«I work for a Government I despise for ends I think criminal» «Lavoro per un Governo che disprezzo per finalità che ritengo criminali»
John Maynard Keynes, a proposito del governo britannico, in una lettera a Duncan Grant del 15 dicembre 1917
Ricordiamo come – stando con Braudel – le correnti della Storia fluiscano a velocità diverse: ed invece, ci troviamo a constatare come la comune esperienza porti a credere che «geografia, civiltà, razza e struttura sociale» siano un dato di fatto. Oggetti immutabili, come le leggi stesse che li governano.
I motivi sono principalmente due: il primo – come sconsolati dovettero prendere atto Marx ed Engels – è che l'ignoranza della storia è diffusissima [1] anche in gran parte delle classi più istruite; il secondo, invece, lo aveva ben chiaro Adolf Hitler: i dominati con «un cervello illuminato da alcune nozioni di storia, giungerebbe a concepire alcune idee politiche, e questo non andrebbe mai a nostro vantaggio» [2].
Cioè, i dominanti, per il proprio piacere – nell'accezione orwelliana di ebbrezza del potere – opprimono masse sterminate di persone umane con una serie di strategie più o meno raffinate con cui gestire e coniugare il più ampio divario possibile nella distribuzione di benessere-potere tra classi, e il più ampio divario numerico possibile tra componenti delle classi stesse.
Ovvero, stando con Adam Smith: «Tutto per noi stessi, e niente per gli altri, sembra, in ogni epoca del mondo, essere stata la vile massima dei dominatori del genere umano».
1 – Socrate, la manipolazione emotiva e il branco: “lo spillo di Zinoviev” nell'incrinare il delicato equilibrio tra ragione ed emozioni.
«La differenza sostanziale tra emozione e ragione è che l’emozione porta all’azione, la ragione a trarre conclusioni», Donald Calne
1.1. La scienza e la tecnica possono permettere – come propongono A.Huxley o B.Russell – di incrementare ulteriormente questi divari, limitati storicamente dalla resistenza dei dominati ad accettare ulteriore sofferenza e dolore senza ribellarsi.
Hitler, che altro non è che un ottimo archetipo di “dominatore” – nonostante la storiografia non faccia altro che evidenziare i suoi forti tratti psicotici piuttosto che quelli di legittimato rappresentante di interessi particolari di classe – riflette questo modus cogitandi delle classi dominanti: l'ignoranza – ovvero la creazione massiva di menti elementari – è naturale obiettivo di chi si trova in posizione egemonica.
L'ignoranza più terribile – così come la schiavitù più terribile “è di colui che crede di essere libero” [3] – è quella di coloro che “sanno di sapere”: una più o meno ampia erudizione priva di una naturale struttura logica e valoriale [4], può essere il più grande strumento anti-cognitivo riservato alla classi subalterne più istruite.
1.2. La destrutturazione logica e valoriale delle classi dominate è semplicemente ottenibile tramite il marketing emozionale, ossia quell'evoluzione della manipolazione freudiana delle debolezze inconsce, o dello sfruttamento delle reazioni pavloviane, insistendo particolarmente sulle dinamiche di gruppo come, ad esempio, quelle più irrazionali legate al senso di appartenenza.
I mezzi di comunicazione di massa sono – nella loro naturale struttura del tipo “pochissimi che producono contenuti, una grande maggioranza che li consuma” – lo strumento tramite il quale quel minimo di istruzione dei dominati viene sterilizzata, e l'opinione “pubblica” viene spinta ad identificarsi con quella “privata”: ovvero, il “pensiero-obiettivo” della classe dominante viene iniettato dai media nella coscienza della comunità sociale dominata.
Gli interessi confliggenti delle diverse classi vengono rimossi dalla coscienza stessa degli oppressi.
(Nota: la cultura non si consuma: la si vive)
1.3. Quindi possiamo assumere come archetipo [5] per analizzare il pensiero della classe dominante quello espresso da Hitler che, prima di essere stato figura carismatica esponenziale dell'ideologia nazista, è stato figura paradigmatica in quanto esponente di interessi materiali di classe: quelli – appunto – della classe dominante.
Poiché Hitler rappresentava, ma non apparteneva, né alla classe nobiliare né a quella capitalista, con la sua immagine poteva tendenzialmente manipolare più facilmente le classi subalterne, trasformando i sentimenti revanscisti di classe in aggressività imperialista, trasformando l'identità nazionale in identità razziale: il revanscismo e il patriottismo si trasformavano dialetticamente in un feroce imperialismo, portato alle sue estreme conseguenze per mezzo delle sovrastrutture ideologiche edificate intorno all'eugenetica.
Le classi subalterne – tramite l'ingegneria sociale goebbelsiana – erano soggette ad una collettiva identificazione con l'aggressore, ovvero con la classe dominante, di cui finirono per abbracciare in toto l'etica [Nota: morale come Super-Io “ingegnerizzato”].
1.4. Questo è il meccanismo che sta alla base tanto del consumismo quanto del razzismo.
È comune a tutta l'esperienza coloniale; da una parte deresponsabilizza le classi dominanti, che identificano a loro volta se stesse [contro-transfert] con l'imbruttimento morale dei dominati: «vedete che voi al posto nostro fareste la stessa cosa?»; dall'altra permette di far accettare il “codice Manu" in versione “occidentale”, per cui al sangue-razza è attribuito valore immutabile, che giustifica l'ipostatizzazione dell'ingiustizia sociale assurta a fondamento ordinamentale costituito: tanto a livello nazionale, quanto a livello internazionale.
2 – Imperialismo angloamericano e nazifascismo: dall'identica struttura alle similitudini sovrastrutturali.
2.1. Come nella tradizione angloamericana e liberale, Hitler – grazie alla narrazione terroristica sulla “sicurezza nazionale” – propaganda che: «la sicurezza dell'Europa non sarà assicurata se non quando avremo ricacciato l'Asia dietro agli Urali» [6], mentre – come è ovvio – cerca nel Lebensraum un'area coloniale in cui imporre trattati di libero scambio: «Lo spazio russo è la nostra India. Come gli inglesi, noi domineremo questo impero con un pugno di uomini» [7].
Il Grossraum è strutturalmente niente altro che una grande area in cui è possibile imporre “liberamente” accordi commerciali: questo è, di converso, il significato di “libero” che può essere assegnato al significante “free” di free trade. [Nota: mercato “libero” di espropriare]
Infatti, seguendo la logica liberoscambista e ricardiana dei vantaggi comparati, Hitler calcola che: «La Romania farebbe bene a rinunciare nei limiti del possibile ad avere un'industria propria. A questo modo dirigerebbe le sue ricchezze del suo suolo e, specialmente il grano, verso il mercato tedesco. In cambio riceverebbe da noi i prodotti manifatturati di cui ha bisogno. La Bessarabia è un vero granaio. Così scomparirebbe quel proletariato romeno che è contaminato dal bolscevismo» [8].
(Prestiamo attenzione al fatto che “bolscevismo” è una sineddoche per intendere “socialismo”, ossia coscienza politica e di classe che si fonda sulla dignità del lavoro: di converso, si nota che sarebbe accorto per il lavoratore e per il produttore del nostro tempo, evitare di chiamare “socialista” o “comunista” la sinistra politica liberale, liberoscambista o – stessa cosa – “federalista”)
2.2. Infatti, sempre sulla falsa riga della politica liberale angloamericana, Hitler esprime il genere di sovrastrutture atte al dominio imperialista [9]:
«Per dominare i popoli che abbiamo sottomesso nei territori a est del Reich, dovremo di conseguenza rispondere nella misura del possibile ai desideri di libertà individuale che essi potranno manifestare, privarli dunque di qualsiasi organizzazione di Stato e mantenerli così a un livello culturale il più basso possibile.»
Ovvero: se sarà possibile, ai popoli sottomessi sarà concesso qualsiasi tipo di “diritto civile”, in quanto diritto individuale ad effetto anestetizzante per il disagio sociale (cfr. “diritti cosmetici”); ma l'ignoranza deve essere il più possibile dilagante in modo che – poiché i diritti sociali sono strettamente connessi ai diritti politici – si potrà contare su comunità sociali atomizzate e incapaci di organizzarsi politicamente per avanzare pretese di carattere economico e sociale.
Il Führer – ben informato sul paradigma liberoscambista dell'imperialismo anglosassone – prosegue:
«Bisogna partire dal concetto che questi popoli non hanno dovere che servirci sul piano economico. Il nostro sforzo deve dunque consistere nel trarre dai territori che essi occupano tutto quanto se ne può trarre. Per impegnarli a consegnarci i loro prodotti agricoli, a lavorare nelle nostre miniere e nelle nostre fabbriche d’armi, li adescheremo aprendo un po’ dappertutto spacci di vendita nei quali potranno procurarsi i prodotti manifatturati dei quali abbisognano».
2.3. Questo, come è stato ampiamente trattato, è la semplice conseguenza di ciò che accade naturalmente alla periferia di un Paese che viene costretto ad entrare in un'area di libero scambio.
Paragrafo 2.4: «Alla polarizzazione della ricchezza tra classi, si affiancherà la polarizzazione di potere politico, economico e militare, tra centro e periferia; la tecnologia fornisce un alto valore aggiunto alla produzione e un vantaggio militare, e le aree che vedono il proprio tessuto industriale irreversibilmente compromesso dovranno esportare tendenzialmente materie prime, nel caso non ne fossero in possesso, dovranno esportare il fattore lavoro: ovvero favorire l'emigrazione.»
Sull'emigrazione ci torniamo nel paragrafo conclusivo.
Infatti, Adolf Hitler prosegue nella versione austriaca dell'anarco-libertarismo, che ricorda tanto l'americano ultra-liberista Rothbard:
«Se vogliamo preoccuparci del benessere individuale di ognuno, non otterremo alcun risultato imponendo loro un’organizzazione sul modello della nostra amministrazione [cfr. «lo Stato brutto e cattivo che limita la “libertà personale”», “The road to serfdom”, ndr]. In tal modo non faremmo che attirarci il loro odio. Infatti, quanto più gli uomini sono primitivi, tanto più avvertono come una costrizione insopportabile qualsiasi limitazione della loro libertà personale. Dal nostro punto di vista, l’altro difetto di una tale organizzazione sarebbe di fonderli in un blocco unico [cfr. «Stato-nazione brutto, nazionalismo brutto, ecc», ndr], di dar loro una forza di cui si servirebbero contro di noi [ma pensa un po', chi lo avrebbe mai detto..., ndr].
In fatto di organizzazione amministrativa, il massimo che si possa loro concedere è un’amministrazione comunale [cfr. con «evviva il federalismo, partiamo dal basso, dai comuni a cinque stelle, ecc.», ndr], e unicamente nella misura in cui ciò è necessario al mantenimento di un determinato potenziale di lavoro, ossia il potenziale indispensabile ad assicurare i bisogni elementari dell’individuo [quest'ultima definizione corrisponde all'equilibrio malthusiano, e ci si ritornerà in altra occasione, ndr].
2.5. Insomma, Hitler insiste sull'ovvietà per cui l'individualismo metodologico su cui è fondato tutto [10] il liberalismo, non è altro che una narrativa funzionale al controllo sociale: l'atomizzazione della società non permette coscienza di classe, ovvero coscienza politica.
Se a livello sovrastrutturale “l'individualismo metodologico” e il liberalismo sono fondamentali, come ampiamente dimostrato dall'imperialismo anglosassone, la struttura liberoscambista deve veder elevate istituzioni di tipo federale e macroregionale; infatti insiste:
«Ma, nel creare tali comunità di villaggi, dovremo procedere in modo che delle comunità vicine non possano fondersi tra loro. Per esempio, avremo cura di evitare che una chiesa unica serva un ampio territorio. Insomma il nostro interesse sarebbe che ogni villaggio avesse la propria setta, che coltivasse la propria nozione di Dio. E se, come gli indiani e i negri, alcuni avessero a celebrare culti magici, non ci dispiacerebbe affatto. Dobbiamo moltiplicare, nello spazio russo, tutte le cause di divisione».
2.6. Divide et impera: seguendo per filo e per segno le orme della tradizione liberale e federalista angloamericana.
«Solo ai nostri commissari spetterà di sorvegliare e dirigere l’economia dei paesi conquistati – e ciò che ho detto deve applicarsi a tutte le forme di organizzazione. E, soprattutto, che non si veda spuntare la ferula dei nostri pedagoghi, con la loro mania di educare i popoli inferiori e la loro mistica della scuola obbligatoria! Tutto quanto i russi, gli ucraini, i kirghisi potessero imparare a scuola (non fosse altro che a leggere e scrivere) finirebbe per volgersi contro di noi. Un cervello illuminato da alcune nozioni di storia giungerebbe a concepire alcune idee politiche, e questo non andrebbe mai a nostro vantaggio.»
Insomma, i federalisti europei – finanziati lautamente dall'imperialismo globale a trazione USA – seguono il medesimo modello strutturale della Germania nazista: e, come abbiamo intuito, non è un caso. Il nazismo non aveva fatto altro che portare alle sue estreme conseguenze il modello imperialista britannico.
2.7. Il totalitarismo liberale del progetto dispotico europeista, è cognitivamente anestetizzato dalla propaganda hollywoodiana, dalle tetre morbosità stile Isola Desnuda, al modello Flash Dance; quest'ultimo già teorizzato dal Füher:
«Meglio installare un altoparlante in ogni villaggio: dare alcune notizie alla popolazione, e soprattutto distrarla [...ma guarda un po' come è evoluta la politologia negli ultimi settant'anni..., ndr]. A che servirebbe darle la possibilità di acquisire cognizione nel campo della politica, dell’economia? [Già, tanto vale avere “comici” e “spaghetti-liberisti” diversamente laureati, ndr] La radio non dovrà impicciarsi di offrire ai popoli sottomessi conversazioni sul loro passato storico [Meglio del sano autorazzismo!, ndr]. No, musica, e ancora musica! La musica leggera provoca l’euforia del lavoro. Forniamo a quella gente l’occasione di ballare molto, e ce ne sarà riconoscente. Da noi, l’esperimento è stato fatto al tempo della Repubblica di Weimar: è dimostrativo […]»
Magari qualcheduno si sarà chiesto come mai la musica “pop” debba essere “leggera”: Adolf Hitler lo aveva ben chiaro.
(Mi raccomando: dopo il lavoro tutti davanti alla televisione a vedere la partita, il sabato sera tutti in discoteca....)
Ma, apparentemente, il Führer si era applicato con più costanza allo studio della storia rispetto ai campioni dell'imperialismo liberoscambista dei giorni nostri, dato che avverte:
«La sciocchezza più grande che potremmo fare sarebbe quella di distribuire armi in quei territori. La storia insegna che tutti i popoli conquistatori sono finiti male per aver dato armi ai popoli che avevano sottomesso.»
3 – Conclusioni: la fallacia fallaciana.
«La mancanza cronica di cibo ed acqua, la mancanza d'igiene e di assistenza medica, la trascuratezza nei mezzi di comunicazione, la povertà delle misure educative, l’onnipresente spirito di depressione che vidi di persona, prevalente nei nostri villaggi dopo oltre un secolo di dominio britannico, mi fa perdere ogni illusione sulla loro benevolenza», Radindranath Tagore
«Se la storia del governo britannico dell’India fosse condensata in un singolo fatto, questo sarebbe che in India non vi fu alcun aumento di reddito procapite dal 1757 al 1947» Mike Davis, Late Victorian Holocausts: El Nino Famines and the Making of the Third World, London, Verso Books, 2001.
«Churchill, spiegando perché difendesse l’accumulo di cibo in Gran Bretagna, mentre milioni di persone morivano di fame in Bengala, disse al suo segretario privato che “gli hindu sono una razza sudicia, protetta grazie alla sua continua riproduzione dal destino che merita”» Madhusree Mukerjee, “Churchill’s Secret War”: The British Empire and the Ravaging of India during World War II, New York: Basic Books» [11]
«Se tenete in mano un'arma e mi dite, “Scegli chi è peggio tra i musulmani e i messicani”, avrei un attimo di esitazione. Quindi sceglierei i musulmani, perché hanno rotto i coglioni», Oriana Fallaci
«Ci sono cose che se potessero essere capite, non andrebbero spiegate», “I Legge della Termodidattica”
3.1. L'argomento è serio. Ora: basterebbe rimandare al punto (b) del paragrafo (3) delle conclusioni di questo post per capire che, sul tema dell'imperialismo e dell'immigrazione, dalla contrapposizione della sinistra (?) [12] liberale alla Sabina Guzzanti e della destra (?) [13] liberale all'Oriana Fallaci, non può che sintetizzarsi un'inana contrapposizione utile solo a proteggere la traiettoria neo-[appunto]-liberale seguita da decenni e le riforme strutturali che questa comporta.
Va da sé che, essendo tale dialettica espressione di due prodotti nati da sovrastrutture liberali, quindi vuoti di contenuti culturali strutturalmente diversi, l'unico motivo per cui esistono gruppi sociali che spendono energie a favore di un gruppo e dell'altro, va ricercato nel senso di appartenenza e nelle diverse dinamiche pavloviane sfruttate dalla propaganda e dal marketing emozionale: questi sono gruppi che si complementano.
Cioè, poiché il senso di appartenenza nasce in primis per contrapposizione, un gruppo necessita – per essere legittimato – dell'esistenza dell'altro.
Questa dinamica è – per definizione – inutile agli interessi materiali delle classi subalterne.
3.2. Sulla (più o meno) moderna sinistra liberale ha speso fiumi di inchiostro virtuale Alberto Bagnai (v. alla voce "Piddino"): sulla destra liberale, in cui si può annoverare anche l'amatissima, dallo scrivente, Ida Magli, non è purtroppo possibile trarre conclusioni politicamente troppo dissimili da quelle emerse dalle analisi di quel contenitore culturale che è la sinistra liberale, che, come tutto il paniere di ideologie a disposizione altro non sono è che un prodotto di consumo [14]: cultura-merce.
Dopo il breve stralcio di analisi materialistica della storia, quantomeno nel senso di analisi economica istituzionalista di un periodo storico, dovrebbe essere lampante – se già dapprima non fosse stato autoevidente – che appassionati giornalisti alla Oriana Fallaci, o grandissimi esponenti della cultura come la raffinatissima antropologa Ida Magli, hanno promosso politicamente analisi pop.
Non era il loro mestiere: in particolare non era quello di Oriana Fallaci: la storia della civiltà analizzata con qualche forma di approccio etnico, ha perso – se mai l'ha avuto – qualsiasi presupposto epistemico da almeno due secoli: nella sua variante pseudoscientifica di teoria delle razze, è stato meramente usato a scopo ideologico, per la grande controrivoluzione neoliberale che getta le sue radici nell'ultimo quarto dell'Ottocento [15].
La controrivoluzione neoliberale, vinta la battaglia con l'URSS, ha avuto la repentina necessità di sostituire la sovrastruttura ideologica anticomunista con quella dello “Scontro tra civiltà” suggerito da Samuel Huntington e promosso dallo stratega mondialista Zbigniew Brzezinski.
3.4. Così come lascia interdetti, ad un quarto di secolo dalla caduta del socialismo reale, appellare con “comunisti” formazioni politiche che vantano programmi antisociali e liberisti ben più estremi della destra politica post-comunista, non si può non rimanere sbigottiti di fronte a chi – a cospetto del massacro odierno, con tutta la letteratura scientifica e le ammissioni di responsabilità politica che sostengono tesi esattamente opposte – rilancia i pensieri islamofobici di Oriana Fallaci.
Se esiste un neologismo creato dalla propaganda semiofaga liberale che abbia un senso, è proprio “islamofobia”: ovviamente il problema non è tanto se la Fallaci et similia abbiano liberamente in simpatia o meno una certa religione o una certa etnia, o che la ritengano di per sé minacciosa: è un loro sacrosanto diritto.
Islamofobia è un ottimo sostantivo per chiamare quella politica terrorista usata per il divide et impera, tanto volta all'oppressione delle classi subalterne, quanto finalizzata ad obiettivi imperialisti e mondialisti.
Il terrorismo non consiste nell'atto stragista di emarginati sociali creati dall'esclusività sociale teorizzata dal liberalismo stesso. A meno di volersi privare di qualsiasi seria capacità di identificare i meccanismi causa-effetto che agiscono nel concreto tempo della Storia (risalendo la concatenazione degli effetti e senza fermarsi alla prima "concausa-causata" della serie causale; cioè troncando emotivamente il nesso prima dell'esaurirsi di una normale indagine razionale...).
Il terrorismo consiste in una ben nota e teorizzata politica imperialista e di classe che si chiama strategia della tensione.
Bisogna spiegarlo agli Italiani?
E chi potrebbero mai essere questi “strateghi”?
Forse i reietti della segmentazione sociale imposta dalle politiche liberiste e federaliste?
3.5. Ovviamente no: chi ha le basi minime per comprendere i fondamenti delle scienze sociali è perfettamente consapevole che le responsabilità politiche (cioè la "cause" prime, derivanti da decisioni supreme di indirizzo sociale e economico, imposte a tutti coloro che sottostanno alle regole affermate dall'effettiva classe dominante) vanno ricercate in primis nella dialettica di strutture complesse di rapporti di forza che cercano di coordinarsi (per quello storico scopo nobile così ben espresso da Adam Smith nella citazione iniziale).
E questi rapporti di forza si sintetizzano nella struttura sociale e nei rapporti di produzione che si modificano nel tempo.
Questo non significa prendere in simpatia chi è qui per sostituirti (e magari insegnargli il lavoro, come sa bene chi è rimasto disoccupato a causa della globalizzazione e delle conseguenti delocalizzazioni); questo non significa non usare tutti i mezzi machiavellanamente leciti per difendere la propria sovranità.
E chi attenterebbe alla nostra sovranità? Chi predica la cessione delle sovranità democratiche come in guerra? Il profeta dell'Islam nel Corano?
3.7. Chi lo scrive nero su bianco – ma, si sa, la lettura porta via tempo alla musica leggera e alla discoteca – sono von Hayek e i filantropi sociopatici che hanno finanziato la Mont Pelerin Society e il Movimento Federalista Europeo.
Che, guarda un po', appartiene alla stessa classe che ha anche manifestamente le mani sporche di sangue per le vicende che riguardano l'ISIS.
Aizzare i conflitti sub-sezionali tra cristiani (non credenti) e musulmani (non praticanti) è la stessa pratica imbecille che fare a botte tra fascisti (tali perché si lavavano e portavano i capelli corti) e comunisti (con il papà che lavorava in banca): divide et impera.
3.8. Questo è il senso ultimo dei deliri visionari del fondatore di Paneuropa.
«Oriana, scusati...»
(Chiaramente il post è per definizione inutile alle menti elementari e ai «grulli», data la kantiana “I legge della termodidattica”)
«Per Giove, preferisco andare fuori strada con Platone, piuttosto che condividere opinioni veritiere con questa gente», Cicerone
«Dalla nolontà o incapacità di scegliere i propri esempi e la propria compagnia, così come dalla nolontà o incapacità di relazionarsi agli altri tramite il giudizio, scaturiscono i veri skandala, le vere pietre d'inciampo che gli uomini non possono rimuovere perché non sono create da motivi umani o umanamente comprensibili. Lì si nasconde l'orrore e al tempo stesso la banalità del male»
Hannah Arendt, le conclusioni morali di una vita di profonde e sofferte riflessioni.
[1] L'ignoranza peggiore – come sappiamo noi Italiani, degni custodi della cultura greca – è quella di “sapere di sapere la Storia”.
[2] “Conversazioni segrete”, Napoli 1954, citazioni selezionate da M.Pasquinelli.
[3] «Nessuno è più schiavo di colui che si ritiene libero senza esserlo», Johann Wolfang von Goethe
[4] «Il difetto di Giudizio è propriamente quello che si chiama grulleria, difetto a cui non c'è modo di arrecare rimedio. Una testa ottusa o limitata […] si può ben armare mediante l'insegnamento fino a farne magari un dotto. Ma poiché in tal caso di solito avviene che si sia sempre in difetto di Giudizio, non è punto raro il caso di uomini assai dotti, i quali nell'uso della loro scienza lascino spesso scorgere quel tal difetto, che non si lascia mai correggere» Kant, “Critica alla ragion pura,” cit. in Arendt, “Alcune questioni di filosofia morale”, ET Saggi, pag.103.
[5] Si fa notare che Hitler rappresenta la classe dominante poiché è stato un rappresentante politico di un regime che ha tutelato a livello strutturale un sistema ben determinato di rapporti di produzione, favorendo particolari interessi di classe; ma contestualmente, alimentando falsa coscienza nazionalistica e razziale, è stato anche una figura esponenziale di una sovrastruttura demagogica e populista: populismo rinvenibile già dal significante “socialismo” di nazional-socialismo (alias, nazismo). [O nel significante “sociale”, in economia sociale di mercato, alias ordoliberismo...]: infatti il Führer constatava sussiegoso che: «...l'ultimo degli apprendisti, il più modesto dei carrettieri tedeschi, è più vicino a me che non il più importante dei lord inglesi», Ibid, pag. 155-156
[6] Ibid., pag.44
[7] Ibid., pag.37
[8] Ibid., pag.16
[9] Ibid., pp. 450-453.
[10] La curiosa contraddizione di Keynes (e del liberalismo sociale in genere) per cui viene mostrata una predisposizione etica ad una maggiore giustizia sociale ma un totale rigetto della prospettiva del conflitto tipica del socialismo, può essere ricercata nella profonda influenza esercitata della filosofia morale anglosassone, quella di esponenti quali Adam Smith e William Paleys; questi non concepivano come un concetto ontologico di ordine “superiore” quello di società rispetto a quello di individuo, esclusivo soggetto ad essere dotato di “umanità”.
[11] Cit. da Ramtanu Maitra.
[12] Nel senso di politicamente corretto al limite della querela.
[13] Nel senso di politicamente scorretto nei limiti di un effettivo impegno civile.
[14] Infatti Marx mai si sarebbe sognato di chiamare con il sostantivo “ideologia” (Ideenkleid) gli strumenti culturali e cognitivi messi a disposizione dai suoi studi, magari con l'intenzione di appellare “sistema di idee” ciò che è di fatto un insieme multidisciplinare di dottrine scientifiche: l'ideologia, nella concezione materialistica del divenire storico, è falsa coscienza. (Dottrine scientifiche che sono state tutte riprese da scienziati sociali e filosofi che hanno avuto quasi due secoli di sviluppo... a partire dall'analisi economica!)
[15] Ci sono una serie di motivi che sarebbe interessante approfondire per cui intorno al 1870 circa si può
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