di Sergio Cesarotto da Politca&EconomiaBlog
La maggioranza della “sinistra” si
crogiola nell’illusione che l’Europa possa mutare pelle sotto la spinta della
solidarietà fra i popoli europei. Da dove scaturisca tale speranza non è dato
capire. Il problema europeo è legato alla crisi della democrazia, all’anti-politica,
alla diffusa disaffezione, se non aperta ostilità di gran parte della
popolazione ai meccanismi della rappresentanza e della mediazione politica. In
termini più accademici questa è definita la crisi della democrazia. Questa
disaffezione si traduce nell’idea che la politica sia tutta uguale, destra e
sinistra, e che i politici siano tutti disonesti. Alla base di questa
disaffezione, e in fondo anche alla base della pochezza progettuale ed etica
dei politici, v’è la sostanziale impotenza della politica nazionale ad affrontare
piccoli e grandi problemi, una volta privata delle leve della politica
economica, e in particolare della sovranità monetaria, improvvidamente cedute a
istanze sovranazionali dominate dalle potenze europee più forti. Questo spiega dunque
molte cose.
Spiega la disaffezione quale dovuta
all’incapacità dei politici di risolvere i problemi, la disoccupazione in
primis, mentre tutti si riempiono la bocca del medesimo mantra delle riforme (operando delle feroci contro-riforme).
Spiega la sostanziale somiglianza fra destra e sinistra che agli occhi del
comune cittadino è giustamente scomparsa. Qual’è la differenza fra Berlusconi e
Prodi? Fra Monti e Bersani? Fra Renzi e Tsipras? La politica è (nei tratti di fondo) la
medesima ed è quella dettata da Bruxelles, Francoforte o Berlino. E spiega
anche il drammatico scadimento della politica, screditata agli occhi delle
persone capaci, per cui chi vale fa altro, e monopolio di personaggi che non
hanno altro da occuparsi se non di conservare le poltrone per sé e per le
proprie consorterie.
Detto in termini un poco più nobili,
una volta esautorato e reso impotente lo Stato nazionale, che è il terreno
primario in cui si svolge il conflitto sulla distribuzione del reddito, viene a
mancare il sale della democrazia. Ma in verità il “sogno europeo”, è
precisamente questo: un disegno liberista volto a esautorare i popoli nazionali
dal potere di incidere sulle scelte dei propri governi nazionali, resi
impotenti se non come strumenti d’ordine (vedi le riforme costituzionali in
questa direzione). Stati nazionali filiali regionali dell’ordine ordo-liberista
che “trasforma le leggi del mercato in leggi dello Stato” (Alessandro Somma), e
ben individuato dai tedeschi nel Ministro unico dell’economia. Questa
espropriazione dello Stato nazionale perfeziona lo svuotamento del terreno del
conflitto sociale, dunque della democrazia, già mortificato dalla
globalizzazione del capitale, lasciato libero di collocarsi dove più gli
aggrada. E non ci si dica, per favore, che piccoli stati sovrani avrebbero vita
dura nell’”economia globalizzata”, come si sente spesso. Polonia e Corea del
Sud se la passano meglio dell’Italia, per fare qualche esempio.
Ma perché, mi si obietta, non lottare
per un’Europa diversa? L’analisi economica - a cui invito a prestar fede non in
nome della fiducia in una scienza discutibile, ma in nome del realismo politico
a cui ci invitava un grande intellettuale, Danilo Zolo - ha da tempo indicato
che un’unione monetaria fra Paesi a diverso grado di sviluppo può solo tenere
con un cospicuo bilancio federale a scopo perequativo, precisamente la “tax-transfer
union” tanto temuta dai tedeschi. Di che parliamo allora? Di utopie da cui
Danilo Zolo ci suggeriva di sfuggire come la peste? Hayek lo disse chiaramente
in un saggio del 1939: uno stato federale fra paesi culturalmente ed
economicamente diversi e dotato di un cospicuo bilancio perequativo non sarebbe
destinato a durare, e si lacererebbe presto sulla destinazione delle risorse (Jugoslavia
docet). L’unico stato federale possibile è quello con uno Stato minimo, uno
Stato ordo-liberista che detti le sole regole di mercato. Ma questo è lo Stato
europeo che già abbiamo, e che la potenza dominante di cui parliamo oggi intende
rafforzare. Quella che abbiamo è la sola Europa possibile, anzi potrebbe andar
peggio.
La “sinistra” è responsabile di cotanto
disastro continentale. In Inghilterra e negli Stati Uniti, la Thatcher e Reagan
si sono resi responsabili di sconfiggere Keynesismo e Stato Sociale. In Europa
l’ha in gran parte fatto la sinistra, in nome dell’Europa. Le responsabilità
dell’Ulivo devono essere ancora conteggiate - ma c’è chi ha cominciato a farlo,
come Giulio Sapelli. Ma forse non c’è n’è bisogno. La sinistra
italiana sta finendo da sola nella spazzatura del 3%.
Abbiamo invece bisogno di una
sinistra italiana che della battaglia per il ripristino dell’autonomia della
politica economica nazionale faccia il proprio vessillo. Siccome la sinistra è
più sensibile all’ orecchio della difesa della Costituzione, bene faremmo aa
affiancare questa battaglia a quella della difesa dei valori costituzionali. Ma
attenzione, se la sinistra ufficiale e intellettuale è sensibile ai valori
costituzionali, la gente normale vede questi temi come estranei, lontani.
Guarda con favore, per esempio, alla semplificazione dei processi politici.
Quindi anche la battaglia per la difesa della Costituzione se ne gioverebbe, se
da astratta difesa di principi si mostrasse come strumento di avanzamento
sociale su temi concreti come piena occupazione, difesa di salari e Stato
Sociale.
Un’ultima precisazione. Personalmente
non credo che lo slogan “fuori dall’euro” sia oggi popolare. Tuttavia un
sentimento anti-Europeo sta montando. L’euro crollerà se e quando diventerà
politicamente insostenibile, e quest’esito va perseguito e preparato,
progettando il dopo, una nuova Europa di Stati indipendenti e cooperativi.
Purtroppo la sinistra italiana, nella sua maggioranza, va nella direzione opposta
di coltivare il “sogno europeo”, predisponendosi all’oblio della storia.
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