di Alfonso Gianni da huffingtonpost.it
In un suo recente post,
Stefano Fassina ha giustamente ricordato che Olivier Blanchard,
capo-economista del Fmi, nell'ultimo World Economic Outlook, denunciava
un "errore" non da poco: quello di considerare pari allo 0,5 il
moltiplicatore con cui calcolare gli effetti depressivi sul Pil delle
riduzioni del deficit di bilancio.
Lo stesso Fmi ha poi calcolato che tali moltiplicatori vanno stimati
entro una forbice che va da 0,9 a 1,7. Quindi una riduzione del deficit
di 100 anziché produrre una contrazione della crescita del Pil di 50, ne
provoca in realtà una tra due e quasi quattro volte superiore.
Il guaio è che tutte le misure restrittive di bilancio adottate in
Europa in questo periodo facevano riferimento alla prima cifra, quella
errata.
Giustamente è lo stesso Fassina ad avanzare la tesi che dunque non si
tratti di un errore tecnico ma di un caso (l'espressione è presa a
prestito da Krugman) di confidence fairy, ossia di una versione
fantastica artatamente diffusa a scopi ingannatori. Rendendosi conto,
seppure parzialmente e tardivamente dell'enormità non più nascondibile
del trucco messo in atto, lo stesso Fmi ha cominciato a rimettere in
discussione le sue granitiche certezze sulle politiche di rigore,
benevolmente definite con l'ossimoro "austerità espansionista".
L'evento non è da poco, almeno sul piano culturale, perché metterebbe
in crisi quel nuovo pensiero unico che in Europa si è venuto
ricostituendo come ricetta universale per affrontare la crisi del
debito pubblico. Peccato però che l'influenza delle idee degli
economisti sui governi, quando sono buone, è troppo tardiva rispetto
all'urgenza con cui andrebbero prese misure anticicliche, prima che la
crisi faccia implodere la nostra moneta e con essa la stessa Unione
europea.
Se ne ha una prova anche nella recente carta di intenti
che dovrebbe essere alla base dell'unità dei progressisti e dei
democratici e costituire il perimetro entro il quale definire la contesa
delle primarie. In essa infatti si può leggere l'intenzione di
rafforzare la piattaforma dei progressisti per promuovere "un patto
costituzionale con le principali famiglie politiche europee" e quindi
"un accordo di legislatura" con le forze del centro liberale.
Espressione quest'ultima un po' vaga, ma che certamente fa intendere di
un'alleanza apertissima a destra, quanto chiusa a sinistra. Il tutto si
basa sulla convinzione che "se l'austerità e l'equilibrio dei conti
pubblici, pur necessari, diventano un dogma e un obiettivo in sé - senza
alcuna attenzione per occupazione, investimenti, ricerca e formazione -
finiscono per negare sé stessi".
Tutte queste parole altro non sono che l'esplicitazione del concetto
di "austerità espansiva". Si fondano cioè sulla convinzione che
l'austerità e l'equilibrio dei conti pubblici - da qui il voto convinto
del Pd alla introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione, cui
la Ue non ci obbligava, ma che si limitava a suggerire - siano comunque
un prius indispensabile per rilanciare la crescita. In effetti neppure
il peggiore reazionario sostiene pubblicamente che l'austerità sia un
fine in sé, ma invece tutti la presentano come un passaggio doloroso, ma
assolutamente necessario, per sanare e fare ripartire l'economia.
Ricordate le lacrime della Fornero in diretta televisiva? Quindi il
problema non è quello di contestare il carattere di fine in sé delle
politiche rigoriste e deflazioniste, ma al contrario la loro totale
inadeguatezza fino alla perniciosità in quanto mezzo per rilanciare
l'economia e uscire dalla crisi. A meno che non si voglia un massacro
sociale, come è in corso in Grecia.
lunedì 15 ottobre 2012
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