Ho postato l'articolo di Megachip con scarso entusiasmo. Lo scritto è ottimo per rinfocolare una tradizione movimentista tanto velleitaria quanto inconcludente, sebbene basata su presupposti ragionevolemente iscritti nella ricorsività degli eventi e su premesse logiche e politiche condivisibili, ma che proprio per questo ti lasciano l'amaro in bocca e un senso di già visto e già sentito.
Ho partecipato a decine di manifestazioni oceaniche contro la guerra e non sono servite a niente, non hanno spostato di una virgola l'assetto geopolitico di un mondo dominato da logiche di dominio e mercantili. Non mi sottrarrò all'ennesimo rito pacifista, ma solo per senso etico e non per convinzione politica.
Sono da tempo convinto che per contrastare la guerra serva un contropotere e non il cuore ferito delle moltitudini o la loro generosità. L'aporia del potere è snervante. In pratica sappiamo che ci occorre potere, ma temiamo il suo lato oscuro. Eppure dobbiamo deciderci (le moltitudini? Il movimento? Gli intellettuali? Il popolo?) a metterci ingioco e a pensare a un organismo strutturato e ben organizzato con un'articolazione transanazionale in grado di incidere sulle decisioni dei governi e dare una direzione diversa alla politica.
Non c'è altro modo e dopo millenni di storia dovremmo essere maturi, tanto da immaginare di essere capaci di evitare il rischio di vederci risucchiati da un sistema che va abbattuto.
venerdì 4 marzo 2016
Necessità e inutilità di manifestare contro la guerra
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