venerdì 6 luglio 2012

Cari professori la vostra idea di democrazia rappresentativa non mi convince


Cari professori la vostra idea di democrazia rappresentativa non mi convince per molte buone ragioni, tutte derivate dall'impraticabilità in sé dell'idea stessa, così come l'avete concepita, e non certo dall'essere io un seguace di una qualsivoglia teoria elitista variamente travestita, che vede nel popolo “la grande bestia” o l'eterno infante bisognoso di guida sicura. 
La vostra idea di democrazia  benché vecchia poggia su una consapevolezza  certamente più matura e più aggiornata di quella che poteva essere quella dei giovani di Seattle o prima ancora quella di tanti movimenti che si perdono nella notte dei tempi. Il dato nuovo e se vogliamo e anche più “distensivo”, è che non si parla più di rivoluzione, di palingenesi, di nuovi avventi, di dialettiche della storia che compiono finalmente l'evoluzione tanto attesa, nemmeno di classi sociali. La vostra visione del mondo, a me che non sono un professore, ma piuttosto un ignorante con la smania del ragionamento, appare piuttosto una riedizione tardiva dell'illuminismo. L'idea di bene comune, di giustizia come ideale razionale e di crescita delle coscienze, come fari dell'esercizio intellettuale. Un'idea che spazza via ogni apparenza mendace del potere, volto solo alla sua conservazione di se stesso e non certo alla saggia amministrazione delle cose terrene. Eppure. 
Ho passato diverse stagioni politiche fra le quali quella di Social Forum, seguita al grandioso movimento sfociato nel G8 di Genova. Anche allora l'idea di una diversa rappresentanza era forte, anche allora si parlava di diversità come di ricchezza, anche allora ci si poneva il problema di un percorso da seguire, di un camminare domandando, senza sapere esattamente dove si sarebbe arrivati. Ricordo che io e un altro compagno “americano” tentammo nel nostro piccolo di introdurre nuove metodologie di discussione e di lotta, mutuate dai movimenti americani, nel tentativo di mettere ordine a quelle concitate, rabbiose e appassionate assemblee all'italiana (la passione spesso sconfinava nell'insulto, ma sembrava che il confronto dovesse essere per forza così), ultimo residuo di un romanticismo sussunto in un ideale di stampo positivistico.
Per un attimo sembrava stessimo mettendo radici, poi d'un tratto, il nulla. I Social Forum evaporarono come neve al sole. Mancava, oltre ad una centralità degli interventi, rifiutata come antitesi di un "nuovo soggetto" emergente, la ricompensa, l'obiettivo finale, il brivido della scommessa, quei fattori che scaldano l'anima animale dell'uomo. 
Oggi per fortuna abbiamo fatto tesoro di quelle esperienze e vedo con sollievo che ci si è posto da subito un obiettivo concreto, lasciando da parte le mistiche “marcosiane”: quello del ricambio della classe dirigente e della fine del vecchio modo di fare politica. L'errore, a mio modestissimo avviso, e qui sta il punto, sta nel prefigurare obiettivi generali nella speranza di delinearne poi i contorni attraverso l'esercizio della democrazia rappresentativa. Un errore di tipo ideologico che assomiglia a una sorta di induttivismo mutuato dalle scienze pratiche e ammantato di filosofia delle moltitudini: si procede dal particolare per arrivare al generale. Niente di male in linea di principio, ma perdonatemi la franchezza e la presunzione, non funziona. Voi siete degli intellettuali di prim'ordine, le migliori intelligenze di questo paese disastrato, siete la nostra coscienza critica. Voi avete non solo il diritto, ma anche il dovere di fare una proposta compiuta per uscire dalla crisi. La democrazia rappresentativa deve essere la conseguenza di una  proposta ben congegnata e ben articolata, e noi società civile dobbiamo essere il laboratorio dove realizzare un progetto di società. La democrazia dovrebbe essere la ricaduta sul piano sociale e politico di un'idea o se volete di un procedimento ipotetico-deduttivo messo a punto dalle vostre intelligenze. Pensare per ideologia che da un massa informe possa nascere qualcosa è illusorio, ed è e solo una perdita di tempo. Se ci riflettete un attimo l'esperienza di Grillo è significativa da questo punto di vista: lui è partito gridando al mondo la sua verità e ne è seguito un movimento sempre più grande e ramificato. Il grillismo ha un che di messianico e di religioso, e per questo fallirà, ma il suo “marketing” ha funzionato alla grande.
Ho partecipato recentemente all'assemblea abruzzese di ALBA e ho avuto la riprova di quanto detto. Non c'era un ordine del giorno, non c'erano delle linee guida, non uno spunto dal quale partire. E' accaduto quello che solitamente accade in questi casi: ognuno ha parlato a ruota libera, abbozzando solo lontanamente una qualche proposta, che ovviamente si è persa nel mare magnum della retorica d'occasione e dei soliti rituali consunti, insomma un salto indietro di trent'anni. Manca nel movimento ALBA un'idea forte. Manca la percezione di un'alternativa di respiro europeo, di una rete in grado di elaborare una visione della politica e dell'economia su scala mondiale. E' troppo? No, se è vero che non c'è più tempo non è troppo. I gruppi di lavoro, i gruppi tematici, le assemblee vanno bene, va tutto bene, ma ci vuole uno spartito, o faremo solo caciara. Non possiamo permetterci che questo movimento, così come i vari occupy il mondo intero evaporino nel nulla. Un centralità è doverosa e necessaria. Rifondazione può dare una mano in questo, considerando la sua distribuzione territoriale e le sue capacità organizzative, a patto di mettere da parte le sue mire egemoniche. Anche SEL può essere utile se la smette di balbettare.
Insomma ho molti dubbi, ma purtuttavia non intendo abbandonare questa esperienza. Voglio darle una chance prima di darmi alla latitanza o turarmi il naso e votare Grillo. Vorrei solo che i professori non scambiassero la sonnolenza post-prandiale per mitezza ed empatia.
Si facessero sentire, sul serio.(F.C.).

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