venerdì 27 luglio 2012

D’Ambrosio ucciso da Travaglio & Co.”

 di Benny Calasanzio da Micromega


Immagino che alla notizia della prematura dipartita del consigliere giuridico del Quirinale, Loris D’Ambrosio, i complottisti d’Italia abbiano decretato che l’anello mancante tra Napolitano e Mancino sia sparito al momento giusto, prima che potesse parlare, prima che potesse difendersi, prima che potesse essere “dimesso”. Sono teorie sempre affascinanti.
Quel che mi preme oggi è ricordare che il dispositivo dell’art. 69 del Codice di Procedura Penale prevede che un processo si estingua se risulta la morte dell’imputato, in ogni stato e grado del procedimento. Quello che il Codice invece non cita è l’estinzione delle responsabilità morali, degli errori, degli sbagli. Se muori, per la legge non diventi vergine e puro, ma semplicemente rimani quel che eri. Che tu fossi indagato, imputato o intercettato.
Invece, come era ampiamente prevedibile, alla notizia del decesso dell’uomo che suggeriva a Mancino di mettersi d’accordo con Martelli per evitare l’incriminazione (dicendo di riportare il consiglio ricevuto dell’Intangibile oracolo), molti hanno beatificato il defunto e puntato il dito sulla procura di Palermo e sul Fatto Quotidiano, veri killer morali del D’Ambrosio: “Insieme con l’angoscia per la perdita gravissima che la Presidenza della Repubblica e la magistratura italiana subiscono, atroce è il mio rammarico per una campagna violenta e irresponsabile di insinuazioni e di escogitazioni ingiuriose cui era stato di recente pubblicamente esposto, senza alcun rispetto per la sua storia e la sua sensibilità di magistrato intemerato, che ha fatto onore all’amministrazione della giustizia del nostro Paese” ha detto sobriamente Napolitano. Oltre è andata Ubiqua Santanchè, che dalle spiagge di Marina di Pietrasanta, da Twitter ha estivamente sentenziato: “I pm hanno fatto un altro morto: D’Ambrosio. Fermiamoli”. Ricordarle che per le stesse accuse a Caselli nel 1998 Vittorio Sgarbi è stato condannato in primo e secondo grado per diffamazione aggravata (salvato dalla prescrizione) sarebbe come anticiparle la querela che partirà da Palermo; preferisco godermi lo spettacolo. Citazione merita anche il noto cardiologoMaurizio Gasparri, che certifica come ”Questo drammatico evento dovrebbe essere per tutti motivo di profonda riflessione. È difficile considerare questa scomparsa non condizionata dai recenti eventi”, tralasciando il fatto che D’Ambrosio era malato da tempo. A sorpresa chiude la lunga carrellata (che abbrevio per noia) il pm di Milano Ilda Boccassini, che fa presente come “D’Ambrosio ha salvato l’integrità della magistratura eppure è stato oggetto nelle ultime settimane di attacchi ingiusti e violenti”. Perché ingiusti e perché violenti non è dato sapere, ma tant’è.
L’assoluzione mortis causa non fa onore a chi la invoca e tantomeno a Loris D’Ambrosio, magistrato esperto e rispettato che in passato aveva collaborato anche con Giovanni Falcone. Appaiono evidenti, infatti, gli errori di metodo e di valutazione commessi dall’esperto consigliere giuridico, forse schiacciato dall’insostenibile peso di Nicola Mancino; errori che a tratti apparivano come vere istigazioni a delinquere (specie quando suggeriva, come dicevamo, di concordare una versione di comodo al di fuori del processo). Ora la sua morte non può cancellare quelle imbarazzanti telefonate con Nicola “Minuti Gratis” Mancino, né, a maggior ragione, le responsabilità del Capo dello Stato che non ha censurato D’Ambrosio, non gli ha chiesto la rettifica di quanto detto a suo nome a Mancino e non gli ha imposto le dimissioni.
Serviva solo silenzio, per rispettare una vita che finisce, che è sempre un lutto. E invece, ancora una volta, a perdere l’occasione di stare zitto è stato lui, l’uomo che sussurrava agli indagati. L’imparziale, il terzo, il garante della Costituzione. Ma sarà mica preoccupato di dire le stesse cose che dicono la Santanché e Gasparri?

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