di Ivan Cavicchi da il fattoquotidiano
Il 27 0ttobre a Roma ci sarà la manifestazione nazionale dei medici per protestare contro il definanziamento del sistema sanitario deciso dal governo Monti. Ben 27 sigle sindacali mediche una volta tanto hanno messo da parte le divisioni per riunirsi sotto uno slogan assai significativo: “Diritto alla cura e diritto di curare”.
La manifestazione prevede un funerale simbolico alla sanità pubblica e
alla professione medica con tanto di carro funebre, cavalli e banda al
seguito. Io andrò a questa manifestazione e credo che dovrebbero aderire
tutti coloro che difendono l’art. 32 della Costituzione, che si
occupano dell’inviolabilità del diritto alla vita, di dignità della
persona, di umanizzazione, le altre professioni sanitarie, e le
rappresentanze dei cittadini. Dopo le notizie di oggi sugli ulteriori tagli inseriti nella legge di stabilità, credo che la partecipazioni diventi obbligatoria. In cuor mio credo (vedi il mio primo post) che staccare la spina a un diritto vitale come quello della salute varrebbe uno sciopero generale.
Se è vero come si sta sostenendo a proposito dell’Ilva che la salute è
un valore intangibile, e se è vero che l’Ilva e la spending review
compromettono questo valore non si capisce perché la prima è condannata e
la seconda no. Che senso ha il diritto alla salute senza un welfare
sanitario?
Nel giugno 2008 a Fiuggi si tenne la prima “Conferenza
nazionale della professione medica”, organizzata dalla Fnomceo e da una
analoga intersindacale medica, che si concluse con delle “dichiarazioni di consenso”:
difesa del servizio pubblico, ripensare la formazione del medico,
garantire la necessaria autonomia professionale, nuovo medico ecc.
Dichiarazioni che restarono lettera morta ma che già allora e comunque
con pesanti ritardi rispetto ai cronici problemi della professione, ci
dicevano come il medico si trovasse in una scomoda posizione: tra un
inedito cambiamento epocale (post modernità) che gli richiede dei
ripensamenti, e la crisi di sostenibilità economica dei sistemi di
welfare (post welfarismo) che gli condiziona la professionalità. Quindi tra ritardi storici e crisi.
Il medico in sostanza fermo nella sua invarianza le prende sia dalla
postmodernità che dal postwelfarismo. Da una parte è perseguitato dal
contenzioso legale fino a essere costretto a rifugiarsi nella medicina
difensiva, dall’altra con le limitazioni economiche la sua prassi è
condizionata al punto da mettere seriamente in discussione ortodossia e
deontologia.
Oggi le ragioni economiche chiedono ai medici di non essere medici e di diventare altro cioè delle burocratiche trivial machine.
I medici, salvo naturalmente le tante eccezioni, non sono più visti
come benefattori ma come controparti di spesa o controparti dei
cittadini cioè come problemi non come soluzioni. Di motivi per avercela
con loro ce ne sono tanti ma non abbastanza per sancire la sfiducia di
una intera categoria e del suo immenso patrimonio di umanità.
Essi generalmente sono brave persone, oneste e coscienziose, che
purtuttavia ogni volta che hanno a che fare con i soldi provocano grossi
problemi di spesa. L’intramoenia, la notula per i medici di medicina
generale, le quote capitarie, le retribuzioni legate al numero dei posti
letto, gli incarichi di responsabilità per le strutture complessse…
sono tutti esempi di opportunismi professionali che alla fine ci costano
cari. Ma anche con queste criticità in nessun modo è giustificabile una
negazione dei valori della professione. Oggi la crisi
spinge a negare il senso profondo di questa professione perché
considerata prima responsabile della spesa sanitaria senza avere
minimamente coscienza dei danni incalcolabili che ne deriverebbero ai
cittadini. Per cui è giusta la protesta. Ma se la mobilitazione non sarà
sostenuta da una adeguata progettualità, essa rischia di ridursi in una
drammatica testimonianza di impotenza. Bisogna rispondere alla spending
review rispondendo alle sfide del nostro tempo. Non si vince la
battaglia per il futuro restando nel passato. Serve un ripensamento del
medico e quindi quella “riforma mai fatta” di cui ho parlato nel post precedente.
Dobbiamo dire noi quale medico vogliamo il che non è possibile senza
prima chiarire quale medicina vogliamo… senza aspettare rassegnati di
essere ridotti a quello che non possiamo né diventare né essere.
mercoledì 17 ottobre 2012
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