sabato 23 giugno 2012

Il Pd molli l'ortodossia dell'euro


di Giampiero Di Santo  da italiaoggi 
 
L'euro fa fare anche a sinistra e centrosinistra cose di destra. E allora, visto che di «fortissimi dubbi sulla sostenibilità della moneta unica» ne esistono da più di venti anni, è tempo che anche il Pd e le altre forze di sinistra che si sono fatte custodi dell'ortodossia dell'Unione monetaria, comincino a discutere dell'eventualità di un'uscita dell'Italia da Eurolandia.


A meno che non vogliano lasciare nella mani di Silvio Berlusconi e della destra populista un'arma che consentirebbe loro di riprendere quota e guadagnare spazi e consensi. Alberto Bagnai, economista dell'Università Gabriele D'Annunzio di Pescara, all'indomani dalla proposta shock del Cavaliere di abbandono dell'Euro, affronta con ItaliaOggi il tema dei temi, quello dei costi economici e sociali della fine della favola non troppo bella di Eurolandia. Una questione, al centro oggi e domani del convegno internazionale «The Euro: manage it or leave it! The economic, social and political costs of crisis exit strategies (L'Euro: gestiscilo o abbandonalo! Costi economici, sociali e politici delle strategia di uscita dalla crisi)» organizzato dall'ateneo abruzzese al quale parteciperanno tra gli altri Ugo Panizza, capo della Debt and finance analysis unit che fa parte della Divisione globalizzazione e strategie di sviluppo dell'Unctad e Roberto Frenkel dell'Università di Buenos Aires.
Domanda. Professor Bagnai, è solo una coincidenza che il convegno sull'uscita dalla moneta unica si tenga proprio il giorno dopo che Berlusconi ha prospettato l'eventualità del cosiddetto break up dell'euro?
Risposta. Mettiamola così, fortissimi dubbi sulla sostenibilità della moneta unica esistono da decenni e nel corso degli anni si è sviluppato in ambito internazionale un dibattito sconosciuto al pubblico italiano. Ora purtroppo assistiamo a eventi che confermano quelle lontane previsioni.
D. Ma perché in Italia non si riesce a parlare serenamente dell'eventualità che i paesi più deboli siano costretti a uscire dalla moneta unica?
R. L'Italia vive un problema, perché la sinistra rivendica il merito di avere condotto il paese in Eurolandia senza ammettere che l'adesione alla moneta unica ha implicazioni non di sinistra, come stiamo scoprendo.
D. A cosa si riferisce in particolare?
R. Studi della Banca d'Italia mostrano come, dall'introduzione dell'euro in poi, siano aumentate le disuguaglianze nella distribuzione dei redditi e sia cominciata la stagnazione dei salari. Insomma, è chiaro che serve un piano B, che bisogna almeno aprire un dialogo sulle soluzioni alternative alla moneta unica e sui costi sociali ed economici dell'abbandono dell'euro. Altrimenti, come ho scritto un anno fa, sarà la destra a farne il suo cavallo di battaglia e a trarne grandi vantaggi.
D. Ma secondo molti, se l'euro andrà in frantumi, saranno dolori per tutti. Vuole fare intendere che non sarà così?
R. Voglio fare intendere che nessuno sa cosa accadrà. Quindi, giustamente, la popolazione è preoccupata e altrettanto giustamente bisogna evitare il terrorismo che purtroppo anche molti giornalisti alimentano.
D. Scusi, ma non è forse vero che finito l'euro i tassi andrebbero alle stelle, ci sarebbe una supersvalutazione e l'inflazione risucchierebbe redditi e tenore di vita?
R. Non è detto. È dimostrato, per esempio, che una limitata parte della svalutazione si trasferisce sui prezzi interni. Pochi ricordano che nei primi due anni di vigore l'euro si svalutò del 35% rispetto al dollaro e che il tasso di inflazione aumentò soltanto dello 0,7%.
D. Ma come la mettiamo con i tassi di interesse? Quando saltò lo Sme, nel 1992-1993, sui titoli del debito italiano si pagava più del 18%.
R. Gli economisti sanno che i tassi arrivarono al 18% nel tentativo di difendere la parità col marco. Quando ci sganciammo scesero rapidamente, e l'anno dopo erano di dieci punti più bassi, quindi su livelli simili agli attuali. Del resto, anche oggi stiamo pagando tassi alti a causa dell'aggancio all'euro che ci obbliga a finanziarci a un prezzo elevato.
D. Quindi secondo lei l'uscita sarebbe indolore?
R. Di questo bisogna discutere, di uscita o gestione della moneta unica. L'euro, come è stato costruito, dà vantaggi soltanto alla Germania e ci sembra che abbia fatto il suo tempo. Qui non passa settimana che non vengano approvate norme che impongono sacrifici, ma la situazione continua a peggiorare. Perché il problema è istituzionale.
D. Allora vuole dire che sono necessari una Banca centrale unica, una sola politica fiscale, un unico governo dell'economia?
R. Sono scettico su questo tipo di soluzione. L'Italia aveva e ha una moneta unica e una sola politica fiscale ed economica, eppure non ha risolto il problema delle divergenze tra Sud e Nord. Diciamo la verità, paesi diversi non possono vivere sotto la stessa moneta. Ci vorrebbero il ripristino della flessibilità del cambio e l'abbandono della moneta unica. Ma sono percorsi che vanno preparati, perché altrimenti, come insegna la crisi argentina e quella del Sudest asiatico, si va a finire male. Ecco perché bisogna parlarne.
D. Berlusconi ha detto che organizzerà un convegno di economisti antieuro. Lei parteciperà?
R. Non sapevo neanche che l'ex premier avesse questa idea. Io comunque non ho preclusioni, vado a fornire dati e riflessioni a chiunque me li chieda. Non ho particolare simpatia per Berlusconi, ma credo che l'incapacità-impossibilità della sinistra di aprire un dialogo sull'euro aprirà spazi enormi a Berlusconi e alla destra populista. Insomma, temo che la scelta della sinistra di farsi megafono dei mercati internazionali dia alle forze di destra la possibilità di vincere a man salva. In Francia, per esempio, Hollande, che ha vinto, vivacchierà nel tentativo di rianimare l'economia. Ma non riuscirà e alle prossime elezioni Marine Le Pen farà il pieno di voti.


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