen? Perché questa è l'ultima frontiera degli "uscisti da sinistra": "se uscissimo sospenderemmo Schengen....".
Posso dire sommessamente una cosa?
E STI GRAN CAZZI NON CE LI METTI?
Perché?
Perché gli "uscisti da sinistra" ultimamente insistono così tanto su Schengen? Credo che sia perché è l'ultima cosa cui pensano di potersi attaccare. Hanno provato con i fire sales (e abbiamo visto com'è andata: si dovrebbero vergognare, glielo avevo detto tre anni or sono, ora non so con che faccia possano andare in giro a dire che l'euro ci protegge, visto che ogni giorno pezzi di aziende più o meno importanti passano in mano straniera); hanno provato col libberismo di Bagnai, ma anche lì, poracci, figure demmerda a raffica: tutto quello che pensavano di insegnarmi era già nel mio libro, ma proprio tutto, e anche di più, perché loro, gli uscisti da sinistra, di controlli dei movimenti di capitali ne parlano solo con tono minaccioso e apocalittico - mentre per me è normale che questi movimenti li si dovrebbe disciplinare, e l'euro è servito proprio a non farlo - e di riportare la banca centrale sotto il controllo del governo non ne parlano proprio - il che rende un po' debole la loro proposta.
E ora Schengen.
"Parliamo di Schengen, che Bagnai nel libro non ne parla, e così lo facciamo passare per leghista, e ci diamo una scialbatina di rosso...". Ma vogliamo ragionare un momento su Schengen? Cos'è Schengen? Siamo sicuri che sia una cosa tanto di sinistra? Nei suoi termini essenziali, è un accordo che facilita la circolazione del fattore lavoro all'interno del mercato unico. Nota bene: ciò che definisce un mercato unico è proprio la libera circolazione dei fattori di produzione - la libera circolazione delle sole merci definirebbe un'area di libero scambio. Ora, l'Atto Unico Europeo - che instaura il Mercato Unico - è del 1986, con entrata in vigore nel 1987, e obiettivo di compimento del mercato unico entro il 1992. Peraltro, ad oggi, come ricorda Majone, il mercato unico ancora non è realizzato, ad esempio per quanto riguarda i servizi - che sono circa il 70% del PIL. Non sto dicendo che sia un bene o un male: sto dicendo che anche qui si è andati avanti alla spicciolata e vendendo come successi e dati acquisiti cose che - come il mercato unico - erano nella migliore delle ipotesi in fieri, e nella peggiore impossibili da realizzare. In ogni caso, gli accordi di Schengen sono dell'anno precedente all'Atto Unico - il 1985 - e le loro disposizioni sono incorporate oggi nel Trattato di Lisbona, fanno parte dell'acquis communautaire, che in italiano si traduce: "o così, o Pomì!". Chi entra se le becca come stanno (e peraltro alcuni paesi sono Schengen senza essere UE, mentre altri sono UE con opt-out - ancora una volta)!
La domanda che mi pongo è: ma la libera circolazione dei fattori di produzione, e più in generale il mercato unico, è una cosa di sinistra? Questo Schengen-fetishism mi sembra sinceramente un pochino inquietante. Va bene, ne abbiamo viste di ogni, ma non pensavo che saremmo arrivati a veder elogiare "da sinistra" le virtù della libera circolazione dei fattori, e del fattore lavoro, e per di più da parte di economisti che per provenienza geografica dovrebbero sapere come si chiama, nel capitalismo, la libera circolazione del lavoro: si chiama emigrazione. Siamo sicuri che sia una cosa "di sinistra" favorire la libera circolazione del lavoro in un'area economicamente integrata ma culturalmente disintegrata, nella quale le barriere culturali rendono i flussi migratori interni necessariamente selettivi (perché a lavorare nei paesi del Nord ci andranno solo i migliori, quelli sufficientemente istruiti da poterselo permettere)? Siamo sicuri che questo tipo di movimenti siano stabilizzanti, servano ad assorbire gli shock, e non ad ampliarli? E, di converso: quando mai dover fare un visto - posto che sia questo il problema - ha impedito a chi voleva andare a lavorare altrove di farlo? Cioè, fatemi capire: chi viene da aree che hanno visto drenate le loro energie migliori verso gli Stati Uniti (dove il visto occorre ancora oggi), chi parla - secondo me a ragione - dei pericoli di mezzogiornificazione dell'Europa meridionale che l'attuale assetto delle regole europee comporta, poi elogia Schengen, cioè il meccanismo che consente al Nord di drenare senza barriere linfa dal Sud? E questa bella prova di keynesismo a intermittenza a cosa serve? A dire a me che sono leghista? Ma allora ditemi che sono leghista, cazzo, se ne avete il coraggio, e dite meno stronzate, però! Se vogliamo metterla sul personale, facciamolo, non ci sono mica problemi: voi dite "Bagnai leghista!", io mi ci faccio una risata sopra (facendo anche notare che personalmente non lo considero un insulto: chi vota Lega avrà i suoi buoni motivi per farlo e io alla democrazia ci credo: semplicemente, non mi rispecchio in quel movimento politico), e passiamo avanti senza inquinare il dibattito con argomenti che non stanno in piedi, fuorvianti, pericolosi. Perché come l'insistenza sui fire sales di fatto offuscava il vero meccanismo attraverso il quale il capitale estero sta predando il nostro paese e distruggendo valore e posti di lavoro, ovvero la compressione della redditività delle nostre aziende sotto un cambio sopravvalutato, così l'enfasi su Schengen in chiave antiliberista sinceramente è dadaismo puro! Cosa c'è di più liberista del provvedimento che ha consentito al capitalismo tedesco di trasformare i PECO nel suo esercito industriale di riserva? Me lo dite voi? E col dadaismo dove si va? Io un'idea ce l'avrei, ma la tengo per me. I miei lettori mi avranno capito...
Sed de hoc satis.
Segue il testo del mio intervento di oggi al seminario Euro e Unione Europea... I lavori sono stati filmati, qualcuno li ha ripresi in diretta Periscope, ma c'erano anche riprese con telecamere fisse, che verranno forse messe su Youtube. A differenza da quanto ho sempre fatto, questa volta il discorso me l'ero scritto, e l'ho praticamente letto, con minimi adattamenti per rimarcare alcuni punti di contatto coi relatori che mi avevano preceduto. Ve lo offro com'è sul mio hard disk. Potrete divertirvi a trovare le differenze - minime - con quanto ho effettivamente detto. Ma il succo è nel titolo del post. E per favore, ora basta con l'uscismo da sinistra: è il cancro di questo dibattito. Le terapie ci sono...)
Ringrazio gli
organizzatori per questo invito, che mi ha fatto molto piacere, temperato da
altrettanta amarezza. Non ho infatti capito esattamente perché sono stato
invitato, e invitato oggi, ma ho accettato l’invito perché esso mi poneva due
sfide importanti, una intellettuale, e l’altra emotiva.
Cominciamo dalla
sfida intellettuale.
Voi siete, in
varie sfumature, eredi di una tradizione comunista, di sinistra, chiamatela
come volete (non interessa molto precisarla in questa sede, e credo che
interessi sempre meno agli elettori). Vi collocate comunque in quella parte
dello spettro visibile (si fa per dire) che va dai 590 ai 750 nanometri di
lunghezza d’onda, dall’arancione al rosso.
E allora, cosa
posso io dirvi che voi non sappiate già?
Fu Vladimiro
Giacché, che avete ascoltato, a segnalare a me, del tutto ignaro e
fondamentalmente indifferente alla storia politica di questo paese, anzi, di
questa colonia, che c’era stato un tempo nel quale il PCI aveva ben chiare le
dinamiche che l’integrazione finanziaria avrebbe attivato in Europa. Basta
pensare alla frase lapidaria di Luciano Barca, messa a verbale di una direzione
del PCI svoltasi il 12 dicembre 1978: “Europa o non Europa questa resta la
mascheratura di una politica di deflazione e recessione antioperaia”.
Ora credo tutti
vedano che Barca aveva ragione. Ma chi ha riportato alla luce questa frase,
pronunciata in una sede riservata? Perché ce la ricordiamo, oggi?
Perché Vladimiro
mi citò, la prima volta che lo incontrai, la dichiarazione di voto di
Napolitano contro l’entrata dall’Italia nel Sistema Monetario Europeo
(pubblicata sull’Unità, il 14 dicembre del 1978, il quotidiano fondato da
Antonio Gramsci che il 14 novembre 2011 applaudì l’arrivo di Monti). Dal mio
punto di vista, il punto culminante di questa dichiarazione è quello in cui
Napolitano afferma che l’idea secondo cui l’Italia “potrebbe evitare sviluppi
catastrofici solo con l’intervento di un vincolo esterno nella forma di un
rigoroso meccanismo di cambio” fa “un grave torto a tutte le forze democratiche
italiane”.
Quando
nell’agosto 2011 denunciai sul Manifesto l’antidemocraticità dell’euro, che non
credo qui oggi qualcuno voglia contestare, dopo gli esempi di Grecia e
Portogallo, non sapevo come questa antidemocraticità fosse già perfettamente
chiara (sub specie SME) a Napolitano 33 anni prima. Con me lo ignoravano molti
italiani che a differenza di Vladimiro lo avevano dimenticato o, come me, non
l’avevano mai saputo. Lo hanno poi appreso nel 2012 grazie al mio libro, in cui
riportavo questo discorso. Giornalisti come Marco Palombi, letto il Tramonto
dell’euro, sono andati a rivedersi archivi e atti parlamentari, e così ora
sappiamo cosa diceva Barca, o Spaventa, che, sempre alla Camera, chiariva ilproblema nodale, quello dei rapporti di forza. Diceva, Spaventa, che l’area
monetaria europea rischiava di “configurarsi come un'area di bassa pressione e
di deflazione, nella quale la stabilità del cambio viene perseguita a spese
dello sviluppo dell'occupazione e del reddito”, e questo perché “non sembra mutato
l'obiettivo di fondo della politica economica tedesca: evitare il danno che
potrebbe derivare alle esportazioni tedesche da ripetute rivalutazioni del solo
marco, ma non accettare di promuovere uno sviluppo più rapido della domanda
interna.”
Il paragrafo del
mio libro nel quale cito Napolitano ha un titolo molto sintetico: “Sapevano”. E
se sapevano loro allora, sarebbe strano che oggi voi non sapeste più, quando
quelle che Barca, Napolitano, Spaventa prospettavano come rischiose eventualità
sono diventate cronaca quotidiana.
Questo anche
perché Barca, Napolitano, Spaventa, con tutto il rispetto per chi non c’è più,
davano in quella circostanza prova di onestà intellettuale, ma certo non di
particolare genialità, né in ambito politico né in ambito economico. Il loro
discorso era una minestra riscaldata. Gli argomenti di Spaventa (il compagno
Spaventa del 1978, non il compagno di articoli di Giavazzi) provengono pari
pari da un lavoro dell’economista laburista James Meade scritto nel 1957,
mentre quelli di Napolitano da un lavoro dell’economista laburista NicholasKaldor, scritto nel 1971. E attenzione! Non sto dicendo che fosse plagio: sto
dicendo che, come dimostro nel mio ultimo lavoro, in corso di pubblicazione,
queste riflessioni erano (e sono) materiale assolutamente standard nel pensiero
progressista europeo: erano cose che nessuno si sarebbe mai sognato di
contestare. Era stato Meade a dire, quando ancora il sistema monetario
internazionale si basava sui cambi fissi, che “se un paese in surplus come la
Germania avesse voluto fare politiche deflazionistiche”, allora in Europa “si
sarebbe dovuto usare l’arma difensiva del riallineamento di cambio”,
soprattutto “nelle fasi iniziali del processo di integrazione economica”.
Ora, i rapporti
di forza che queste analisi delineano non sono mutati, anzi, si sono rafforzati
(in peggio). Peraltro, a me sembra stano che studiosi di estrazione marxista non
capiscano che istituzioni e regole riflettono i rapporti di forza prevalenti.
In questo senso, pensare a un’Europa a trazione tedesca le cui regole
“imbriglino” la Germania è una solenne imbecillità, come lo è l’idea che il
nazionalismo si combatta con una supernazione europea.
Come abbiamo fatto a
ridurci così?
Va detto che
oltre a quello che Barca, Napolitano, Spaventa vedevano, c’era anche quello che
non potevano vedere, ma che per noi dovrebbe ormai essere evidente:
l’integrazione monetaria finanziaria non solo richiede che agli squilibri si
risponda con deflazione e recessione a danno delle classi subalterne (questo
loro lo vedevano), ma:
[1] esaltando la
mobilità del capitale, aumenta il potere di ricatto di quest’ultimo nei
riguardi del lavoro (“non accetti un taglio dei salari? E io me ne vado
all’estero…”); e:
[2] promuovendo
la finanziarizzazione dell’economia, è al tempo stesso causa ed effetto dello
smantellamento dello Stato sociale.
Il capitale vuole
meno Stato non perché aborra moralisticamente gli sprechi, ma perché vuole prosaicamente
appropriarsi del risparmio che nelle socialdemocrazie europee è (era?)
intermediato dallo Stato, cioè perché vuole lucrare su sanità, previdenza,
istruzione. Fa male constatare che anche la sinistra sia caduta nell’equivoco diattribuire la crisi alla finanza pubblica, quando sappiamo che la radice della
crisi era ed è nella finanza privata. Un equivoco che è servito a legittimare
posizioni di austerità “punitiva” nei riguardi dello Stato a vantaggio del
capitale, e a corroborare i negazionisti dell’euro.
Perché a sinistra abbiamo un serio, e del tutto aberrante, problema di negazionismo.
Nel suo ultimo
articolo “Perché l’euro divide l’Europa?”, Wolfgang Streeck chiarisce in modo
mirabile che i sistemi monetari sono istituzioni. L’idea che la moneta sia un
dispositivo tecnico neutrale appartiene alla tradizione liberale, smithiana.
Quindi, in buona sostanza, chi a sinistra dice “l’euro è solo una moneta”
ragiona come Oscar Giannino. E chi non capisce che una cosa come la moneta
unica, fatta per far circolare meglio i capitali, fa comodo al capitale, e
quindi meno decisamente comodo al lavoro, chi non capisce questo non ragiona
nemmeno come Giannino: non ragiona e basta.
Ma voi queste
cose le sapete, le avete sempre sapute: se siete “di sinistra” fanno parte del
vostro DNA, come vi ho appena ricordato. E allora, dichiaro persa la mia sfida
intellettuale. Cosa potrei dire di nuovo a chi, per il suo percorso politico,
sa già tutto, perché lo ha appreso in tempi non sospetti dai propri padri
nobili?
Niente.
Resta allora la
sfida emotiva.
Quanto seguirà
potrà non piacervi, potrà sembrarvi eccessivamente personalistico. Ma io sono cresciuto
sentendo dire che “il personale è politico”, e ci credo. Se sono qui è perché
il successo della mia divulgazione è legato all’aver adottato un metodo di
comunicazione estremamente personale. Molto spassionatamente, vedete, la mia
sensazione è questa: che voi non mi abbiate invitato perché volevate farlo, ma
perché in qualche modo avete dovuto farlo.
Il dato è che tutti
gli snodi ai quali abbiamo assistito negli ultimi anni, dalla sostituzione di
Berlusconi con un governo tecnico, al fallimento di questo governo,
all’avanzata delle destre (compreso il PD), all’implosione della Germania,
erano stati da me anticipati il 23 agosto 2011 sul Manifesto. Non era difficile
arrivarci. La lettera della BCE era sufficientemente inquietante: “avete un
problema di finanza pubblica, riformate il mercato del lavoro!”. Un messaggio
apparentemente incoerente: che c’entrano le regole di contrattazione collettiva
nel comparto privato con un eventuale eccesso di spesa pubblica? Ma era chiaro,
per chi avesse un minimo di cognizioni di economia, che in questa follia c’era
del metodo, e ne abbiamo parlato.
Da allora, i miei
libri, i miei interventi, il mio blog, sono serviti ad aprire gli occhi anche a
persone molto più addentro di me alla storia politica ed economica di questo
paese come Vladimiro (che, bontà sua, lo riconosce). Ma quando il 13 dicembre
2012, dopo un anno e mezzo di tentativi di apertura a sinistra, organizzai un
incontro con esponenti di Rifondazione e SEL a Roma, gli argomenti (tuttora
visibili nel mio blog, nel post “La tabellina dello zero”) erano ancora di una
povertà culturale sconcertante, e, soprattutto, erano quelli della destra
neoliberale più becera! “Non si può rimettere il dentifricio dentro al tubetto”
(Ferrero e Boldrin), “la svalutazione colpirebbe i lavoratori” (Gianni, e
Giannino, e Giannini). Non mancai di farlo notare, e quindi, ovviamente, quando poi, a
maggio 2013, Rifondazione organizzò un suo seminario su “La crisi economica e
il ruolo dell’Europa”, io non c’ero, con un certo sconcerto in Bellofiore e
Porcaro (per citare due intellettuali “di area”), i quali non capivano perché
la sinistra non coinvolgesse chi da parte sua aveva cercato così strenuamente
di coinvolgerla.
Ma la sinistra
era impegnata in altro: era impegnata a liquidare come nazionalista, fascista,
leghista, monarchico, liberista, e chi più ne ha più ne metta, chi stava
facendo maturare negli italiani la percezione di quali rapporti di classe si
estrinsecassero nella costruzione europea. Quante volte mi sono sentito dire
“tu sei solo un economista, ma la politica è sogno, si nutre di simboli” e via
delirando! Questo negazionismo del ruolo dei rapporti sociali di produzione
(alias: economia) nel determinare i percorsi storici e politici non fa molto
onore a chi lo propugna da sinistra. Siamo sicuri che sminuire il ruolo
dell’economia sia marxismo?
Ma il punto è un
altro: cosa dicevo io effettivamente nel mio libro? Forse è il caso di
ricordarlo, oggi:
“Se anche fuori
dall’euro ci fosse un baratro economico, sarebbe comunque dovere morale e
civile di ogni italiano opporsi al simbolo di un regime che ha fatto della
crisi economica un metodo di governo, che ha eletto a propria bandiera la
deliberata ed esplicita e rivendicata soppressione del dibattito democratico
[nota: quello che pensava Napo nel 1978]. Se accettiamo questo metodo, non ci
sono limiti a quello che ci potrà essere imposto. E l’unico modo per opporci è
rifiutare l’euro, il segno più tangibile di questa politica e dei suoi
fallimenti.”
Non c'è male, vero, per uno che ragiona in termini riduttivamente economicistici?
Non ci sono limiti
significa che non ci sono limiti, e lo abbiamo visto. Oggi qualcuno ha
detto "non potevamo immaginare"! Scusate, sono in conflitto di
interessi, ma devo dirlo: non vi veniva chiesto di immaginare.
Sarebbe bastato leggere.
E allora,
avviamoci a concludere. Se, come do per scontato, qui abbiamo tutti capito come
stanno le cose, se non abbiamo dimenticato quello che era chiaro a Barca e
Spaventa nel 1978, due snodi sono assolutamente essenziali perché questa
consapevolezza si trasformi in un’azione politica efficace:
[1] chiedere
scusa;
[2] dare un
messaggio chiaro.
Parto dalla
seconda. È inutile, insensato, regressivo, baloccarsi oggi con l’idea che “però
un’altra Europa – o un altro euro – avrebbe potuto essere possibile”. Anni di
ricerche sulle basi ideologiche e sul processo storico che hanno condotto alla
moneta unica ci dicono che questa è stato un assoluto e totale successo: il suo
scopo era sbriciolare Stato sociale e diritti dei lavoratori (per motivi chiari
ai comunisti negli anni ’70 e dati per scontati dalla letteratura scientifica),
ed è stato raggiunto. Se anche questo non fosse chiaro qui, è chiaro, sempre
più chiaro, fuori da qui, anche per merito (o colpa, dipende dai punti di
vista) mio. Quindi se non volete parlare solo “ai vostri” (cosa che, per
definizione, già fate, ma che alla prova dei numeri evidentemente non basta), se
volete recuperare spazi politici, non potete ignorarlo. Il messaggio deve
essere chiaro e inequivocabile: l’euro non è una “solo una moneta” (come
direbbero Smith o Giannino o altri). L’euro è, ed è sempre stato, fin
dall’inizio un confine: il confine fra democrazia e oligarchia finanziaria. Si
può legittimamente stare da una parte o dall’altra, ma illudersi e illudere che
esista un euro “democratico”, cioè che un’Europa le cui regole sono state
scritte dal capitale finanziario e a misura di capitale finanziario possa
condurre a assetti sociali più equilibrati, significa compiere un’operazione di
ottundimento delle coscienze reazionaria e controproducente.
Perché si
continua a fare questa operazione?
Lo sappiamo tutti.
Se si fosse svolto nel novembre 2011, quando ho aperto il mio blog, questo
incontro si sarebbe comunque svolto troppo tardi. Questa è la fonte della mia amarezza. È stato perso tempo prezioso,
per tanti motivi. Chi lo ha perso deve in qualche modo giustificarsi. E da
questo tentativo, un po’ goffo, è nata in Italia, e sta nascendo in Francia, la
mistica dell’uscita “da sinistra”.
Vi risparmio gli aspetti comici di questa
mistica (trovo ridicolo che mi si venga a insegnare nel 2015 quello che ho scritto
nel 2012, per farsi perdonare di non averlo detto nel 1999, ma lasciamo stare).
L'uscismo da sinistra non
è un cancro solo italiano. Jacques Sapir, un economista marxista che
con i suoi studi sul costo del federalismo europeo, ripresi da Streeck
nel suo libro (e da me nel mio, peraltro), è riuscito a convincere qui
da noi Fassina e D'Attorre (e all'estero molti altri) dell'impossibilità
che euro e sinistra possano convivere, bene: lo stesso Jacques, a casa
sua, è persona non grata per la sinistra, e questo perché? Perché in
diversi dibattiti televisivi ha cercato di spronare Mélenchon a prendere
posizione, ma così facendo ne ha pubblicamente certificato il ritardo
sulla storia. Ora quello Mélenchon, come altri "leader" europei, "non
potevano immaginare", ma che nel mio libro era scritto, si è palesato senza margini di dubbio. Ma Mélenchon non
può ammettere di aver perso tempo, e quindi, per giustificarsi, sta
animando anche in Francia un farsesco dibattito sull'uscita a sinistra,
demonizzando chi, pur di mandare le cose avanti, ha fatto quello che
deve fare qualsiasi intellettuale veda in pericolo gli interessi del
proprio paese e delle sue clasi subalterne: parlare a tutti.
Niente di nuovo sotto il sole.
Vorrei però portare la
vostra attenzione su un altro aspetto, cruciale: arrampicarsi sullo specchio
dell’uscita da sinistra è il modo sbagliato per scaricare le proprie
responsabilità. Quello giusto, come ho cercato di chiarire fin dall’inizio nel
mio blog, è chiedere scusa. Voi qui rappresentate tante anime della sinistra,
tanti sigle: qualcuno è un po’ più fucsia, qualcuno un po’ più scarlatto, ecc.
Sono tanti percorsi che hanno le loro motivazioni, tutte rispettabili. Voi
conoscete i motivi della vostra alterità rispetto al PD (col quale comunque avete
condiviso e condividete significative esperienze di governo), e probabilmente
riterreste ingiusto che vi venissero accollati i costi politici di scelte
compiute da Prodi o da Visco, per citarne due.
Il danno l’hanno fatto loro:
perché dovreste scusarvi voi?
Fondamentalmente
per due motivi: perché avete perso tempo (quello lo avete perso voi, e
l'ostracismo al quale sono stato soggetto, a dire il vero battendomene
abbastanza, ne è comunque prova), e perché per quelli che non sono
“vostri” la distinzione fra voi e Prodi o Renzi è molto sfuocata: voi
siete
“sinistra”, e la “sinistra” ha rivendicato l’euro come un successo
(salvo
intendersi su cosa sia, questo successo), e per questo è odiata, anche
perché il paese ha capito quello che D'Attorre lucidamente confessa:
l'amore della sinistra per l'Europa è stato la manifestazione più
estrema dell'odio della sinistra verso l'Italia, verso un paese del
quale si sentiva migliore, senza che questa convinzione fosse supportata
da particolari motivi.
Non è possibile
portare avanti una battaglia politica efficace e su scala nazionale senza dare
un messaggio chiaro, e non è possibile dare un messaggio chiaro senza una
precisa assunzione di responsabilità, senza un minimo di autocritica. Quando
nel febbraio 2012 scrissi “Eurodelitto ed eurocastigo”, esortando la sinistra a
fidarsi della capacità di comprensione della sua base, a chiederle scusa, e a
girare pagina, i tempi erano senz’altro prematuri, era troppo presto perché un
discorso simile venisse recepito. Ma oggi, carissimi, dovrebbe essere molto più
evidente: guardate cosa ha fatto Tony Blair, in un contesto totalmente diverso,
e con ovvie finalità opportunistiche. La corda è stata tirata troppo: non ci si
può rivolgere in modo credibile agli elettori altrui senza spiegare perché si è
difeso un progetto così delirante, anche se non lo si è difeso (perché da fuori
certe distinzioni sfuggono).
Non si tratta di
andare con la corda al collo e il capo cosparso di cenere sulle scale del
Campidoglio.
Si tratta di dire chiaro e
tondo che è stato fatto un errore di
valutazione, e (per chi avesse bisogno di salvare la faccia), che un
progetto
che poteva avere senso negli anni ’70, quando c’era la cortina di ferro e
l’inflazione a due cifre, non ha evidentemente più senso oggi, in
deflazione e
con assetti geopolitici del tutto diversi, tanto più che esso ha fallito
rispetto ai due obiettivi che si proponeva esplicitamente: spostare a
occidente
l’asse dell’influenza tedesca (e l’allargamento a Est dell’UE è stato
propugnato dalla Germania con effetti devastanti per noi) e accelerare
il
processo di integrazione europea (che grazie all’euro è ormai
irrimediabilmente
compromesso); mentre è fin troppo ovvio che i veri obiettivi erano
altri, e
sono stati raggiunti (con la complicità di chi ha taciuto). Siamo nella
crisi più grave dell'ultimo secolo, e la gente ormai lo ha capito e ne
ha i coglioni pieni di trovarsi davanti politici che dicono che tutto va
bene e che loro non hanno nulla da rimproverarsi.
Questa
responsabilità politica, ripeto, dovete avere il coraggio di assumervela.
Chiedere scusa diventerà un modulo di comunicazione politica, l’unico efficace
(talvolta anche nella sua ipocrisia).
Non fatevi scippare anche le forme dalla destra, dopo esservi fatti scippare i contenuti.
Tanto vi dovevo,
e vi ringrazio per avermi ascoltato.
(...e la sfida emotiva? Bè, ho perso anche quella. Perché quando alla fine è arrivato uno che ha esordito con "non sono un economista ma" e ha proseguito con "m'ha detto micuggino che la svalutazione sarebbe del 30%" ho sclerato e me ne sono andato. La disonestà intellettuale non si può spingere fino a dire "non ci sono analisi". Ci sono. Chi dice il contrario certifica come minimo la sua ignoranza - e oggi chi esprime opinioni non informate oggettivamente contribuisce a un progetto criminale - e nel peggiore dei casi un grado inaccettabile di pessima fede. E io, sinceramente, ne ho i coglioni pieni. Tuttavia mi dispiace di essermi indignato. La platea era sufficientemente satura di certe idiozie, e forse avrei fatto meglio a starmene cheto e godermi il risentimento che montava verso tanta inconsistente e boriosa supponenza - "non ci sono analisi? Sai cosa ti dice non ci sono analisi?" - parte italiana e parte nopea. Ha provato a consolarmi Vlad, dicendo che anche Lenin non era esattamente un campione di bon ton. E anche in questo aveva illustri precedenti - Lenin, non Vlad...)
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