di
Andrew Levine (da Counterpunch)
I
Repubblicani sono noti per farsi delle opinioni “senza le remore
del ragionamento”, come dicevano Tom e Ray [1]. Ma hanno problemi
anche con i fatti.
Si
suppone che i Democratici se la cavino meglio con queste cose, ma
molti di loro, quasi tutti forse, incontrano difficoltà analoghe.
Come spiegare altrimenti la convinzione, ampiamente diffusa, che
Hillary Clinton potrà essere poco appetibile, poco attendibile,
poco affidabile, poco coinvolgente, e comunque più “moderata”
dell'elettore Democratico medio, ma comunque è una che sa come
ottenere risultati?
Del
tipo? Si potrebbe avere qualche esempio? Nei primi anni 90, ha
talmente incasinato la riforma sanitaria che per i successivi
vent'anni uno spaventoso numero di americani è rimasto poco o per
nulla assicurato.
La
riforma di Obama ha portato qualche miglioramento, ma ha anche
rafforzato ulteriormente il potere delle compagnie assicurative
private, gli enti sanitari con fini
di profitto e, peggio di tutto, Big Pharma. Molta della colpa
di questi “sviluppi rivoltanti” [2] è delle macchinazioni ordite
da Hillary una generazione fa.
Il
suo incarico al Dipartimento di Stato ha avuto esiti ancora più
disastrosi. Non c'è dubbio, Obama aveva le sue ragioni per nominarla
Segretario di Stato, ma che gli passava per la testa?
Tutto
ciò che conosce della scena internazionale viene da quello che ha
spigolato nel ruolo politico di moglie o di mediocre senatrice. A
differenza, tanto per dire, di Sarah Palin, conosce il nome di molti
leader internazionali, identificandoli magari anche di faccia.
Potrebbe anche ricorrere all'assistenza dei pochi rimasti consulenti
di politica estera del marito, del resto tutt'altro che eccezionali.
Ma nulla di più.
Il
passaggio da Condoleezza Rice a Hillary è stato, tutto sommato, un
peggioramento. La politica estera americana è rimasta più o meno la
stessa, ma almeno Rice non aveva tempo per gli “interventi
umanitari” in stile Samantha Power [3].
Hillary
ha cominciato a farsi le ossa incoraggiando il sanguinoso colpo di
stato del 2009 in Honduras, e dal suo primo giorno a Foggy Bottom [4]
si è impegnata a seminare zizzania fin nei luoghi più remoti.
Grazie al cielo, tuttavia, quando si trattava di esercitare la sua
“responsabilità di proteggere” ha avuto bisogni di tempo per
carburare. Quando alla fine ci è riuscita, la Regina
del Caos [5] ha combinato un gran casino.
Il
disastro libico non è interamente sua responsabilità, ma sarebbe
lecito affermare che i danni procurati da lei superino quelli
prodotti da qualsiasi altro funzionario del governo americano,
incluso Presidente, che lei ha più o meno costretto a lasciar
proseguire il conflitto.
Ha
rovinato anche qualsiasi altro intervento americano nel nascente
fenomeno delle Primavere Arabe. Il risultato si può vedere in
Egitto, o in Yemen, e in tutta la regione del Golfo. Ma questo è
niente in confronto ai cambiamenti a cui ha dato il suo contributo in
Siria e Irak.
Nemmeno
la crisi europea dei rifugiati, diretta conseguenza dell'intervento
occidentale nella guerra civile siriana, è interamente colpa sua, e
neanche gli attacchi terroristici che al momento subiscono i paesi
europei che hanno partecipato come cobelligeranti alle guerre di Bush
e Obama.
E
tuttavia, la sua sprovveduta goffaggine ha dato un grosso contributo
a entrambi i disastri, tra l'altro ancora in corso. Hillary non è
stata mai usata come capro espiatorio, ma è lecito affermare che,
per i motivi già esposti e per il risultante stress subito
dall'Unione Europea, la sua responsabilità è quasi allo stesso
livello di quella di Barack Obama.
La
sua mania di provocare la Russia la rende ancora più pericolosa.
Quelli che si innervosiscono al pensiero dei ditini di Donald Trump
poggiati sul pulsante che può scatenare un olocausto nucleare,
potrebbero a ragione preoccuparsi anche di quelli di Hillary. Hillary
ci prova gusto a mandare gli altri a combattere le battaglie
dell'impero; e nei casi in cui Obama esita, lei invece è entusiasta.
Sulla questione russa, dei due Trump sembra decisamente il più
razionale.
E
poi c'è la Cina. Trump ha appena affermato di voler stipulare
migliori accordi commerciali; va be', se ne avesse l'occasione, e non
l'avrà, prego, si accomodi pure! Dall'altra parte, Hillary è una
degli autori della strategia di attacco nei confronti dell'Asia. In
altre parole, vuole provocare anche i cinesi. In un'era in cui una
guerra tra potenze nucleari potrebbe porre fine alla vita sulla Terra
“per come la conosciamo”, come dicono in clintonese [6], non si
tratta di un dettaglio trascurabile.
È
tutt'altro che chiaro come agirebbe Sanders [l'altro aspirante
candidato Democratico per le presidenziali -ndt] riguardo Cina,
Russia o Medio Oriente, o altro ancora. Ma sembra una persona
ragionevole e con la testa sulle spalle, il cui livello di
testosterone è sotto controllo. Già questo lo rende molto meglio di
Hillary.
Come
è stato osservato in tantissime occasioni sia dai suoi sostemitori
sia dai suoi critici, le sue idee sulla politica estera rientrano nel
consueto spettro del Democratico “progressista”. Ma, a differenza
di Hillary, è più un tipo da J-Street che da AIPAC [7]; e le
ideologie neoconservatrici e di imperialismo liberale non lo
entusiasmano per nulla. La distanza tra loro non è grande quanto
dovrebbe, ma non è affatto trascurabile.
Eppure,
più di qualche liberale ben intenzionato è del parere che Sanders
venda sogni che non potrà realizzare, mentre Hillary è una
“pragmatica” che sa come muoversi, e che è capace di realizzare
almeno qualcuno di quei sogni. “Non potete ingannare tutti per
sempre”[8], ma di certo potete minchionare un sacco di liberal.
Com'è
sorto il mito della competenza di Hillary e come mai resta
incrollabile, ad onta delle schiaccianti prove del contrario? Gli
storici del futuro avranno parecchio su cui riflettere. Quel che oggi
possiamo affermare con certezza e che la spiegazione non risiede
assolutamente nel fatto che Hillary sia davvero competente.
*
* *
Un
altro mistero, forse più grande, è quello che riguarda Donald
Trump: l'idea che egli sia qualitativamente peggiore degli altri
candidati Repubblicani.
Finora
la situazione resta fluida, ma ci sono molti della
dirigenza Repubblicana che insinuano quest'idea, che Trump è
il peggio del peggio, e che piuttosto di appoggiarlo preferirebbero,
da quei ratti che sono, abbandonare la nave che affonda in cui si è
trasformato il loro partito.
Se
fossero animali razionali [9] si sarebbero abbrancati a Hillary da un
pezzo. I ras delle corporation e i delinquenti di Wall Street di cui
sono al servizio non avrebbero un'amica migliore di lei. Comunque,
nei circoli Repubblicani la razionalità si è fatta perfino più
rara della decenza morale.
Adesso
il candidato della dirigenza è Ted Cruz, perché non resta nessun
altro – a parte John Kasich, che probabilmente si ritirerà dalla
corsa una volta perse le primarie nel Wisconsin.
E
questo è strano, perché non esiste nessun plausibile sistema di
misura secondo il quale chiunque, perfino Trump, possa risultare più
odioso di Cruz.
Dico
questo non solo perché, secondo ogni fonte affidabile, tutti quelli
che hanno a che fare con Cruz finiscono per odiarlo a morte. Si
tratta dell'uomo che vuole “bombardare a tappeto” le zone del
Medio Oriente e eell'Africa sotto il controllo dello Stato Islamico,
o comunque ci sia una forte presenza dell'ISIS, e che vuol sottoporre
i quartieri musulmani degli Stati Uniti a un controllo poliziesco che
ricorda la legge marziale.
La
stupidità di queste e altre proposte avanzate da Cruz rivaleggia con
la promessa fatta da Trump di costruire “muro davvero fantastico”
lungo il confine col Messico (pagato dai messicani); il carattere
puramente abbietto delle idee di Cruz supera perfino le proposte di
Trump di rivalutare il waterboarding e di ricorrere a forme
ancora più pesanti di tortura.
Perché,
quindi, Cruz è accettabile e invece Trump, almeno finora,
apparterrebbe all'inconcepibile?
La
spiegazione, in parte, dovrebbe essere che la dirigenza Repubblicana,
così come la sua controparte Democratica, non amano affatto che un
“normale” politico li richiami alle loro responsabilità, come fa
Trump richiamando l'attenzione sul sistema corrotto a cui
collaborano.
Trump
non va bene, ma Cruz sì, praticamente per le identiche ragioni per
cui, nello schieramento “opposto”, Sanders viene ignorato e,
quando ignorarlo diventa impossibile, viene sminuito, e quando
sminuirlo è impossibile – perché sta vincendo troppe primarie e
attirando un seguito troppo vasto ed entusiasta – i portavoce del
regime lo schifano comunque, in base al fatto che, succeda quel che
succeda, le probabilità contro di lui sono insormontabili.
Ma
Trump, dopotutto, è un affarista intrallazzone; e se si dovesse
arrivare al dunque, lui e i suoi compari capitalisti potrebbero
probabilmente trovare una maniera di mettersi d'accordo. Prendere a
bordo Sanders, per i membri della “classe miliardaria” [come lui
la definisce], sarebbe più difficile, non perché le sue posizioni
siano poi così radicali, ma perché è schierato sinceramente con le
loro vittime, e nutre un genuino disprezzo per l'attaccamento al
denaro.
La
coscienza di classe potrebbe, probabilmente dovrebbe, fare di Trump
un fidato custode degli interessi di milionari e miliardari. Ma è
una mina vagante, un figlio di mignotta che potrebbe pure dirgli di
andare al diavolo. Che Trump farebbe una cosa del genere, è
precisamente quello che si aspettano i suoi sostenitori, e potrebbero
azzeccarci.
I
titani della finanza e dell'industria saranno anche preoccupati delle
vaghe e volubili proposte politiche di Trump, che in genere si
collocano alla sinistra di quelle di Hillary – perfino a sinistra
di quelle di Sanders, si potrebbe sostenere, su punti fondamentali di
politica estera e iniziative militari che comportino interventi
oltremare. Trump ha perfino parlato male della NATO, cosa che né
Sanders né alcun altro rispettabile membro della classe politica
americana farebbero mai.
D'altro
canto Cruz è il paladino di qualsiasi bufala libertarian,
neoconservatrice o teocratica che stia a cuore all'estrema destra. Ai
ricconi questo piace.
Ma
la storia non finisce qui, anzi non siamo arrivati nemmeno alla metà,
almeno fino a questo punto.
Quello
che i Repubblicani “moderati” vorrebbero dare a intendere alla
gente è che essi ritengono Trump inaccettabile per via di quello che
dice e propone di fare a chiunque non sia maschio e bianco.
Tutto
ciò è sommamente ipocrita. I Repubblicani denigrano chiunque non
sia maschio e bianco almeno dal tempo in cui Richard Nixon e Pat
Buchanan fecero della “Southern strategy” il loro piano di
battaglia.
La
differenza è che Trump dice forte e chiaro quello che gli altri
dicono per sottintesi.
Ai
pezzi grossi del partito questo non piace, ed è davvero ironico,
perché lo trovano politicamente scorretto.
I
Repubblicani si fanno beffe del politicamente corretto in tutte le
maniere, controllate leggendovi le trascrizioni dei primi dibattiti
elettorali! E tuttavia cercano tutti di trattenersi, tutti tranne
Trump. Per lui, sin dal primo giorno, significava vivere il Sogno.
I
caporioni Repubblicani moderati (e quelli moderati-ma-non-troppo)
detestano quello che chiamano “politicamente corretto” perché
gli impedisce di manifestare il loro razzismo, sciovinismo, misoginia
e islamofobia. Ma siccome tengono ancora di più al loro amor
proprio, tutti quanti, a parte Trump, desiderano mantenere almeno una
parvenza di decoro.
Di
conseguenza ritengono importante il rispetto di norme linguistiche e
comportamentali che impediscano a persone del loro rango di fare la
figura di mocciosi durante la ricreazione, o bulli da spogliatoio, o
attaccabrighe da osteria. La pensa così perfino Cruz.
Gli
esempi di simili trasgressioni sono nella mente di tutti: chi si
candida a Presidente non deve parlare di dimensioni del pene, o
dell'aspetto estetico delle mogli dei loro contendenti. Chiamare
tutti i messicani “stupratori” va benissimo, dire di una donna di
spicco che è “brutta”, no.
Osservazioni
come queste non sono presidenziali per niente. Ma Trump se ne frega.
Lui dice quello che gli pare, e siccome gliela fanno passare, e la
cosa lo rende ancor più popolare, non ha motivo di cambiare.
Non
ha quindi nessuna ragione di essere politicamente corretto negli
aspetti che i suoi contendenti ritengono importanti. Loro si
oppongono al politicamente corretto che proibisce battute oscene e
epiteti razzisti, mentre apprezzano quello che conferma la dignità
della funzione a cui aspirano o che già esercitano.
Potranno
anche essere miserabili senza speranza, ma i rivali di Trump nel
Partito Repubblicano cercano comunque, di solito invano, di
scimmiottare la dignitosità e gli affettati convenevoli dei leader
generati da classi dirigenti sicure di sé.
Per
questa roba, Trump non ha tempo. Da egomaniaco certificato qual è,
di autostima ne ha da buttar via, e non deve fingersi nobile d'animo
per dimostrarlo. La sua norma di vita è chiara: quello che hai
sbattiglielo in faccia.
Perciò
trasgredisce le norme che gli altri rispettano. Può darsi che questo
renda Trump un uomo particolarmente deplorevole, perfino secondo i
parametri Repubblicani, ma l'idea che le sue politiche siano peggiori
di quelle degli altri è assurda. Le politiche peggiori sono quelle
di Cruz, l'ultimo paladino della dirigenza.
Ciononostante,
nel corso di queste elezioni dal mito di Trump può derivare un gran
bene. Sta facendo impazzire la vecchia guardia e andare in pezzi il
Partito.
Dall'altro
lato, dal mito che Hillary Clinton sia più capace ed eleggibile di
Bernie Sanders (o che lei sia una “progressista pragmatica”) non
può venire niente di buono.
Questo
mito serve solo a mantenere in vita le illusioni di quelli che
operano per farci subire ancora di più quello che abbiamo dovuto
sopportare negli ultimi otto anni – solo, con un comandante in capo
inetto, bellicoso e tonto al posto di Barack Obama.
Se
Hillary tornasse alla Casa Bianca, quelli di noi che hanno sempre
saputo che Obama è un emissario di Wall Street, e che le sue
promesse di “speranza” e “cambiamento” erano una fregatura,
si ritroveranno a rimpiangerlo.
E
faranno lo stesso i liberal ancora aggrappati ai resti delle loro
illusioni obamofile. Molti di questi liberal ora nutrono illusioni
riguardo Hillary, sebbene con livelli di entusiasmo prossimi allo
zero assoluto.
Se
avranno successo si ritroveranno vivere l'esperienza dell'acquirente
deluso, peggio che ai tempi di Lyndon Johnson.
Tuttavia
non è troppo tardi per scongiurare il pericolo grave e immediato
dell'avvento di una vera e propria Restaurazione Clintoniana. Se lo
slancio di Sanders continua a crescere, potremmo non essere costretti
a fare buon viso a cattivo gioco.
Ora
come ora, la questione urgente è questa.
I
titoli sono tutti per Trump perché per l'industria dell'informazione
lui è una vera cuccagna. Ma non è nemmeno lontanamente il problema
che invece Hillary è, sia per il paese sia per il mondo.
Trump
si è già guadagnato un posto d'onore nella storia americana per il
ruolo che ha avuto nel rottamare il Partito Repubblicano. Ma i suoi
giorni da protagonista della Storia sono finiti. Quelli di Clinton
potrebbero essere solo all'inizio, e le probabilità che ottenga
risultati paragonabili anche lontanamente a quelli ottenuti da Trump
sono zero.
A
meno che non si scateni una devastante epidemia di demenza
collettiva, Trump non potrà mai venire eletto Presidente degli Stati
Uniti. C'è un limite alla sconsideratezza degli elettori, perfino in
un paese che ha eletto due volte George W. Bush.
Hillary
invece potrebbe vincere le elezioni, e se lo facesse sarebbero cavoli
amari.
È
di Pogo, il personaggio di Walt Kelly, la celebre battuta: “Abbiamo
incontrato il nemico, e siamo noi.” Il tempo giusto per i
benintenzionati sostenitori di Hillary, e di altri che la vedono come
un male minore, era ieri, o il giorno prima ancora.
Andrew
Levine è senior scholar presso l'Institute
for Policy Studies; tra le sue ultime opere ci sono The
American Ideology (Routledge) e Political Key Words
(Blackwell), che si aggiungono a molti altri volumi e articoli di
filosofia politica. Il suo ultimo libro è In Bad Faith: What's
Wrong With the Opium of the People. È stato docente (di
filosofia) presso la University of Winsconsin-Madison e ricercatore
(filofia) presso la University of Maryland-College Park. Ha
contribuito a Hopeless: Barack Obama and the Politics of Illusion
(AK Press).
Note
del traduttore
[1]
I fratelli Tom e Ray Magliozzi hanno condotto (dal 1977 al 2012) un
programma radio per l'emittente pubblica statunitense NPR intitolato
Car Talk, nel quale, con forti accenti di commedia, davano
consigli tecnici agli ascoltatori con problemi alle loro auto. Quando
l'inconveniente sembrava particolarmente difficile da risolvere,
tentavano comunque di dare una soluzione, definita sarcasticamente
come “priva degli ostacoli del ragionamento” (unencumbered by the
thought process).
[2]
Tormentone di una fiction radiofonica statunitense degli anni 40
(“What a
revoltin' development this is!”), riutilizzato dal personaggio
Ben Grimm (La Cosa), membro dei Fantastici Quattro della Marvel.
[3]
Ambasciatrice degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite, Samantha
Powers esprime in maniera quasi emblematica la visione di “impero
del bene” che è l'ideologia ufficiale del suo paese. Gli Stati
Uniti operano per ragioni umanitarie, la Corea del Nord è un inferno
in terra, la Russia ha aggredito l'Ucraina, il problema della Siria è
Assad, Israele è vittima di una persecuzione internazionale,
eccetera.
[4]
Il quartiere di Washington, D. C. il cui nome è diventato sinonimo
di Dipartimento di Stato, ivi insediatosi nel 1947.
[5]
“Hillary il Falco, sia come Senatrice sia come Segretario di Stato,
non ha mai incontrato un sistema d'arma che non avesse la sua
approvazione, o un intervento bellico statunitense che lei non
appoggiasse.” (Ralph Nader)
[6]
Si riferisce alla riforma dello stato sociale avviata da Bill Clinton
nel 1997. Secondo le sue stesse parole “Today,
we are ending welfare as we know it” (Oggi poniamo fine al
welfare, per come l'abbiamo concepito finora). Essenzialmente si
trattava semplicemente di ridurre l'aiuto dello Stato per i meno
fortunati, tutto qui.
“Le
comunità di lavoratori e classe media in tutta America si
trasformeranno in una terra desolata di paura e violenza, creata da
un governo che ha deciso di non aver alcun obbligo nei confronti dei
suoi cittadini più bisognosi. In un ambiente del genere, ognuno di
noi diventerà predatore o preda.” [The
Nation]
[7]
Si tratta del confronto tra due lobby statunitensi pro-Israele, una
(J-Street) “progressista”, l'altra (AIPAC) “conservatrice”.
[8]
La citazione completa suona: “Potete ingannare tutti per qualche
tempo e qualcuno per sempre, ma non potete ingannare tutti per
sempre.” (You can fool some of the people all of the time, and all
of the people some of the time, but you can not fool all of the
people all of the time). Viene erroneamente attribuita
ad Abraham Lincoln (a volte anche a P. T. Barnum), che l'avrebbe
pronunciata in un discorso tenuto a Clinton (!), Illinois, nel 1858
(o 1856), ma la fonte originale dovrebbe essere Jacques
Abbadie,
citato in seguito anche dall'Encyclopédie
di Diderot-D'Alembert.
[9]
Ho preferito rendere l'originale “rational agents” (termine
affine all'informatica e all'Intelligenza Artificiale) con
l'aristotelico “animale razionale”, per mantenere il tono
sarcastico.
[10]
In sintesi, la “southern strategy” consisteva nel soppiantare
(negli stati del sud) il consenso (già declinante) per i Democratici
con quello per i Repubblicani, facendo appello ai sentimenti più
retrivi e razzisti dell'elettorato bianco. “E il risultato fu
subito evidente: nel 1972 infatti Nixon ottenne l'82 per cento del
voto degli elettori bianchi negli undici stati dell'ex
Confederazione.” (Giovanni Borgognone, Storia degli Stati Uniti,
Feltrinelli 2013)
Traduzione per doppiocieco di Domenico D'Amico
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