sabato 28 settembre 2013

Cambiamo i trattati UE

di Luciano Gallino da  Repubblica


Poco prima delle elezioni, una nota rivista tedesca di studi politici ha pubblicato un articolo intitolato "Quattro anni di Merkel, quattro anni di crisi europea". L'autore, Andreas Fisahn, non si riferiva affatto al rinnovo ch'era ormai certo del mandato alla Cancelliera, bensì al precedente periodo 2010-2013, in cui l'austerità imposta da Berlino tramite Angela Merkel ha rovinato i paesi Ue. Ma la sua diagnosi ci porta a dire che la riconferma di quest'ultima assicura che senza mutamenti di rilievo nelle politiche dell'Unione il prossimo quadriennio potrebbe essere anche peggio.

Sui guasti pan-europei delle politiche di austerità come ricetta per risolvere la crisi, in nome della stabilità dei bilanci pubblici, non ci possono essere dubbi. I disoccupati nella Ue hanno superato i 25 milioni, di cui oltre 19 nella sola zona euro, e 4 in Italia. La compressione dei salari e dei diritti dei lavoratori ha creato decine di milioni di lavoratori poveri, a cominciare dalla Germania dove i salari reali, caso unico in Europa, sono oggi inferiori a quelli del 2000. Quasi ovunque sono stati brutalmente tagliati i trattamenti pensionistici  -  da noi ne sanno qualcosa gli esodati, ma non soltanto loro  -  insieme con i fondi per l'istruzione, la sanità, i trasporti pubblici. Paesi quali la Grecia e il Portogallo sono stati letteralmente strangolati dalle prescrizioni della troika venuta dal Nord, senza che esse abbiano minimamente giovato ai loro bilanci. In tutta la Ue i comuni devono fronteggiare difficoltà di bilancio mai viste per continuare ad assicurare i servizi locali ai residenti.

Codesti risultati delle politiche di austerità, imposte alla fine dalla Germania, dovrebbero bastare per concludere che è necessario cambiare strada. Per contro i governi europei insistono sul sentiero battuto, a riprova del fatto che gli dèi fanno prima uscire di senno coloro che vogliono abbattere. La loro persistenza nell'errore ha preso sempre più forma di misure autoritarie, ideate e avallate da Berlino, Francoforte e Bruxelles. Hanno stanziato quattromila miliardi per salvare le banche, di cui oltre duemila impiegati soltanto nel 2008-2010, ma se i cittadini provano a dire che con 500 euro di pensione o 800 di cassa integrazione non si vive li mettono a tacere con cipiglio affermando che i tagli è l'Europa a chiederli. Come si legge in un altro articolo della stessa rivista citata sopra (firmato da H.-J. Urban), l'autoritarismo dei governi Ue trova un solido alimento nella retorica in tema di sorveglianza e disciplina finanziaria della Bce. La quale parla, nei suoi documenti ufficiali, di "processi di comando permanente"; "regole rigorose e vincolanti di disciplina politico-fiscale"; "credibilità ottenuta tramite sanzioni"; "sorveglianza rafforzata sui bilanci pubblici", nonché di "robusti meccanismi di correzione" (leggasi pesanti sanzioni) che dovrebbero scattare in modo automatico. Giusto quelli che nei giorni scorsi han messo in fibrillazione il nostro governo, perché forse il bilancio dello Stato ha superato il fatidico limite del 3 per cento sul Pil di un decimo di punto percentuale.

Allo scopo di contrastare sia le politiche dissennate che pretendono di curare la crisi ricorrendo alle stesse dottrine che l'hanno causata, sia il crescente autoritarismo con cui i governi Ue le impongono sotto la sferza costruita da Berlino ma brandita ogni giorno dalla troika di Bruxelles (che in realtà è un quartetto, poiché molte delle sue più aspre prescrizioni sono elaborate dal Consiglio europeo, di cui fanno parte i capi di Stato e di governo dei paesi Ue), esiste una sola strada: la riforma dei trattati Ue, ovvero dei trattati di Maastricht, Lisbona ecc. oggi ricompresi nella versione consolidata che comprende le norme di funzionamento dell'Unione. I trattati particolari che ne sono discesi, fino all'ultimo dissennato "Patto fiscale", che se fosse mai rispettato assicurerebbe all'Italia una o due generazioni di miseria, hanno come base il Trattato Ue, per cui da questo bisognerebbe partire.

Tra le revisioni principali da apportare al Trattato (alcune delle quali sono prospettate anche da Fisahn, l'autore citato all'inizio: ma articoli e libri che avanzano proposte a tale scopo, in quel tanto di pensiero critico che sopravvive in Europa, sono dozzine) la prima sarebbe di attribuire al Parlamento Europeo dei poteri reali, laddove oggi chi elabora i veri atti di governo è un organo del tutto irresponsabile, non eletto da nessuno, quale è la Commissione europea. Lo statuto della Bce dovrebbe includere la facoltà, sia pure a certe condizioni, di prestare denaro direttamente ai governi, rimuovendo l'assurdità per cui è l'unica banca centrale del mondo cui è vietato di farlo. Inoltre, esso dovrebbe porre accanto alla stabilità dei prezzi, quale finalità primaria delle sue azioni, un vincolo miope imposto a suo tempo dalla Germania che non ha ancora elaborato il lutto per l'inflazione del 1923, lo scopo di promuovere la piena occupazione. Dovrebbe altresì prevedere, la revisione del Trattato Ue, una graduale riforma radicale del sistema finanziario europeo volta a ridurre i suoi difetti strutturali, cioè l'eccesso di dimensioni, complessità, opacità (il sistema bancario ombra pesa nella Ue quanto il totale degli attivi delle banche), di facoltà di creare denaro dal nulla mediante il debito; laddove nella versione attuale il Trattato si preoccupa soprattutto di liberalizzare ogni aspetto del sistema stesso, con i risultati disastrosi che si sono visti dal 2008 in avanti: in special modo in Germania. A fronte di tale indispensabile riforma, gli interventi in atto o in gestazione, tipo il Servizio europeo di vigilanza bancaria o l'unione bancaria, sono palliativi da commedia di Molière. Infine l'intero trattato dovrebbe essere riveduto in modo da prevedere modalità concrete di partecipazione democratica dei cittadini a diversi livelli di decisione, dai comuni ai massimi organi di governo dell'Unione. Come diceva Hannah Arendt, senza tale partecipazione la democrazia non è niente.

So bene che a questo punto chi legge sta pensando che tutto ciò è impossibile. Stante la situazione politica attuale, nel nostro paese come in altri e specialmente in Germania, non ho dubbi al riguardo. Ma forse si potrebbe cominciare a discuterne. Ci sarebbe un politico italiano volonteroso e capace di avviare simile discussione? Anche perché l'alternativa è quella di continuare a discutere per altri venti o trent'anni, intanto che il paese crolla, di come fare a ridurre il deficit di un decimo dell'un per cento.


venerdì 27 settembre 2013

Criminalità globalizzata

di Tonino D’Orazio
 

Le organizzazioni fuori legge sono sempre esistite, ma oggi, l’abbandono delle sovranità nazionali, la girandola di enormi capitali in libero movimento hanno attirato intorno a sé varie forme di pura delinquenza. Oligarchie russe, mafie albanesi, siciliane e calabresi, triade cinese, yakuza giapponese, pirati, prostituzione (ad alto e costoso livello le escort), trafficanti di stupefacenti e droghe, di armi, di diamanti, di legno, di opere d’arte, di materiale radioattivo, di sigarette, di medicinali, di esseri umani e dei loro “pezzi di ricambio”, di animali. Compreso il traffico dei capitali che godono di una extra-territorialità “legale” in paradisi fiscali e non, ma non meno micidiale della malavita organizzata. La legalità, l’ordine pubblico, intere popolazioni e settori dell’economia, province, regioni, stati passono sotto il dominio del denaro sporco, della corruzione se non della “guerra”. (Attentati vari). Spesso sono gli Stati stessi, tramite dittatori, governi corrotti, accordi insulsi, a permettere alla delinquenza, alle lobbie o anche a gruppi paramilitari, di scorazzare in attività illecite.
Vale la pena elencare una serie di organizzazioni a vario titolo criminali, intendendo con questa parola anche la morte morale o indotta, e il genocidio sociale. Tutte sono fautori di morte “violenta”. Si potrebbero scrivere interi libri su ogni paragrafo, ma ne sono già stati scritti tanti.
Iniziamo con “Big Pharma”. Un manipolo di case farmaceutiche si dividono il lucroso mercato mondiale per arricchire i propri azionisti. Si muore al Sud del mondo per carenza di medicine, o perché spesso troppo care, e si soffre al Nord per iper consumo, se non per gli effetti secondari. Nessuno riesce a controllarle e il loro terreno favorito è la corruzione a livello generale e atomizzato in migliaia di rivoli. Pensiamo alla GlaxoSmithKline italiana (2003) quando furono incolpati di corruzione circa 2.900 medici di base, 37 impiegati e 35 medici della ditta stessa, 80 procacciatori. (Chissà cosa sarà successo, da allora, in questi ultimi dieci anni!). Stessa cosa in vari paesi d’Europa. Negli Stati Uniti è bastato controllare i contributi alle campagne elettorali dei parlamentari, democratici o repubblicani, per scovare la filiera lobbistica. Abbiamo visto com’è finita la riforma della sanità di Obama. Pensiamo anche alla “guerra” in corso tra la triade (Stati Uniti, Europa, Giappone: 88% del consumo mondiale di medicine) e i paesi poveri e emergenti, sin dagli anni ’90 e oggi acutizzata, per la produzione di medicinali generici e a basso costo. Per non parlare di medicinali che spesso non servono a nulla (vaccini vari) ma acquistati ad ogni terrore mediatico debitamente rilanciato o di medicinali estremamente rari e quindi costosissimi (quelli vitali) e le uniche lucrose ricerche afferenti. Inutile aggiungere i vari scandali di questi ultimi anni tra cui le protesi mammellari (500.000 donne nel mondo) di una ditta francese che utilizzava gel adulterato o le valvole cardiache artificiali difettose del San Raffaele di Milano. Oppure addirittura l’inserimento di virus Hiv o cancerogeni in vaccini somministrati in Africa su milioni di persone, oserei dire cavie, appena denunciati. Ci sarebbe molto altro da dire.
In Colombia, (ma non solo) la ricchezza di alcune famiglie ha il colore del sangue. Intanto lo Stato non ha mai negato, se non ultimamente, che i paramilitari erano figli suoi ed erano armati da settori politici, padronali e finanziari per soffocare l’opposizione. I morti accertati sono, tra il 1988 e il 2003, 14.476, tra cui ovviamente molti rappresentanti delle forze sociali. Parimenti l’accumulo della ricchezza di dette famiglie sono il risultato di spoliazioni varie (interi territori agricoli fatti abbandonare da guerriglie varie e ricomperate in centesimi) e di narcotraffico con produzione di cocaina indispensabile al consumo mondiale, ma soprattutto degli Stati Uniti. I narcotrafficanti agiscono ancora oggi come “bravi allevatori” armati per difendere i loro diritti. Il flusso di denaro prodotto e posseduto rappresenta più del Pil totale dello stato colombiano stesso (e di tanti paesi poveri) e scorazza in attività finanziarie illecite nel mondo intero, Italia compresa. Quanti i morti complessivi?
La prostituzione. Anche se le persone che si prostituiscono non fanno tutte parte della rete mafiosa, una grande maggioranza ne è comunque vittima. Migliaia di donne provengono dai paesi dell’est, ormai democratici, altre dai paesi africani, asiatici e sud americani, spinte a vendere il loro corpo, ma spesso a subire soprusi morali e fisici insopportabili. Nell’era della mondializzazione anche la tratta delle donne si globalizza. Ovviamente, essendo un business meno pericoloso che la vendita delle droghe e non essendoci nessun quadro giuridico per combatterlo, è un settore in forte espansione accoppiato a una miseria complessiva in aumento dappertutto.
Il furto e la refurtiva delle opere d’arti. Il valore accertato varia tra 3 e 4,5 miliardi di euro, subito dopo il traffico di armi e quello delle droghe. Non vi sono morti, ma viene derubata la storia e la cultura di un popolo affinché qualche ricco epulone possa “godere” e possedere queste opere in modo nascosto e solitario. In realtà, a ben guardare, causano perdite irreparabili al patrimonio soprattutto delle nazioni del Sud, poiché il traffico delle opere si sviluppa verso i paesi nei quali vi sono i più grandi e ricchi mercati artistici. Le stesse convenzioni internazionali per il recupero di questi beni hanno pochissima efficacia. Sta alla propria popolazione proteggersi. L’esempio più lampante avvenne durante l’occupazione americana dell’Iraq, quando i cittadini riuscirono, sotto i ciechi bombardamenti a “tappeto”, a salvare le opere del famoso museo di Bagdad. Quei selvaggi non trafugarono le opere e i reperti, come ci diede ad intendere la stampa occidentale, ma li riportarono nel museo appena finiti i bombardamenti salvandoli il più possibile. Comunque, dal 1991, sono state trafugate più di 4.000 oggetti. Centomila tombe sono state saccheggiate in Perù, rubate 16.000 icone nelle chiese di Cipro …
Ovviamente il commercio delle armi. Intanto ci sono gli armamenti pesanti. Qui entrano in gioco direttamente gli stati, i governi democratici, le dittature, la produzione industriale. Sono anche armi pesanti ma convenzionali, carri armati, cannoni, obici, elicotteri, bombe e aerei. Nota la vicenda italiana dell’acquisto obbligatorio degli F-35. Navi e sommergibili da guerra, anche a propulsione atomica. Vi sono interi arsenali scomparsi, dopo le ultime “piccole” guerre umanitarie, come quelli della Bosnia o quelli libici (ritrovate in parte nella guerra civile del Mali). Poi ci sono le armi leggere vendute soprattutto nei paesi poveri, dove vi sono guerre etniche e religiose, con genocidi e massacri. Tra loro vi sono micidiali mine antiuomo che scoppiano anche anni dopo, pallottole all’uranio impoverito (in modo che la morte possa arrivare anche tempo dopo tramite cancri vari), gas asfissianti di ogni tipo (tutti i paesi ne posseggono tonnellate, anche se i cattivi sono sempre gli stessi).
C’è poco da dire sulle varie piste mondiali di produzione e di distribuzione delle varie droghe, naturali o artificiali. Gli itinerari dei narcotrafficanti si sono differenziati in questi ultimi anni. Gran parte dei profitti non arricchiscono certamente i coltivatori, e le enormi ricchezze prodotte, “ripulite”, riciclate, rimangono nei paesi occidentali e vengono reinvestiti in mille modi, compreso acqua e cibo. Se non per esempio pagando il 5% allo Stato italiano per farselo ripulire invece di pagare il 30/40% a vari trafficanti di denaro o alle banche. Il denaro ed il mercato sono già un crimine in sé ma cosa dire di milioni di morti e milioni di umani ridotti a larve. Di morti e poveri incastrati tra le guerre dei narcotrafficanti stessi. 

Non ci sono solo la Colombia, il Perù, la Bolivia, l’Afganistan (in un paese in ginocchio dalla nostra umanitaria occupazione, gli allevatori sono diventati agricoltori di papavero, e i “capi” possono finanziare cospicuamente i talebani), quasi tutti i paesi asiatici, anche l’Africa dell’Ovest è diventata area preminente per il traffico della cocaina. Con la coscienza tranquilla i governi occidentali insorgono contro i trafficanti di droga dell’America latina e chiedono fermezza a questi governi contro gli agricoltori, spesso minatori disoccupati e cacciati dalle miniere dalle imposizioni del Fondo Monetario Internazionale. Stessa cosa in Bolivia, dopo la distruzione delle loro coltivazioni di piante di coca, non viene proposto loro nessuna coltivazione di sostituzione. Ricominciano un po’ più in là. A volte qualche arresto eclatante permette di coprire tanti scandali finanziari e bancari, se non direttamente delle istituzioni. Il mortale flusso di denaro sporco influenza complessivamente la finanziarizzazione dell’intero pianeta. Una “mondializzazione felice”, grazie a “meno Stato” e meno controlli reali. 
Già dagli anni ’90 gli esempi di Panama, del Nicaragua o dell’Afganistan mostravano che l’enorme denaro raccolto giocava un ruolo essenziale nei conflitti e nelle crisi regionali, intrecciandosi con gli interessi finanziari e politici locali.
Il traffico dei clandestini. Possiamo definirlo schiavitù moderna. I flussi sono: dall’America latina verso Europa e Nord America; dall’Africa Sahariana verso l’Europa e i paesi arabi del golfo; dai paesi dell’est (Asia e Europa) verso l’America del Nord, l’Europa Ovest e i paesi arabi del golfo; dall’Asia del Sud verso l’Europa e i paesi arabi del golfo. Insomma Europa sempre. Il Canale di Sicilia è la tomba di migliaia di persone, fisica, sociale e morale. Le statistiche mondiali (approssimative ovviamente) indicano una percentuale del 76% di donne e ragazze “esportate” e 24% di uomini. (ONUDC 2012). Il traffico è estremamente lucrativo, soprattutto quello del commercio degli organi umani. Quest’ultimo ancora poco conosciuto, ma in scambi medico-scientifici, anche clandestini, sempre più efficaci. Mors tua, vita mea.
Ci sono traffici immensi e fantasmi alle nostre società. Sono i diamanti, per i quali da alcuni secoli muoiono migliaia di persone, sia per scavarli che per le guerre civili scatenate dagli avidi e amorali “colonizzatori”. Basta pensare al Katanga e alla sua storia di sangue che coinvolge a tutt’oggi i paesi limitrofi. La stessa cosa vale per altri minerali come l’oro, il rame (Cile e Perù), i materiali radioattivi, i legni pregiati come l’ebano africano o il teck della Malesia. Certamente c’è anche il commercio trasparente, ci serve pure un alibi.
E poi ci sono i peggiori, se si può dire, in assoluto. Gli agglomerati bancari. In questa fase di “capitalismo della menzogna”, di fallimenti fraudolenti (Enron, WorldCom, Qwest, Tyco, Lucent, Xerox, varie banche europee e italiane, ecc…) questi rovinano decine di migliaia di salariati, di azionari e di pensionati. Non sono purtroppo poche eccezioni in una globalizzazione dove regna sovrana l’impunità, non solo, ma anche l’obbligo di rifinanziarli con il denaro pubblico. Le banche sono diventate la vera rappresentazione della sacralità moderna e la disperazione di una società che si vorrebbe più giusta. Infatti sono diventate gli strozzini legali e transnazionali di tutti i paesi del mondo, riducendo in miseria milioni di famiglie e accaparrandosi tutta la ricchezza prodotta da tutti, e tutti i fondi destinati alla convivenza sociale dei paesi stessi. Sono gli organizzatori dei cosiddetti “krachs”, cioè di fallimenti pilotati dopo aver spolpato completamente l’impresa. E’ un giochetto che sta funzionando bene, ai massimi livelli e ad altissimo rendimento, cioè miliardi di dollari. Ovunque i dirigenti hanno saccheggiato la loro impresa utilizzando falsi contro-poteri di controllo. Dietro di loro il deserto, cioè il disastro umanitario sotto tutti i punti di vista. Non c’è lotta efficace contro questo tipo di mafia e di banditismo legale. Anzi c’è la protezione culturalmente vincente del libero mercato. Cioè, seppur vogliamo aprire gli occhi, della morte sociale, del genocidio sociale, di un crimine contro l’umanità.

mercoledì 25 settembre 2013

La durezza del vivere

In poche righe viene qui riassunta l'essenza del neoliberalismo. Le parole di Paoda Schioppa sono  illuminanti e svelano senza ombra di ambiguità i reali intenti che si celano dietro parole come riforme, rigore, austerità. L'idea del "buon padre di famiglia" che fa tirare la cinghia a tutta la sua famiglia in tempi di crisi, diviene d'un tratto la regina della menzogna. 
 
"Nell’Europa continentale, un programma completo di riforme strutturali deve oggi spaziare nei campi delle pensioni, della sanità, del mercato del lavoro, della scuola e in altri ancora. Ma dev’essere guidato da un unico principio: attenuare quel diaframma di protezioni che nel corso del Ventesimo secolo hanno progressivamente allontanato l’ individuo dal contatto diretto con la durezza del vivere, con i rovesci della fortuna, con la sanzione o il premio ai suoi difetti o qualità. Cento, cinquanta anni fa il lavoro era necessità; la buona salute, dono del Signore; la cura del vecchio, atto di pietà familiare; la promozione in ufficio, riconoscimento di un merito; il titolo di studio o l’apprendistato di mestiere, costoso investimento. Il confronto dell’ uomo con le difficoltà della vita era sentito, come da antichissimo tempo, quale prova di abilità e di fortuna. È sempre più divenuto il campo della solidarietà dei concittadini verso l’ individuo bisognoso, e qui sta la grandezza del modello europeo. Ma è anche degenerato a campo dei diritti che un accidioso individuo, senza più meriti né doveri, rivendica dallo Stato.". (Padoa Schioppa, Il Corriere della Sera del 26 Agosto 2003).

lunedì 23 settembre 2013

Il monito degli economisti

da theeconomistwarning

La crisi economica in Europa continua a distruggere posti di lavoro. Alla fine del 2013 i disoccupati saranno 19 milioni nella sola zona euro, oltre 7 milioni in più rispetto al 2008: un incremento che non ha precedenti dal secondo dopoguerra e che proseguirà anche nel 2014. La crisi occupazionale affligge soprattutto i paesi periferici dell’Unione monetaria europea, dove si verifica anche un aumento eccezionale delle sofferenze bancarie e dei fallimenti aziendali; la Germania e gli altri paesi centrali dell’eurozona hanno invece visto crescere i livelli di occupazione. Il carattere asimmetrico della crisi è una delle cause dell’attuale stallo politico europeo e dell’imbarazzante susseguirsi di vertici dai quali scaturiscono provvedimenti palesemente inadeguati a contrastare i processi di divergenza in corso. Una ignavia politica che può sembrare giustificata nelle fasi meno aspre del ciclo e di calma apparente sui mercati finanziari, ma che a lungo andare avrà le più gravi conseguenze.
Come una parte della comunità accademica aveva previsto, la crisi sta rivelando una serie di contraddizioni nell’assetto istituzionale e politico dell’Unione monetaria europea. Le autorità europee hanno compiuto scelte che, contrariamente agli annunci, hanno contribuito all’inasprimento della recessione e all’ampliamento dei divari tra i paesi membri dell’Unione. Nel giugno 2010, ai primi segni di crisi dell’eurozona, una lettera sottoscritta da trecento economisti lanciò un allarme sui pericoli insiti nelle politiche di “austerità”: tali politiche avrebbero ulteriormente depresso l’occupazione e i redditi, rendendo ancora più difficili i rimborsi dei debiti, pubblici e privati. Quell’allarme rimase tuttavia inascoltato. Le autorità europee preferirono aderire alla fantasiosa dottrina dell’“austerità espansiva”, secondo cui le restrizioni dei bilanci pubblici avrebbero ripristinato la fiducia dei mercati sulla solvibilità dei paesi dell’Unione, favorendo così la diminuzione dei tassi d’interesse e la ripresa economica. Come ormai rileva anche il Fondo Monetario Internazionale, oggi sappiamo che in realtà le politiche di austerity hanno accentuato la crisi, provocando un tracollo dei redditi superiore alle attese prevalenti. Gli stessi fautori della “austerità espansiva” adesso riconoscono i loro sbagli, ma il disastro è in larga misura già compiuto.
C’è tuttavia un nuovo errore che le autorità europee stanno commettendo. Esse appaiono persuase dall’idea che i paesi periferici dell’Unione potrebbero risolvere i loro problemi  attraverso le cosiddette “riforme strutturali”. Tali riforme dovrebbero ridurre i costi e i prezzi, aumentare la competitività e favorire quindi una ripresa trainata dalle esportazioni e una riduzione dei debiti verso l’estero. Questa tesi coglie alcuni problemi reali, ma è illusorio pensare che la soluzione prospettata possa salvaguardare l’unità europea. Le politiche deflattive praticate in Germania e altrove per accrescere l’avanzo commerciale hanno contribuito per anni, assieme ad altri fattori, all’accumulo di enormi squilibri nei rapporti di debito e credito tra i paesi della zona euro. Il riassorbimento di tali squilibri richiederebbe un’azione coordinata da parte di tutti i membri dell’Unione. Pensare che i soli paesi periferici debbano farsi carico del problema significa pretendere da questi una caduta dei salari e dei prezzi di tale portata da determinare un crollo ancora più accentuato dei redditi e una violenta deflazione da debiti, con il rischio concreto di nuove crisi bancarie e di una desertificazione produttiva di intere regioni europee.
Nel 1919 John Maynard Keynes contestò il Trattato di Versailles con parole lungimiranti: «Se diamo per scontata la convinzione che la Germania debba esser tenuta in miseria, i suoi figli rimanere nella fame e nell’indigenza […], se miriamo deliberatamente alla umiliazione dell’Europa centrale, oso farmi profeta, la vendetta non tarderà». Sia pure a parti invertite, con i paesi periferici al tracollo e la Germania in posizione di relativo vantaggio, la crisi attuale presenta più di una analogia con quella tremenda fase storica, che creò i presupposti per l’ascesa del nazismo e la seconda guerra mondiale. Ma la memoria di quegli anni sembra persa: le autorità tedesche e gli altri governi europei stanno ripetendo errori speculari a quelli commessi allora. Questa miopia, in ultima istanza, è la causa principale delle ondate di irrazionalismo che stanno investendo l’Europa, dalle ingenue apologie del cambio flessibile quale panacea di ogni male fino ai più inquietanti sussulti di propagandismo ultranazionalista e xenofobo.  
Occorre esser consapevoli che proseguendo con le politiche di “austerità” e affidando il riequilibrio alle sole “riforme strutturali”, il destino dell’euro sarà segnato: l’esperienza della moneta unica si esaurirà, con ripercussioni sulla tenuta del mercato unico europeo. In assenza di condizioni per una riforma del sistema finanziario e della politica monetaria e fiscale che dia vita a un piano di rilancio degli investimenti pubblici e privati, contrasti le sperequazioni tra i redditi e tra i territori e risollevi l’occupazione nelle periferie dell’Unione, ai decisori politici non resterà altro che una scelta cruciale tra modalità alternative di uscita dall’euro.
 
Fonte: Financial Times, 23 settembre 2013

Promosso da Emiliano Brancaccio e Riccardo Realfonzo (Università del Sannio), il “monito degli economisti” è sottoscritto da Philip Arestis (University of Cambridge), Wendy Carlin (University College of London), Giuseppe Fontana (Leeds and Sannio Universities), James Galbraith (University of Texas), Mauro Gallegati (Università Politecnica delle Marche), Eckhard Hein (Berlin School of Economics and Law), Alan Kirman (University of Aix-Marseille III), Jan Kregel (University of Tallin), Heinz Kurz (Graz University), Alfonso Palacio-Vera (Universidad Complutense Madrid), Dimitri Papadimitriou (Levy Economics Institute), Pascal Petit (Université de Paris Nord), Dani Rodrik (Institute for Advanced Study, Princeton), Willi Semmler (New School University, New York), Engelbert Stockhammer (Kingston University), Tony Thirlwall (University of Kent).
...ed anche: Georgios Argeitis (Athens University), Marcella Corsi (Sapienza University of Rome), Jesus Ferreiro (University of the Basque Country), Malcolm Sawyer (Leeds University), Sergio Rossi (University of Fribourg), Francesco Saraceno (OFCE, Paris), Felipe Serrano (University of the Basque Country), Lefteris Tsoulfidis (University of Macedonia).
 

La difesa della Costituzione non basta

Aderisco sentimentalmente alla manifestazione del 12 Ottobre a difesa della Costituzione, ma non basta. Occorre la sfacciataggine di chi parla chiaro e va subito al sodo, noncurante della grammatica politica e dei gradualismi. Occorre da subito proporre una via d'uscita da questa Europa della fame e dell'austerità e bisogna fare appello ad un ampio fronte politico. 
Mi piego al realismo della politica e mi spingo a dire che se il Pd si scindesse e una parte di questo confluisse in un formazione antiausteritaria composta da sinistra e movimenti, sarebbe cosa buona. Altrimenti, Grillo.

domenica 22 settembre 2013

L'inutile movimento 2

Scusate se insisto, ma se penso ai miei compagni cosiddetti no-global che si tuffano nel canale di Venezia per protestare contro l'invasione barbarica delle navi da crociera, riesco a capire la differenza fra il contare veramente qualcosa e la semplice esperienza. Siamo nel bel mezzo di una crisi pilotata ad arte per smantellare il welfare e riporre le masse europee di fronte “ alla crudezza del vivere” e questi pensano a fare il bagno nel canale. I miei amici no-global che dopo Seattle pensavano di poter costruire diverso mondo possibile, che hanno fatto forum mondiali, assediato i G8, mobilitato milioni di persone contro la guerra, dando qualche pensiero ai grandi della terra, adesso si accontentano di fare un bagno nel canale per accorgersi di esistere. Non riusciranno mai a risolvere la contraddizione fra la necessità del potere e dell'organizzazione e la maledizione che il potere si porta dietro.
Cacciate i vostri fantasmi compagni, il mondo ha ancora bisogno di voi, svegliatevi, ma fate in fretta.


sabato 21 settembre 2013

La Commissione Europea vuole smantellare lo Stato sociale, ormai lo dice anche il premio Nobel Paul Krugman…

di Daniele Della Bona da memmtoscana

In un articolo del 3 settembre sul New York Times, tradotto e pubblicato dal Sole24Ore il 13 settembre, il premio nobel per l’economia, Paul Krugman (della scuola Neo-Keynesiana) ha così definito i metodi adottati dalla Commissione Europea, riferendosi nello specifico al suo vice presidente e Commissario europeo agli affari economici e monetari, Olli Rehn:
[...] la verità è che Rehn ha gettato la maschera. Non è una questione di rigore nei conti pubblici, non lo è mai stata. Lo scopo è sempre stato usare lo spauracchio ingigantito dei pericoli del debito per smantellare lo Stato sociale.


Fa sempre piacere vedere di essere in buona compagnia nel dire certe cose e avere la possibilità di poter sfidare un interlocutore avverso (tipo Boldrin per dire) a smentire non tanto noi (“ragazzi della MeMMT”) ma un premio Nobel per l’economia. La cosa che però volevo far notare è che ancora una volta non serve un premio nobel per capire che cosa  ci stanno realmente imponendo le elité sovranazionali europee, dal momento che sono loro stesse a dircelo periodicamente (in maniera più o meno esplicita).
Per esempio,  il 23 febbraio del 2012, il presidente della Banca Centrale Europea (BCE), Mario Draghi rilasciava un’intervista in cui annunciava molto tranquillamente che:
Il «pregiato modello sociale ed economico dell’europa», che garantisce la sicurezza del lavoro e gli ammortizzatori generosi, «è obsoleto».
Oppure, nel lontano agosto del 2003, l’ex ministro dell’Economia e delle Finanze nel governo Prodi (2006-2008), Tommaso Padoa Schioppa, uno dei principali alfieri italiani del processo di unione monetaria europea, descriveva così il suo ideale di futuro modello europeo sulle colonne del Corriere della sera:
Nell’Europa continentale, un programma completo di riforme strutturali deve oggi spaziare nei campi delle pensioni, della sanità, del mercato del lavoro, della scuola e in altri ancora. Ma dev’essere guidato da un unico principio: attenuare quel diaframma di protezioni che nel corso del Ventesimo secolo hanno progressivamente allontanato l’ individuo dal contatto diretto con la durezza del vivere, con i rovesci della fortuna, con la sanzione o il premio ai suoi difetti o qualità. Cento, cinquanta anni fa il lavoro era necessità; la buona salute, dono del Signore; la cura del vecchio, atto di pietà familiare; la promozione in ufficio, riconoscimento di un merito; il titolo di studio o l’ apprendistato di mestiere, costoso investimento. Il confronto dell’ uomo con le difficoltà della vita era sentito, come da antichissimo tempo, quale prova di abilità e di fortuna. È sempre più divenuto il campo della solidarietà dei concittadini verso l’ individuo bisognoso, e qui sta la grandezza del modello europeo. Ma è anche degenerato a campo dei diritti che un accidioso individuo, senza più meriti né doveri, rivendica dallo Stato.
E questi sono solo due degli esempi più lampanti e inequivocabili per capire con chi abbiamo a che fare. Insomma, ci stanno dicendo cosa vogliono fare delle nostre vite e del nostro futuro. Questa è la loro finalità.
Il mezzo utilizzato si chiama Euro: una moneta che gli Stati dell’Eurozona non possono più emettere ma che sono costretti a prendere in prestito dai mercati finanziari; i governi quindi non possono attuare politiche fiscali di spesa in maniera autonoma per creare benessere e piena garanzia dei diritti per i cittadini. E, ripeto: anche se domani mattina al posto del governo Letta arrivasse qualcuno che volesse intraprendere realmente politiche a favore della collettività, dei lavoratori, dei disoccupati, sarebbe materialmente impossibilitato a farlo stando dentro l’Eurozona. Oggi, qualsiasi decisione che conti davvero deve essere vagliata dai tecnocrati della Commissione Europea a Bruxelles (come ormai dicono apertamente anche fonti insospettabili).
E, di nuovo, che l’Euro sia uno strumento di governo non lo dico io, ma gli stessi architetti dell’Unione monetaria. Per esempio, nel 2011, l’ex Presidente del consiglio, Mario Monti notava che “what Greece has decided and has implemented is the best signal to date that the euro as a means of structural transformation is working”, ossia “ciò che la Grecia ha adottato e implementato è il miglior segnale che l’euro, come mezzo di trasformazione strutturale, sta funzionando” (fonte).
Ah, ovviamente spiegatelo ai Greci senza più lavoro che sono in piazza da due giorni, con a casa bambini denutriti come in tempo di guerra,  che tutto sta funzionando.


Il Presidente e il sovversivo

Caro Presidente, grazie a lei e ad una classe politica che definire indecente è fare un'offesa all'indecenza, ho perso la voglia di scrivere e persino commentare i fatti della politica con gli amici, ma adesso che si mette a difendere i sovversivi, lei mi istilla nuovo vigore e mi sollecita a prendere la parola spinto dalla nostalgia dei vecchi tempi, quando anch'io ero o presumevo di essere un sovversivo. Si, lei con i suoi discorsi: " spegnere nell'interesse del paese il conflitto fra politica e giustizia", "la spirale di contrapposizione fra politica e giustizia che da troppi anni imperversa in Italia", difende neanche tanto implicitamente, uno che ha violato la legge (chi altri potrebbe essere il soggetto di tale conflitto se non un tale signore condannato per frode fiscale?), e che pretende in coscienza di far valere la propria valutazione soggettiva dei fatti, all'oggettività del giudizio penale, dando involontariaomente legittimità all'idea del conflitto fra legge e coscienza individuale, un conflitto che nella maggioranza dei casi si risolve nella giustificazione alla violazione delle legge stessa e in una ridefinizione del diritto su basi più confacenti ai rapporti di forza in campo fra classi e ceti sociali. Insomma lei difende un sovversivo. In linea di principio sarei d'accordo con questa visione delle cose. Io credo che la coscienza sia l'unica entità, al di fuori della normativa del diritto e di una ipostatizzazione dello stesso, che ci autorizza a violare la legge, a patto che se ne paghino le conseguenze. La coscienza è guidata dall'indignazione o da un senso di missione della storia e spesso lo riconosco è cattiva consigliera, ma senza di questa saremmo ancora alla servitù della gleba, gli operai lavorerebbero 12 ore al giorno per paghe misere e i neri non avrebbero diritto di sedere a fianco a un bianco in un autobus. Ma questo è il punto: c'è la sovversione del povero e la sovversione del ricco. Quella del povero interroga la mia coscienza, quello del ricco mi fa rabbia, perché utilizza la propria forza per scardinare un potere che gli è di intralcio, solo ed esclusivamente per i propri fini. Lei mi sembra decisamente propenso a condannare la sovversione del povero e molto più incline a tollerare al sovversione del ricco, in nome della salvaguardia di una presunta stabilità che puzza tanto di difesa delle oligarchie.

Bene la mia coscienza a questo punto mi costringe ad un atto para sovversivo: dato che io considero la sovversione del ricco un'ingiustizia e un arretramento dei diritto stesso, poiché l'interesse del ricco non ha alcun carattere universale, ma bensì puramente egoistico, e dato che io credo che la sovversione sia legittima solo se porta ad una ridefinizione del diritto che va incontro al bene comune, la disconosco da mio presidente, poiché la sua presa di posizione è lesiva dell'interesse generale.


Distinti saluti
Franco Cilli 


mercoledì 11 settembre 2013

Così non va, Rodotà

di Franco Cilli

Caro professor Rodotà, chi scrive è fondamentalmente un ignorante che sa poco di storia e di materia politica, ma credo di potere dire con buona approssimazione che lei sia l'erede di quell'ambiente liberale rappresentato dal mondo di Pannunzio, ingiustamente usurpato al giorno d'oggi da tristi personaggi alla Pannella. Se stiamo qui a discutere di vie maestre però, ciò significa che la storia, parafrasando Lenin, ha fatto un passo avanti e due indietro o forse sarebbe meglio dire che ha fatto due passi indietro per fare un passo avanti. Viene da pensare che contrariamente a quanto si dice e si pensa persone come lei rappresentino davvero il superamento del novecento. Perché dico questo. Perché nella mia rozza analisi deduco che dopo aver attraversato un'epoca in cui la forza evocativa delle narrazioni novecentesche e la fede messianica verso il nuovo avvento simboleggiato dal sol dell'avvenire, fungevano da motore della storia,  oggi siamo tornati al vecchio e caro riformismo social-liberale, dei vari Rossi, Pannunzio, dei fratelli Rosselli e forse anche dei Gobetti, una cultura e un orientamento politico dei più nobili, finalmente riabilitato dall'infamante accusa di “socialfascismo” e pronto per un nuovo inizio. Insomma è finito un ciclo, nella maniera in cui sappiamo, è finita l'epoca delle favole e del fideismo, e avvinti dal disincanto, siamo tornati alla materia sociale percepita come oggetto e non come incarnazione della soggettività che si fa storia. Niente di male se si pensa che oggi vogliono spacciare per riformismo lo smantellamento del welfare, la fine dei diritti del lavoro e il dimagrimento degli stipendi pubblici. Il riformismo alla Pannunzio tutto sommato oggi sarebbe grasso che cola, ma mi permetta, è pur sempre un vecchio arnese, con il rischio che in quest'epoca così avventata e poco incline alla riflessione, risulti troppo arrugginito, inoltre è un arnese si porta dietro altri vecchi arnesi, che a suo dire volete lasciarvi alle spalle: “non siamo una zattera per profughi”. Certo i movimenti. Quest'ultimi sarebbero una sorta di alibi intellettuale, poiché veicolando linguaggi nuovi in grado di decodificare la realtà attuale, dovrebbero fornirci la chiave per un rinnovato spirito del riformismo. Bella idea, ma rimane il grosso problema di rendere questo movimenti realmente efficaci nell'agire e dotati di un potere reale. Considerando che le oceaniche manifestazioni della pace non hanno sortito il benché minimo effetto nel cambiare le sorti delle varie guerre, direi che c'è un bel lavoro da fare. Come dice lei occorre che acquistiamo la capacità di essere ascoltati, di far sì che 500.000 mila persone che mettono una firma abbiano il loro peso corrispondente nelle decisioni politiche, ma come? Il problema, caro Professor Rodotà e che lei ha un bel dire che “non dobbiamo avere fretta”, “non dobbiamo essere approssimativi” “dobbiamo creare uno spazio di discussione” e via discorrendo, ma oggi non c'è più tempo, non abbiamo la possibilità di dilatare l'azione politica in tempi storici, viviamo nell'emergenza sociale, demografica e ambientale e alle emergenze si risponde oggi non domani o dopodomani. Se la fretta “è cattiva consigliera”, la mancanza di tempo è una tomba. Lei vuol procedere con il senso di una saggezza antica che pondera ogni passo in base da un'esperienza della storia e ad un senso atavico di giustizia, ma a mio avviso lei possiede un senso del progredire degli eventi del tutto arbitrario, che antepone le categorie politiche all'effectivness (mi si perdoni l'anglicismo) dell'agire. Vero è che l'efficacia spesso si coniuga con l'esemplificazione, ma chi l'ha detto che non si può essere efficaci senza essere semplicistici? Cerco di spiegarmi meglio facendo un parallelo fra lei e Casaleggio ( mi perdoni l'accostamento ardito). Casaleggio si è mosso da solo come un intero Think Thank, ossia ha elaborato una strategia politica di medio lungo periodo corredandola di un impianto filosofico snello, ma fortemente evocativo ed ha utilizzato tutti gli strumenti adatti alla scopo, mutuandoli da moderne tecniche aziendali. Ha sfrondato il discorso da riferimenti ideologici e troppo intellettuali (si certo ha detto anche delle cose folli, ma sono marginali rispetto all'insieme). Ha capito perfettamente che se voleva fare massa critica doveva parlare a un pubblico trasversale, stipulare alleanze anche con ceti sociali tradizionalmente ostili alla sinistra, trattare argomenti come l'immigrazione in maniera non univoca in modo che si prestassero ad interpretazioni volutamente ambigue, ha realizzato uno spazio di discussione dove la lingua parlata fosse quella del popolo, e non quella di un soggetto particolare, una lingua immediata e non particolarmente ideologizzata. È stato un lavoro lungo, ma non lunghissimo, e alla fine direi che che ha vinto almeno la prima parte della sua scommessa. Lei invece professore come ho detto rimane nel solco di una tradizione secolare poco avvezza a parlare di strategie, di uso di cose come la rete (certo ha ragione nel dire che la rete non è tutto, ma è molto mi creda e sempre più sarà), di tecniche di comunicazione ecc. Ma soprattutto nella sua estenuante saggezza lei è poco adatto a scaldare un numero sufficiente di cuori. Lei si muove sul velluto, mentre qui dobbiamo muoverci sull'asfalto. Dovrebbe (avrebbe dovuto) esplicitare la sua strategia, dire chiaramente parole del tipo: vogliamo costruire una formazione politica maggioritaria che si riproponga di fare piazza pulita di questa classe politica orrenda, vogliamo bonificare amministrazioni comunali, province, regioni, enti, istituzioni pubbliche e private, vogliamo aumentare gli investimenti per il lavoro per la scuola per la sanità, vogliamo opporci con tutte le nostre forze alle logiche criminali dell'austerità, impostaci da un'oligarchia odiosa e vorace. Vogliamo il potere, per rendere il posto in cui viviamo un posto migliore. Certo queste cose le sentiamo dire da qualcuno, ma in modo sommesso e senza troppa convinzione. E dire che in fin dei conti i numeri dalla vostra/nostra parte ci sarebbero, considerando i milioni di cittadini che hanno appoggiato le lotte per il bene comune. Basterebbe solo stipulare dei patti onesti e sinceri con la parte migliore della “borghesia” italiana (ammesso che esista) e con la piccola impresa e le chance di vittoria sarebbero elevatissime. Dico basterebbe, ma come dicevo adesso è troppo tardi. Se vent'anni fa lei e altri rappresentanti della società civile vi foste presentati agli italiani con un progetto di uscita dal berlusconismo e dal liberismo, con parole nette e un messaggio forte, adesso non saremmo a questo punto, vent'anni di ritardo sono molti e difficili da colmare. Purtuttavia se riuscirà a convincermi che il suo progetto può avere una qualche possibilità di vittoria la sosterrò, ma sarà dura.
Credo che al punto in cui siamo si stia imponendo la logica grillina del fare appello al popolo sovrano, una categoria vecchia quella del popolo, ma mai morta e sempre in grado di rinnovarsi, ma soprattutto una categoria  flessibile, o se si preferisce un insieme con elementi molto numerosi al suo interno. Certo nei comportamenti del popolo non c'è solo il giusto, ci sono spesso cose sbagliate. Il popolo è un'anima bianca e nera, è un insieme di umori, pulsioni, interessi, istinti e comportamenti dei più disparati, ma è qualcosa di drammaticamente reale, e piaccia o non piaccia occorre farci i conti, pena il fallimento di qualsiasi progetto o impresa politica. 
Lo so anche la categoria popolo è vecchia ed evoca lo spettro della reazione, ma si può sempre cambiargli nome.


domenica 8 settembre 2013

La guerra in Siria spiegata alla Signora Pina

dal blog di Paolo Barnard

Prima cosa da capire: nelle forze dei principali Stati coinvolti – cioè USA, Gran Bretagna, Francia, Russia, Paesi del Golfo Persico, Israele, Iran, Libano, Iraq, Turchia e naturalmente Siria – non esistono i ‘buoni’. Sono tutti – sia che si tratti di forze ufficiali o di ribelli – dei figli di puttana con fiumi di sangue sulla coscienza. Quindi dimentichiamoci che ci sia qualcuno di decente con cui bene o male allearsi.

Seconda cosa: tutti i Paesi e i popoli musulmani del Medioriente sono caratterizzati da una divisione religiosa fondamentale, assolutamente cruciale. La divisione fra musulmani SUNNITI e SHIITI. I Sunniti odiano gli Shiiti, e vice versa. Sono cane e gatto. In Siria la maggioranza è Sunnita. In Libano sono divisi fra Sunniti e Shiiti. In Iraq uguale. I Paesi del Golfo Persico sono Sunniti. L’Iran è tutto Shiita. In Israele, i Palestinesi sono Sunniti.

Terza cosa da capire: in Siria, i ribelli che combattono la dittatura di Bashir Assad sono Sunniti, ma sono di Al Qaida o di gruppi vicini ad essa come l’Al Nusra, cioè sono militanti figli del famoso Osama Bin Laden. Nulla a che vedere con un’insurrezione popolana/civile, ma invece un movimento estremamente pericoloso ed estremista islamico.

Quarta cosa da capire: il dittatore siriano Assad sta sulle balle sia a Sunniti che a Shiiti, ma molto di più ai primi, che furono repressi nel sangue da suo padre con ferocia incredibile molti anni fa nella città di Hama.

Quinta cosa da capire: un attacco alla Siria da parte di USA, Gran Bretagna, Francia e altri Paesi può essere legale solo se autorizzato dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Fuori da questa opzione, non c'è modo di renderlo legale, punto. USA, Gran Bretagna e Francia invocano il fatto che Assad avrebbe violato le convenzioni internazionali che proibiscono l'uso di armi chimiche contro i civili, ok, ma quelle convenzioni non prevedono l'uso della forza militare contro chi le viola; USA, Gran Bretagna e Francia non possono neppure invocare il diritto di attaccare la Siria per autodifesa, perché Damasco non minaccia nessuno di questi tre Stati; infine USA, Gran Bretagna e Francia non possono invocare il diritto sancito dalla NATO di attaccare chi minaccia uno Stato membro, perché la Siria non minaccia nessuno di essi.

Sesta cosa da capire: se prendiamo i Paesi coinvolti in questa guerra, cioè USA, Gran Bretagna, Francia, Russia, Paesi del Golfo Persico, Israele, Iran, Libano, Iraq, Turchia e naturalmente Siria, più Al Qaida che combatte Assad, e se vogliamo capire le alleanze o gli odi, ci troviamo davanti a un caos incredibile. Ma davvero pazzesco. Cerchiamo di capirci qualcosa:

Chi è a favore del dittatore siriano Assad: Russia, Iran, un gruppo militante Shiita del Libano che si chiama Hezbollah.

Chi è contro il dittatore siriano Assad: USA, Gran Bretagna, Francia, Paesi del Golfo Persico, Israele, Turchia, i Sunniti del Libano, Al Qaida.

Ma… USA, Gran Bretagna, Francia, Russia, Paesi del Golfo Persico, Israele, Iran, Libano, Iraq, Turchia, ed Hezbollah odiano tutti Al Qaida nella versione non siriana (quella internazionale), mentre USA, Gran Bretagna, Francia, Paesi del Golfo Persico, Israele, Turchia e mezzo Libano Sunnita appoggiano invece Al Qaida nella versione siriana. Assurdo.

Ma… Israele ha paura però che se cade Assad, la Siria si frantumi in una guerra civile zeppa di gruppi militanti scatenati, fra cui l’arcinemico libanese d’Israele che è Hezbollah (pro-Assad), ma anche i gruppi di Al Qaida (anti-Assad), che fomentano alcuni piccoli gruppi estremisti palestinesi a Gaza che sono nemici d’Israele.

Ma… Il Libano è a rischio grave di tornare a spaccarsi in pezzi, coi suoi Sunniti che odiano Assad e i suoi Shiiti che lo appoggiano, ma se si rispacca il Libano, Israele e gli USA se la fanno sotto, e tutto si complica in modo orrendo.

Ma… L’Iraq è già di per sé messo malissimo, frantumato fra gruppi Sunniti e Shiiti militanti che s’ammazzano come polli ogni giorno, fra cui il gruppo Al Qaida ‘Stato Islamico di Iraq Levante’ che combatte sia in Iraq che in Siria contro Assad. Certamente una guerra civile in Siria dopo la caduta di Assad, con un rafforzamento di Al Qaida, non gioverebbe all’Iraq.

Ma… gli Stati del Golfo Persico, fra cui l’Arabia Saudita, vogliono sbarazzarsi di Assad, e sognerebbero anche la fine dell’Iran alleato del dittatore siriano. Così sostengono Al Qaida in Siria, ma abbiamo già detto che la stessa Al Qaida è l’arcinemico dei Sauditi in patria, per cui di nuovo ci troviamo con una contraddizione assurda che potrà solo alimentare venti di violenza in futuro nei Paesi del Golfo.

Ma… Gli americani (e gli inglesi) stanno facendo il solito errore che sempre fanno in Medioriente. Si alleano a casaccio col primo gruppo che combatte colui che gli sta sulle balle (Assad), e in questo caso parliamo dell’alleanza fra USA e Al Qaida in Siria. Poi la prendono nel sedere dopo, come accadutogli in Iraq sia coi Shiiti che coi Sunniti, con un caos micidiale come conseguenza. E’ infatti totalmente assurdo che oggi Obama appoggi Al Qaida in Siria, perché quel gruppo odia l’America per definizione, e se cade Assad è garantito che si rivolterà contro gli americani. Non ci vuole molto a capirlo, ma non lo capiscono alla Casa Bianca. Come non ammettono che tutti i loro interventi militari ‘per la democrazia’ sono stati pretesti per mettere le mani sulle risorse del Paese vittima, lasciandolo poi in un orrendo caos di violenza e anarchia, di corruzione e di povertà. Si veda Iraq, Afghanistan, Libia o Somalia.

Conclusioni: come si può capire ci troviamo di fronte a un marasma impazzito d’intrecci e di pericoli alla dinamite, dove un passo in ogni direzione può farla saltare in aria. Un vero caos mortale impossibile da governare. La guerra in Siria potrebbe eliminare quel porco assassino torturatore di Assad, ma certamente non porterà una goccia di democrazia, né di pace, né di diritti umani da nessuna parte.

Va compreso, signora Pina, che quando una regione come il Medioriente è stata tenuta per un secolo nella repressione e nella miseria, nella guerra e nelle stragi, a causa sia degli interessi occidentali (si legga Perché ci Odiano, Paolo Barnard, Rizzoli BUR 2006) sia degli interessi di altre potenze; che quando una regione come il Medioriente è stata per decenni affidata da USA, Gran Bretagna e Francia a dittatori abominevoli e sanguinari che però erano i pupazzi di noi occidentali, ma che hanno trattato i propri soggetti con una brutalità da medioevo… non si può oggi pretendere di trovarsi con un bel lenzuolo diviso chiaramente fra ‘buoni’ e ‘cattivi’ su cui fare scelte. E non si può pretendere che in due minuti questo caos mortale che è il Medioriente si trasformi a colpi di bombe in una democrazia svedese.

Per cui signora Pina non si aspetti nulla di buono, pulito o chiaro da questa guerra. Scegliere una delle parti è veramente impossibile. Dettare una soluzione oggi, dopo un secolo di marasma sanguinario, è impossibile. E questo nessuno lo vuole ammettere. Solo un’osservazione tragica: i civili muoiono e moriranno in prima serata tv, e loro non hanno colpe.

lunedì 2 settembre 2013

Syrialeaks: come dare la colpa ad Assad

Quando il Daily Mail parlava di «Piano sostenuto dagli USA per lanciare un attacco con armi chimiche contro la Siria e dare la colpa al regime di Assad». [Pino Cabras]

 di Pino Cabras  da Megachip

CON AGGIORNAMENTO IN CODA ALL'ARTICOLO

Un titolo netto sul Daily Mail, un quotidiano da due milioni di copie in edicola e da tre milioni di utenti online al giorno: «Piano sostenuto dagli USA per lanciare un attacco con armi chimiche contro la Siria e dare la colpa al regime di Assad».
Il titolo in questione risale al 29 gennaio 2013. L'edizione online del Daily Mail ha pubblicato un'interessante storia - a firma di Louise Boyle - in grado di gettare la giusta luce investigativa sui tragici attacchi col gas verificatisi in Siria sette mesi dopo, ad agosto 2013.
Ogni tanto, la grande stampa riporta qualche fatto importante che suona totalmente diverso dal racconto di fondo, ma quando questo avviene è un fuoco di paglia che viene subito estinto.
Naturalmente, pochi giorni dopo la pubblicazione, l'articolo era già sparito dagli archivi online del giornale, ma per fortuna non è così facile fare sparire l'informazione da internet una volta che vi abbia fatto capolino. Pertanto siamo in grado di riproporvi l'articolo ed esporre qui i tratti salienti.
Lo scrittore Roberto Quaglia parla di «Legge delle Prime Ventiquattrore. Nell'epoca dei mass media informazioni reali e significative vengono occasionalmente riferite al pubblico da giornalisti in buona fede durante le prime ore che seguono un evento. Poi una invisibile catena di comando evidentemente si attiva e le notizie vere, ma scomode, scompaiono in fretta e per sempre dal proscenio dei media. Solo le notizie comode - non importa se vere o se false - rimangono in circolazione. Per capire il mondo diventa quindi particolarmente interessante soffermarsi proprio sulle notizie soppresse.» Anche per il pezzo di Louise Boyle, è così. Fortuna che c'è Webarchive.
Il sottotitolo dell'articolo della Boyle recita così:
«E-mail trapelate da un fornitore della difesa trattano di armi chimiche dicendo che 'l'idea è approvata da Washington'.»
Parte il racconto:
«Secondo Infowars.com, la e-mail del 25 dicembre è stata inviata dal direttore dell'area di sviluppo degli affari della Britam, David Goulding, al fondatore della società, Philip Doughty.
Vi si legge: "Phil ... Abbiamo una nuova offerta. Si tratta di nuovo della Siria. I Qatarioti propongono un affare interessante e giuro che l'idea è approvata da Washington.
Dovremmo consegnare dell'armamento chimico (CW nell'originale, NdT) a Homs, una g-shell (bomba a gas, Ndt) di origine sovietica proveniente dalla Libia simile a quelle che Assad dovrebbe avere.
Vogliono farci dispiegare il nostro personale ucraino che dovrebbe parlare russo e realizzare una registrazione video.
Francamente, non credo che sia una buona idea, ma le somme proposte sono enormi. Qual è la tua opinione?
Cordiali saluti, David."»
Come interpretare il messaggio? Nell'articolo si riassume così: «L'e-mail sarebbe stata inviata da un alto ufficiale a un appaltatore della Difesa britannica in merito a un attacco chimico "approvato da Washington" in Siria, da poter attribuire al regime di Assad.»
Insomma, il classico casus belli da scatenare con un atto spregevole "sotto falsa bandiera", da attribuire al nemico. Una cosa impensabile per la stampa allineata, ma ben presente ai piani alti della pianificazione bellica. Abbiamo visto ad esempio con quanto candore uno dei frequentatori di questi piani alti, Patrick Lyell Clawson, dichiarava la necessità di un simile pretesto, in quel caso per attaccare l'Iran:
«Francamente, penso che sia molto difficile dare inizio ad una crisi. E faccio molta fatica a vedere come il presidente degli Stati Uniti possa davvero portarci in guerra contro l'Iran. Questo mi porta a concludere che se non si troverà un compromesso, il modo tradizionale con cui l'America entra in guerra sarebbe nel miglior interesse degli Stati Uniti.» Ossia con un casus belli generato da una provocazione. «Stiamo giocando una partita coperta con gli iraniani, e potremmo anche diventare più cattivi nel farlo», concludeva il falco di Washington.
Non sempre il potere si rivela in un modo così sfrontato ed esplicito. Nell'epoca di Wikileaks e di Edward Snowden le rivelazioni passano più spesso attraverso canali elettronici e contro il volere del governo. L'articolo del Daily Mail precisava che «le e-mail sono state diffuse da un hacker malese che ha anche ottenuto i curricula degli alti dirigenti e le copie dei passaporti attraverso un server aziendale non protetto, secondo quanto riferito da Cyber War News
E per far capire quanto i ribelli siriani alleati degli USA e del Qatar potessero essere spregiudicati (oltre che ben addestrati) nell'uso di armi chimiche, l'articolo incorporava anche un video nel quale questi provavano gli effetti delle armi chimiche sui conigli. Il video mostra immagini particolarmente crude, attenzione:
http://www.youtube.com/watch?v=em2PoWYynsc
È quantomeno curioso, per non dire di peggio, che oggi la grande stampa non ritorni sulla notizia del quotidiano londinese per approfondirla. Invece succede che tutto venga stravolto dai tamburi della propaganda bellica.
Le pagine online del 28 e 29 agosto 2013 di tutti i principali quotidiani italiani, ad esempio, titolano che "la Siria minaccia di colpire l'Europa con le armi chimiche", distorcendo in totale malafede una frase di un politico siriano che diceva tutt'altro. Il viceministro degli Esteri Faisal Maqdad criticava infatti i paesi che hanno aiutato «i terroristi» (ossia i ribelli jihadisti) ad usare le armi chimiche in Siria, ammonendo sul fatto che gli stessi gruppi nemici di Damasco «le useranno presto contro il popolo d'Europa». Tradotto: attenta Europa, ti stai allevando da sola le serpi in seno. La frase era correttamente riportata in mezzo all'articolo. Ma il lettore osservi qual è invece la cornice scelta da la Repubblica e da La Stampa (e tutti gli altri, compreso Il Fatto Quotidiano, fanno lo stesso):

 La Stampa attribuisce addirittura la frase ad Assad (giusto per fabbricare l'ennesimo Hitler da strapazzare). Proprio Assad, in un'intervista a un giornale russo ignorata dalle redazioni italiane, due giorni prima dichiarava: «A quei politici vorrei spiegare che il terrorismo non è una carta vincente che si possa estrarre e utilizzare in qualsiasi momento si voglia, per poi riporla in tasca come se niente fosse. Il terrorismo, come uno scorpione, può pungerti inaspettatamente in qualsiasi momento. Non si può essere per il terrorismo in Siria e contro di esso in Mali.»

Basta poco per capire che i giornali italiani danno una copertura della crisi siriana totalmente manipolata e inattendibile. In Italia è ormai impensabile che un giornalista mainstream possa produrre un'articolo controcorrente come quello del Daily Mail.
Ancora oggi, quel giornale britannico, pur in mezzo a omissioni e distorsioni, in uno dei suoi più recenti articoli manifesta comunque il sospetto fortissimo che l'attacco chimico non sia opera di chi vorrebbero farci credere i governi.

A Londra i giornali vogliono ancora vendere qualche copia fra chi non si accontenta della propaganda. Da noi i giornali non fanno nemmeno il minimo sindacale per essere comprati. E il lettore si trova in guerra senza nemmeno sapere perché.
AGGIORNAMENTO DEL 1° SETTEMBRE 2013:

La giornalista Maria Melania Barone mi segnala gentilmente che la ragione più importante che ha spinto il Daily Mail a ritirare l'articolo sta nella citazione in giudizio per diffamazione presentata da Britam, il contractor della Difesa menzionato nel pezzo di Louise Boyle. Le e-mail in questione, in base alla denuncia, sono state manipolate prima della divulgazione. Il Daily Mail ha pertanto rettificato la sua posizione ritirando l'articolo controverso.
E' in ogni caso significativo che il sospetto di azioni "false flag" abbia raggiunto la prima pagina del secondo quotidiano britannico già molti mesi fa. La clamorosa bocciatura della mozione presentata dal primo ministro David Cameron alla Camera dei Comuni per l'attacco alla Siria è stata preceduta da un dibattito parlamentare in cui il vero convitato di pietra era proprio la possibilità che l'attacco chimico fosse un pretesto, tutte le volte che i parlamentari ponevano i loro dubbi sul suo vero autore. Ed è in ogni caso clamoroso il fatto che queste inchieste, e il risultato stesso della storica disfatta parlamentare di Cameron, siano stati praticamente ignorati dalla stampa italiana. 


Il racconto truccato del conflitto previdenziale

di Matteo Bortolon da Il Manifesto   Le pensioni sono sotto attacco. Non a singhiozzo, non in fasi circoscritte: sempre. Tale conclu...