A costo di essere monotoni, copiamo e incolliamo un'altro pezzo di Gennaro Carotenuto.
Qualche sera fa ho sentito (su Radio Radicale) un esponente Radicale chiamare i secessionisti boliviani “liberali conservatori”, e paventare un precipitare della tensione in America Latina, a causa, anche, del “vetero-marxismo” di brutti ceffi del genere Chàvez. Il bello è che l'esponente Radicale era perfettamente a conoscienza del contesto (riforme agrarie impedite, indigeni trattati come subumani eccetera), ma il dogma liberale dei Radicali gli impediva di prendere partito come, ad esempio, era pronto a fare per il conflitto Russia-Georgia (ovviamente tutto contro la Russia, per una questione “di principio”, ignorata da una Comunità Europea “in ginocchio” di fronte all'Orso).
Cosa c'è da meravigliarsi?
È questo il liberalismo che prolifera nell'affabulazione Radicale.
Il loro migliore dei mondi possibile è sempre l'inferno di qualcun altro.
Ma quel qualcun altro, si sa, è ineducato, massimalista, strumentalizzato.
Insomma, un negro.
Domenico D'Amico
BOLIVIA: LA STRAGE DI PANDO COME PORTELLA DELLA GINESTRAIL. L'ODIO DEI RICCHI CONTRO I POVERI.
di Gennaro Carotenuto
“Quando a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti
io simpatizzavo coi poliziotti.
Perché i poliziotti sono figli dei poveri“
io simpatizzavo coi poliziotti.
Perché i poliziotti sono figli dei poveri“
Pierpaolo Pasolini
Li abbiamo visti tutti i soldatini boliviani inermi, facce da adolescenti indigeni massacrati di botte dai giovani bianchi o sbiancati, creoli o che si sentono creoli o che credono che con quei calci, quegli sputi, quell’odio diventeranno creoli. Li abbiamo visti i soldatini boliviani scappare via nelle strade di Santa Cruz o di Trinidad. Quei ragazzi contadini dell’altipiano, soldatini di leva microscopici con quelle divise sempre troppo grandi. Avevano le lacrime in faccia impastate nel loro sangue e nel fango degli stivali di chi li ha umiliati. Nei loro occhi più che l’odio c’era il terrore. Il terrore di chi ancora una volta si vede sopraffatto. Il terrore di chi viene bastonato da 500 anni ogni volta che tenta di alzare la testa e teme che anche questa volta finirà nella stessa maniera.
E allora li abbiamo riconosciuti guardandoli in faccia, armati di bastoni, di armi da fuoco, perfino di fruste, sopraffare spavaldamente i soldati venuti a fermarli, riempirli di calci e sputi e poi avventarsi sui contadini, senza più freni né inibizioni fino a prendersela violentemente perfino con le cholas, le donne indigene che per tutta la vita li hanno accuditi, serviti. E’ umanamente impossibile capire come possano odiarle tanto. Eppure le odiano o forse le stanno vessando solo in una maniera diversa da come le hanno vessate per tutta la vita.
Li abbiamo visti dare l’assalto in maniera ogni giorno più sistematica a qualunque simbolo dello Stato e della convivenza civile, stazioni, aeroporti, scuole, ma soprattutto ai mercati dove gli indigeni offrono il loro lavoro. E’ oramai una guerra aperta dove lo Stato, la legalità, la democrazia semplicemente sono inermi di fronte all’odio di classe, all’odio razziale coniugato con la forza, all’odio incendiato con i soldi, tanti soldi, all’odio rafforzato dall’impunità, all’odio con alle spalle l’impero. Se lo Stato è nostro, viva lo Stato, ma se lo Stato pretende di farsi democratico e rappresentare tutti i boliviani, allora odiamo lo Stato e lo distruggiamo.
Sembra di raccontare Portella della Ginestra. Paramilitari e sicari, un vero squadrone della morte, hanno aperto il fuoco con le loro armi automatiche su di una manifestazione pacifica di contadini disarmati. Oramai non sono più né otto né quindici, ma si parla di almeno trenta morti ammazzati. E il mandante è il prefetto, il governatore Leopoldo Fernández, sinistro e non pentito collaboratore di due dittatori, torturatore e violatore di diritti umani. Il massacro, pensato a sangue freddo è funzionale al disegno. Vuole provocare la reazione dello Stato e del popolo per far passare da vittime i carnefici, con la complicità dei media, e vuole instaurare il terrore nella regione. Potrebbe essere il punto di non ritorno.
Venitemi a prendere adesso, provoca il mandante della strage, sapendo che lo stato di diritto è un simulacro in un dipartimento dove, dopo la strage, la proclamazione dello stato d’assedio si è rivelata inapplicabile. Come a Portella della Ginestra, mafiosi, latifondisti e l’impero alle loro spalle stanno già costruendo l’impunità.
Forse sbaglia Evo, sicuramente non può fidarsi di quei quattro banditi che sono i prefetti dell’opposizione, ma non può prestare il fianco al nemico rispondendo con la forza e dando il via a una vera dichiarata guerra civile. Evo sa che si è arrivati a questo punto, con l’opposizione schiacciata sul suo stesso estremismo più folle e più violento perché ogni giorno lui, Evo Morales, è più popolare, più saldo, più convinto di stare cambiando davvero la Bolivia. E il popolo lo appoggia come ha testimoniato il . Sono loro, l’opposizione, ad aver bisogno della violenza, ad aver bisogno di incendiare il paese in un mare d’odio. Sono loro ad avere la forza ma non la ragione. confermandolo Presidente 10 agosto con il 67.4% dei voti
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