Cari professori la vostra idea di
democrazia rappresentativa non mi convince per molte buone ragioni,
tutte derivate dall'impraticabilità in sé dell'idea stessa, così come l'avete concepita, e non
certo dall'essere io un seguace di una qualsivoglia teoria elitista
variamente travestita, che vede nel popolo “la grande bestia” o
l'eterno infante bisognoso di guida sicura.
La vostra idea di democrazia benché vecchia poggia su una consapevolezza certamente più matura e più
aggiornata di quella che poteva essere quella dei giovani di Seattle
o prima ancora quella di tanti movimenti che si perdono nella notte
dei tempi. Il dato nuovo e se vogliamo e anche più “distensivo”, è
che non si parla più di rivoluzione, di palingenesi, di nuovi
avventi, di dialettiche della storia che compiono finalmente
l'evoluzione tanto attesa, nemmeno di classi sociali. La vostra
visione del mondo, a me che non sono un professore, ma piuttosto un
ignorante con la smania del ragionamento, appare piuttosto una
riedizione tardiva dell'illuminismo. L'idea di bene comune, di
giustizia come ideale razionale e di crescita delle coscienze, come
fari dell'esercizio intellettuale. Un'idea che spazza via ogni
apparenza mendace del potere, volto solo alla sua conservazione di se
stesso e non certo alla saggia amministrazione delle cose terrene.
Eppure.
Ho passato diverse stagioni politiche fra le quali quella di
Social Forum, seguita al grandioso movimento sfociato nel G8 di
Genova. Anche allora l'idea di una diversa rappresentanza era forte,
anche allora si parlava di diversità come di ricchezza, anche allora
ci si poneva il problema di un percorso da seguire, di un camminare
domandando, senza sapere esattamente dove si sarebbe arrivati.
Ricordo che io e un altro compagno “americano” tentammo nel
nostro piccolo di introdurre nuove metodologie di discussione e di
lotta, mutuate dai movimenti americani, nel tentativo di mettere
ordine a quelle concitate, rabbiose e appassionate assemblee
all'italiana (la passione spesso sconfinava nell'insulto, ma sembrava
che il confronto dovesse essere per forza così), ultimo residuo di
un romanticismo sussunto in un ideale di stampo positivistico.
Per un attimo sembrava stessimo
mettendo radici, poi d'un tratto, il nulla. I Social Forum
evaporarono come neve al sole. Mancava, oltre ad una centralità degli interventi, rifiutata come antitesi di un "nuovo soggetto" emergente, la ricompensa,
l'obiettivo finale, il brivido della scommessa, quei fattori che
scaldano l'anima animale dell'uomo.
Oggi per fortuna abbiamo fatto
tesoro di quelle esperienze e vedo con sollievo che ci si è posto da
subito un obiettivo concreto, lasciando da parte le mistiche
“marcosiane”: quello del ricambio della classe dirigente e della
fine del vecchio modo di fare politica. L'errore, a mio modestissimo
avviso, e qui sta il punto, sta nel prefigurare obiettivi generali nella speranza di
delinearne poi i contorni attraverso l'esercizio della democrazia
rappresentativa. Un errore di tipo ideologico che assomiglia a una
sorta di induttivismo mutuato dalle scienze pratiche e ammantato di
filosofia delle moltitudini: si procede dal particolare per arrivare
al generale. Niente di male in linea di principio, ma perdonatemi la
franchezza e la presunzione, non funziona. Voi siete degli
intellettuali di prim'ordine, le migliori intelligenze di questo
paese disastrato, siete la nostra coscienza critica. Voi avete non solo il diritto, ma anche il dovere
di fare una proposta compiuta per uscire dalla crisi. La democrazia
rappresentativa deve essere la conseguenza di una proposta
ben congegnata e ben articolata, e noi società civile dobbiamo essere il laboratorio dove realizzare
un progetto di società. La democrazia dovrebbe essere la
ricaduta sul piano sociale e politico di un'idea o se volete di un
procedimento ipotetico-deduttivo messo a punto dalle vostre
intelligenze. Pensare per ideologia che da un massa informe possa
nascere qualcosa è illusorio, ed è e solo una perdita di tempo. Se
ci riflettete un attimo l'esperienza di Grillo è significativa da
questo punto di vista: lui è partito gridando al mondo la sua verità
e ne è seguito un movimento sempre più grande e ramificato. Il grillismo ha un che di messianico e di religioso, e per questo
fallirà, ma il suo “marketing” ha funzionato alla grande.
Ho partecipato recentemente
all'assemblea abruzzese di ALBA e ho avuto la riprova di quanto
detto. Non c'era un ordine del giorno, non c'erano delle linee guida,
non uno spunto dal quale partire. E' accaduto quello che solitamente
accade in questi casi: ognuno ha parlato a ruota libera, abbozzando
solo lontanamente una qualche proposta, che ovviamente si è persa
nel mare magnum della retorica d'occasione e dei soliti rituali
consunti, insomma un salto indietro di trent'anni. Manca nel
movimento ALBA un'idea forte. Manca la percezione di un'alternativa
di respiro europeo, di una rete in grado di elaborare una visione
della politica e dell'economia su scala mondiale. E' troppo? No, se
è vero che non c'è più tempo non è troppo. I gruppi di lavoro, i gruppi
tematici, le assemblee vanno bene, va tutto bene, ma ci vuole uno
spartito, o faremo solo caciara. Non possiamo permetterci che questo
movimento, così come i vari occupy il mondo intero evaporino nel
nulla. Un centralità è doverosa e necessaria. Rifondazione può
dare una mano in questo, considerando la sua distribuzione
territoriale e le sue capacità organizzative, a patto di mettere da parte
le sue mire egemoniche. Anche SEL può essere utile se la
smette di balbettare.
Insomma ho molti dubbi, ma purtuttavia
non intendo abbandonare questa esperienza. Voglio darle una chance
prima di darmi alla latitanza o turarmi il naso e votare Grillo.
Vorrei solo che i professori non scambiassero la sonnolenza
post-prandiale per mitezza ed empatia.
Si facessero sentire, sul serio.(F.C.).
Nessun commento:
Posta un commento