venerdì 19 ottobre 2012

L’austerity di Berlusmonti

Il governo Berlusconi e il governo Monti hanno attuato sei manovre correttive dal valore complessivo di 130 miliardi di euro. È una cifra spaventosa, ma di poco superiore al gettito evaso ogni anno: 120 miliardi. In questi numeri è racchiuso tutto il significato di una politica economica tanto ingiusta quanto controproducente.

di Vladimiro Giacchè da
Micromega 


«Al punto in cui siamo, le politiche adottate per risolvere la crisi dell’eurozona stanno facendo più danni di qualunque cosa possa aver causato originariamente quei problemi». Con queste parole l’editorialista del Financial Times Wolfgang Münchau ha salutato giorni fa le più recenti proposte della cosiddetta troika (Fmi, Bce e Commissione europea) per aggiustare i conti della Grecia.

La storia è nota: le misure di austerity sin qui assunte dal governo greco non saranno sufficienti per conseguire gli obiettivi di riduzione del debito prefissati. Questo perché il prodotto interno lordo greco nel 2013 crollerà di un altro 5 per cento, anziché “soltanto” del 3,8 per cento previsto dal governo. E quindi non soltanto il debito non si ridurrà, ma anche l’obiettivo di conseguire un avanzo primario (prima del pagamento degli interessi sul debito) sarà mancato.

Il problema, fa osservare Münchau, è che quel crollo è dovuto in primo luogo proprio alle misure di austerity adottate. Ma questo la troika si ostina a ignorarlo. Così, quando «gli obiettivi economici vengono mancati, si applicano dosi maggiori di austerità, il che provoca una caduta ulteriore del pil, seguita da un ulteriore fallimento nel conseguire gli obiettivi», e così via. Questo è il girone infernale in cui sono ormai precipitati paesi come la Grecia, la Spagna e il Portogallo.

Con l’ennesima manovra messa in campo dal governo Monti, l’Italia scende un ulteriore gradino di quel girone. Per una strana ironia, questo avviene negli stessi giorni in cui lo stesso Fondo monetario internazionale corregge i suoi calcoli sul «moltiplicatore fiscale», ossia sull’impatto delle manovre fiscali sulla crescita economica di un paese. E rivela che quell’impatto è più che doppio rispetto a quanto lo stesso Fondo aveva stimato in passato.

Una manovra fiscale che valga l’1% del Pil comporta una contrazione della crescita in media superiore al 1% (sino all’1,7%). Il prodotto perduto è insomma superiore al beneficio fiscale. Si deprime l’economia, la disoccupazione aumenta, cala la domanda, e con esse le stesse entrate fiscali. È quanto è successo anche in Italia, dove infatti il gettito dell’Iva è diminuito di oltre l’1% nonostante un aumento dell’aliquota dell’1%. Tutto questo finisce per peggiorare la situazione del debito pubblico.

Ma il governo tecnico prosegue imperterrito sulla sua strada: e se originariamente la stretta di bilancio doveva impedire l’aumento dell’Iva, ora decide di fare entrambe le cose. Come contropartita, ritocca le tasse sulle aliquote più basse, ben sapendo che il beneficio conseguente per i più poveri sarà più che controbilanciato dalla progressiva abolizione di gran parte delle detrazioni fiscali (ad esempio per spese mediche).

Il governo Berlusconi e il governo Monti hanno attuato complessivamente sei manovre correttive di bilancio. Il loro impatto, nel triennio 2012-2014, si avvicina ai 130 miliardi di euro. È una cifra spaventosa, ma di poco superiore al gettito evaso ogni anno, che supera i 120 miliardi di euro e di cui non si recupera neppure il 10%. In queste cifre è racchiuso tutto il significato di una politica economica tanto ingiusta quanto controproducente.


Fonte: Pubblico 17/10/2012

 

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