giovedì 18 settembre 2008

Scienza di sinistra II




IDOLATRIE CONTEMPORANEE - ALLA RICERCA DI UNA SINISTRA ANCORA POSSIBILE

Senza concedere nulla a un'astratta fiducia nella tecnologia, c'è la possibilità di ricostruire una pratica di democrazia economica che contrasti la mortifera supremazia del capitalismo come nuova scienza assoluta. Ma è un percorso politico che non può essere lasciato a se stesso.

seconda parte

di Marcello
Cini

In sostanza il capitalismo del XXI secolo si sta dimostrando incapace di far fronte alle emergenze che si profilano all'orizzonte in tempi brevi rispetto alla durata della vita umana. Incapacità che rispecchia l'intreccio di tutte le questioni cruciali dei prossimi vent'anni l'alimentazione, l'energia, il clima, la pace e la guerra, le migrazioni - e rappresenta il segnale che il sistema economico del capitale globale sta correndo senza controllo verso il baratro. Di questo baratro parla un libro recente di Jacques Attali intitolato Breve Storia del Futuro. Senza entrare in dettagli accenno soltanto che l'autore vede prossima la crisi alla quale va incontro l'attuale impero americano. Il cammino percorso nel secondo dopoguerra verso l'estensione del mercato e della democrazia rischia dunque di arrivare al suo termine nel giro di due o tre decenni. «L'acqua e l'energia si faranno più scarse, il clima verrà posto in pericolo le disuguaglianze e le frustrazioni si aggraveranno, i conflitti si moltiplicheranno, si innescheranno grandi movimenti di popolazione». Il mondo diverrà provvisoriamente policentrico, un "iperimpero", controllato da una striminzita decina di potenze regionali
». Infine, tuttavia, «a meno che l'umanità non scompaia prima sotto un diluvio di bombe, né l'impero americano, né le fasi successive di instabilità e di conflitti saranno più tollerabili». E prosegue: «Istituzioni, mondiali e continentali, organizzeranno allora grazie alle nuove tecnologie, la vita collettiva. Porranno dei limiti all'artefatto commerciale alla modificazione della vita e alla valorizzazione della natura, favoriranno la gratuità, la responsabilità, l'accesso al sapere. Renderanno possibile la nascita di una intelligenza universale, mettendo in comunicazione le capacità creatrici di tutti gli esseri umani, per superarle. Si svilupperà una nuova economia, detta relazionale producendo servizi senza cercare di trarre profitti, in concorrenza con il mercato». I forti sui deboli
Non intendo qui discutere i tempi e i modi di questi scenari, che ovviamente posssono essere messi in discussione e contestati, nel metodo e nel merito. Il valore di queste prefigurazioni, tuttavia, proprio perché non si tratta di previsioni certe e di scadenze fissate, sta infatti nella possibilità di fare qualcosa perché se ne evitino gli scenari più catastrofici e se ne anticipino quelli «a lieto fine». Emerge infatti in modo chiaro che i primi sono frutto della concezione dell'uomo e della società caratteristica della cultura della destra, mentre la realizzazione degli scenari «a lieto fine» richiederebbe la diffusione e l'affermazione nella società di valori antitetici. La concezione oggi dominante è infatti fondata da un lato sulla teorizzazione del dominio dei forti sui deboli, sulla diffidenza di ognuno verso gli altri e sulla divisione della società tra vincenti e perdenti, con la conseguente competizione sfrenata tra gli individui per entrare a far parte dei primi calpestando i secondi. Dall'altro è fondata sull'idolatria del Pil come unica misura del benessere e della ricchezza, sull'ossessiva coazione al consumo di beni sempre più sofisticati e inquinanti, con la marginalizzazione, fino alla eliminazione fisica, della massa dei non consumatori, e sull'illusione della sostituibilità delle relazioni emotive e affettive fra esseri umani con l'acquisto di merci che ne dovrebbero svolgere le stesse funzioni. E' una concezione, infine, fondata sulla determinazione dei potenti a imporre questi «valori» con qualunque mezzo, incluse le armi più letali, a tutto il genere umano.

Senza Progetto
La sconfitta della cultura della destra richiederebbe invece l'affermazione dei valori che hanno caratterizzato gli ideali del socialismo e del comunismo. Non nascondiamoci però che nè l'una nè l'altra di queste forme di organizzazione sociale sarebbero oggi in grado di fornire strumenti validi per affrontare i problemi del capitalismo del XXI secolo. Riconoscere la vetustà degli strumenti pratici e teorici di queste tradizioni non è dunque una forma di opportunismo, ma un giudizio realistico di inadeguatezza rispetto al fine di contrastare l'avverarsi degli scenari peggiori previsti da Attali, (e non solo da lui). Qualcuno spera tuttavia che gli strati popolari colpiti dal peggioramento delle proprie condizioni di vita, dall'emarginazione sociale ed economica e dalla perdita di fiducia nelle possibilità di un futuro migliore per sé e per i propri figli, troveranno autonomamente gli strumenti, i mezzi e le energie umane per contrapporre al disegno del capitale forme di autoorganizzazione di ispirazione socialista. La storia ci insegna tuttavia che, senza la presenza attiva di una sinistra portatrice di un progetto credibile e di valori egemoni tra gli strati popolari della società, la disperazione senza speranza conduce a destra. E nemmeno le catastrofi, piccole o grandi, alle quali il mondo andrà incontro se continua così, porteranno a correzioni automatiche della politica economica nella direzione giusta. Ce lo ha spiegato Naomi Klein nel suo libro Shock Economy, nel quale documenta come proprio le catastrofi naturali siano un'occasione per il capitale di spazzar via gli ostacoli alla sua corsa, eliminando socialmente e addirittura fisicamente, i poveri e i diseredati. «Siamo finalmente riusciti - ha dichiarato per esempio un parlamentare repubblicano dopo l'uragano Katrina - a ripulire il sistema delle case popolari a New Orleans. Non sapevamo come fare, ma Dio l'ha fatto per noi». La strada è dunque tutta in salita. Ma non si parte da zero. La situazione di oggi potrebbe essere simile a quella che ha portato alla fine dell'Ottocento alla nascita delle prime organizzazioni degli operai e dei braccianti: società di mutuo soccorso, cooperative, banche popolari, e successivamente anche sindacati e partiti. Ci sono oggi pratiche, esperienze, forme organizzative già presenti nelle pieghe del tessuto sociale ma oggi minoritarie, che coinvolgono milioni di uomini e donne di buona volontà in tutto il mondo, e potrebbero diventare dominanti in un futuro non lontano. Per esempio lo sviluppo di relazioni mutuamente vantaggiose tra individui ma non dirette alla realizzazione di profitto; la pratica di forme di lavoro in cooperazione finalizzate al raggiungimento di obiettivi comuni; la formazione del consenso sulle decisioni che comportano vantaggi e svantaggi tra soggetti diversi; la composizione dei conflitti tra portatori di interessi differenti; la gestione di beni comuni nell'interesse degli appartenenti a una stessa collettività.

Ritorno al futuro
O ancora si potrebbe imparare a estendere anche ad altri settori della produzione di beni non tangibili lo scontro che ormai da due o tre decenni contrappone nelle tecnologie dell'informatica da un lato i sostenitori delle pratiche dell'open source e del free software e dall'all'altro Bill Gates e la sua filosofia del software proprietario. In sostanza occorre reintrodurre nel processo di produzione della ricchezza la classe dei «beni comuni», scomparsa o quasi dall'economia da quando il capitale ha cominciato nell'Inghilterra del '600 a recintare (enclosures) le terre comunali per appropriarsene. Anche in questo caso, tuttavia, bisogna non cadere nella trappola dell'ottimismo tecnologico che porta ad attribuire alla rivoluzione digitale, con le strutture reticolari alla quali ha dato origine e le possibilità di connessione istantanea tra gli individui che ha assicurato, la capacità intrinseca di instaurare forme più estese e capillari di democrazia partecipata. In particolare Carlo Formenti, in Cybersoviet, mette in guardia la sinistra dall'abbracciare l'illusione che la «democratizzazione dei consumi», celebrata dai profeti del Web 2.0 preluda a una «presa del potere» da parte dei produttori/consumatori. E' più facile che essa conduca «all'espropriazione capitalistica dell'intelligenza collettiva generata dalla cooperazione spontanea e gratuita di milioni di donne e uomini». Più ottimista si mostra tuttavia Mariella Berra che, nel suo bel libro Sociologia delle Reti Telematiche prospetta la possibilità che «il dono e la cooperazione possano idealmente porsi come il presupposto naturale per la crescita di una nuova economia che utilizzi Internet e più in generale il sistema socio-tecnico delle reti come luogo di diffusione e di scambio. Nella rete - prosegue - il soggetto non solo agisce come un attore razionale che massimizza le sue utilità individuali, ma, grazie alle estese e reversibili relazioni di scambio a cui partecipa, si trova a cooperare nella produzione di beni pubblici». E ancora, ad esempio, esiste secondo Giorgio Ruffolo (che riporta i risultati degli studi degli economisti del Centro Hypermedia dell'Università di Westminister), la possibilità che l'esplosione del Web possa «aprire nuove prospettive a una economia della reciprocità, libera dai vincoli sia del mercato che dello Stato». In alternativa alla privatizzazione di ogni bit prodotto, e alla conseguente necessità di assicurarne il diritto di proprietà moltiplicando polizie e tribunali, lo Stato potrebbe «assumere il compito di fornire l'infrastruttura della rete Internet, non più finanziata dalla pubblicità... attraverso tasse che la collettività decide democraticamente per massimizzare il bene pubblico dell'informazione». In tal caso, prosegue, «la libera circolazione dell'informazione fornita dalla rete, anziché costituire un danno per i fornitori privati soddisfa pienamente lo scopo del fornitore pubblico. Si apre un nuovo spazio dove allo scambio valorizzato (informazione contro pubblicità), subentrano prestazioni reciproche gratuite». Su questo principio si potrebbe addirittura sviluppare un nuovo tipo di economia basata sulla cosiddetta impresa open source. Ma chi se non la sinistra, può proporsi di percorrere questa strada? (2-fine. La prima parte è stata pubblicata sul manifesto del 9 settembre scorso)



Dal Manifesto del 17/09/08
prima parte

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