giovedì 4 settembre 2008

Buona crescita

Mi sono sempre chiesto se l'idea della decrescita fosse una buona idea o se invece rappresentasse unicamente una delle tante visioni utopistiche, proiezioni di un mondo desiderabile, ma totalmente inattuale. Non sarebbe male consumare meno, ma forse per alcuni la crescita non significa solo aumento dei consumi, bensì ammodernamento della pubblica amministrazione, più welfare, più diritti, più lavoro. E' un bel problema, semplice da risolvere in una società razionale (consumare meno, consumare tutti e meglio), difficilissimo da risolvere in una realtà dove prevale l'interesse del più forte.

SOTTO I DEBITI

di Galapagos



Bankitalia ieri ha fatto sapere che indebitarsi costa sempre di più: a luglio i tassi sui mutui sono saliti oltre la soglia del 6 per cento. E ancora peggio va per chi cede alle «lusinghe» degli acquisti di beni di consumo a rate: i tassi sfiorano il 10% e salgono all'11,6% per i prestiti inferiori all'anno. Eppure siamo sommersi dalle promesse di «tasso zero» reclamizzate su tutti i media. Gli italiani sono diventati più attenti negli acquisti rateali, ci ha detto due giorni fa Assofin. Ma seguitano a indebitarsi, ci spiega la Banca d'Italia: dalla fine del 2004 lo stock di debito delle famiglie è cresciuto del 32%, superando i 463 miliardi di euro: un macigno che ipoteca il futuro. Delle famiglie e anche dell'economia: per fronteggiare il debito molti saranno costretti a consumare di meno con impulsi negativi sulla domanda globale e sulla crescita del Pil. Non a caso le previsioni aggiornate che ieri ha diffuso l'Ocse proprio brutte. Soprattutto per l'Italia: quest'anno la crescita del Pil sarà di appena lo 0,1 per cento. Ma non va meglio negli altri paesi industrializzati, quelli del G7, per intenderci. Con l'eccezione degli Usa che hanno potuto gettare sul piatto delle recessione centinaia di miliardi di sgravi fiscali e di aiuti alle banche, in tutti gli altri paesi la crisi morde in profondità. Dal Giappone alla Germania, dalla Francia alla Spagna la crescita sembra essersi bloccata e sono parecchi i paesi che nel secondo trimestre hanno registrato una crescita negativa. In questa ottica non è casuale che le quotazioni del petrolio stiano rapidamente scendendo: i mercati (e la speculazione) hanno fiutato che la domanda di greggio sta flettendo e che la crisi si sta rapidamente trasmettendo anche a paesi che contano tantissimo come la Cina e l'India. Non è un caso che rompendo la «sacralità» del Ferragosto in Spagna e Francia si siano tenute riunioni straordinarie dei rispettivi governi per predisporre pacchetti di misure anticrisi. Perché è certo che la crisi nel 2009 sarà ancora più violenta se non verrà fronteggiata tempestivamente. In Italia, invece, tutto tace. Peggio: è stata varata una manovra che va in direzione opposta al buon senso: tagli e ancora tagli che freneranno ulteriormente la crescita. Fra i lettori del manifesto ci sono molti sostenitori della «non crescita», fautori della qualità della vita più che della quantità dell'espansione illimitata del Pil. E di ragioni ne hanno. Ma con un dubbio: in un paese come l'Italia ci sono macro aree che necessitano di crescita quantitativa per colmare gap storici di reddito e sviluppo. Invece la politica economica di Tremonti e Berlusconi non muove in questa direzione. Anzi, i tagli e le riforme finiranno per penalizzare la qualità della vita di milioni di persone. E anche riforme apparentemente non «economiche» come la riforma della scuola, finiranno per penalizzare le donne (ributtate nella gestione della casa) e si risolveranno in un trionfo della scuola privata. Un privato sempre più invasivo che cerca nei servizi alle famiglie una nuova frontiera per ampliare l'area del profitto. Ieri il direttore dell'Ocse ha sentenziato: l'Italia non si azzardi a praticare una politica di alleggerimento della pressione fiscale. A parte l'interferenza di un istituto che da anni non ne azzecca una, nessun problema: l'autoriduzione fiscale, cioè l'evasione di massa sta ridiventando con Tremonti (lo dicono i dati sul fabbisogno dello stato) uno «sport» di massa.

dal Manifesto del 3 Settembre 2008

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