lunedì 8 ottobre 2012

L’eclissi del sogno europeo

da Micromega

“I tagli al bilancio sono arrivati al limite di quello che possiamo chiedere ai cittadini. E’ a rischio la coesione sociale, minacciata dalla crescente disoccupazione, come alla fine della Repubblica di Weimar”. Lo ha detto il premier greco, Samaras. E in Italia, i giovani sono (finalmente) ritornati in piazza per protestare contro i tagli a scuola e istruzione, stanchi di sentirsi definire come una ‘generazione perduta’ per colpa degli errori altrui.

Qualcuno ha ‘ucciso’ l’Europa. Meglio: l’ha suicidata. Ma colpevoli non sono i populisti rinascenti, i comunitarismi d’accatto, gli anti-euro per vocazione e interesse e neppure l’antipolitica crescente. Certo, il sogno di costruire un’Europa in pace e di pace, senza più guerre civili al suo interno, un’Europa dove francesi e tedeschi, italiani e spagnoli e greci e via via fino all’attuale Europa a 27, fossero tutti cittadini di una unica casa comune è stato lasciato diventare (anche da noi cittadini europei) un ‘sogno malato’. E quel desiderio/progetto – tutto politico e culturale, ma soprattutto ideale – di un’Europa dove le differenze di lingua e di cultura non definissero più le frontiere o gli spazi di interdizione, ma fossero occasione di incontro e insieme di costruzione di una identità europea (possibile appunto solo attraverso il riconoscimento e la messa a valore delle differenze/alterità esistenti), questo sogno è svanito da tempo. L’Europa si è fatta sempre più lontana dai cittadini e sempre più evanescente quanto a idealità e progettualità (e appunto a sogno), divenendo invece vicinissima e soprattutto ‘pesantissima’ in termini di ‘disciplina’ economica e fiscale (e quindi sociale). Invece di pensare europeo e all’Europa come a un nuovo bene comune – e quindi da non lasciar privatizzare da nazionalismi, comunitarismi e neppure dai mercati o dai burocrati della Commissione – questo sogno da tempo si è liquefatto sotto il peso degli interessi e degli egoismi economici.

Questo sogno europeo/europeista – già debolissimo per incuria politica, per distrazione culturale, per indifferenza morale – ha subito il colpo di grazia dall’economia e dai mercati e non ri-sorgerà per molto tempo, almeno fino a quando non finirà questa ultima, sciagurata, masochistica guerra civile (economica) tra europei combattuta in nome dell’ultima ideologia del ‘900, il neoliberismo. Un sogno ‘ucciso’ non da un nemico esterno, non da qualcosa di incontrollabile, ma da una paranoia economicistica, ottusa ma ostinatissima che si chiama pareggio di bilancio e fiscal compact e che è tutta interna a questa Europa, meglio: interna alla loro Europa (dei banchieri, dei tecnici, degli economisti, degli ideologi e delle oligarchie finanziarie), ma certo non a quella che dovrebbe e potrebbe essere la nostra Europa dei cittadini, democratica, sociale e solidale, culturale, soprattutto progettuale. Una azione deliberata – pareggio di bilancio e controllo della spesa sono cose buone e giuste in tempi di crescita, non certo in tempi di recessione – ostinata, sadica, ultimo frutto (tra i tanti, il più avvelenato) del nichilismo neoliberista. Nichilismo che per vent’anni ha prima sostenuto indebitamento privato, edonismo ed egoismo, consumismo, principio di piacere e poi godimento sfrenato in nome dell’individualismo edonistico e narcisistico per farci vivere al di sopra dei nostri mezzi (e così garantire i profitti di banche e finanza), portando deliberatamente alla morte della società e della convivialità in nome dell’egoismo e dell’illusione di essere imprenditori di se stessi (era l’obiettivo dichiarato dei neoliberisti); e che ora impone, altrettanto deliberatamente, ostinatamente e cinicamente austerità, recessione, impoverimento, disoccupazione. E quel pensiero unico che ha prodotto la crisi e che pensavamo (ci illudevamo che) si fosse ritirato travolto dall’ignominia per i propri errori, è ancora qui, più forte di prima, più totalitario di prima e con troppi a dire che questa ricetta anti-economica e anti-sociale è l’unica possibile, che dopo Monti non potrà esserci che un Monti-bis, che un eventuale nuovo governo non potrà né dovrà cancellare quanto di buono (sic!) fatto da questo governo, autore/esecutore delle nuove ‘tavole della legge’ (adesso si chiamano ‘riforme strutturali’) della ‘religione del mercato’.

Uno ‘sfinimento del sogno europeo’ dunque, compiuto da politici incapaci di pensare alla politica come governo della polis europea, incapaci di concepire la politica come tecnica regia (diceva Platone) che tutte le altre tecniche (economia compresa, anzi: oggi soprattutto economia e mercati) deve controllare. Un sogno europeista ucciso da uomini piccoli piccoli, da uomini (e donne) senza qualità e che si chiamano Manuel Barroso, Olli Rehn, Angela Merkel, Mario Monti e Mario Draghi. Politici che si credono esperti o addirittura tecnici, in realtà tutti uomini grigi, vestiti di quella scienza triste che si chiama economia. E che oggi sta producendo regresso (ideale, progettuale, culturale, sociale) e insieme neo-autoritarismo da stato d’eccezione permanente.

In Europa, 18,2 milioni di disoccupati nella euro-zona e 25,5 milioni nell’Europa a 27. Se ne vogliono ancora di più? Sembrerebbe di sì, visto il silenzio che accompagna questa nuova e drammatica questione sociale (con la disoccupazione giovanile che è questione sociale dentro la questione sociale).

Liberare dal bisogno. Quel bisogno che “si definisce come insufficienza di reddito per ottenere i mezzi per una sana sussistenza”. Problema politico non da poco, che William Beveridge, autore della citazione, aveva provato a risolvere 70 anni fa. Oggi, la nuova questione sociale sta esplodendo in Italia e in (quasi) tutta Europa, eppure, quanto più il bisogno delle persone e della società aumenta a dismisura (creato dalle stesse politiche neoliberiste dei governi europei), tanto meno i governi sembrano preoccuparsi di liberare la gente da questo bisogno. Anzi. Nel nome della biopolitica neoliberista, si attua una pesantissima disciplina sociale fatta appunto di regresso, di recessione, di impoverimento, di mancanza di lavoro. Liberare dal bisogno, diceva Beveridge: primo compito di uno stato che voglia essere soggetto attivo e non solo spettatore passivo o complice dei mutamenti economici. E le sue erano proposte di riformismo autentico indispensabili ancora oggi per una democrazia europea che voglia avere ancora nei diritti sociali da estendere la base per consolidare i diritti politici e civili: per costruire un benessere diffuso; per ridare speranza e futuro alle persone fornendo loro quella rete di protezione di base senza la quale la libertà degli individui non può esprimersi veramente e resta solo una finzione, per una cittadinanza forse de jure ma certo non de facto.

Occorre allora rimettere la società e la società civile in primo piano, recuperare valori cancellati da trent’anni di neoliberismo, valori come socialità, aiuto, cura. E progetto, speranza, futuro. E anche utopia. Valori che i tecnici al governo non comprendono e non possono praticare perché non sono i valori della tecnica. Occorre smontare l’ipocrisia di chi prima fa la riforma del lavoro e delle pensioni e poi, oggi, si accorge che c’è un calo della domanda e che le imprese non assumono. Serve dire che agenda digitale, sviluppo delle start-up innovative, grandi opere con capitali privati e investimenti dall’estero sono solo pannicelli caldi. Ci vuole ben altro. Ben altro anche rispetto al fondo salva-stati europeo. E ben altro rispetto alle false retoriche europeiste di Merkel, Barroso, Draghi e Monti.

E allora: più Europa (dal basso) e non meno; più cittadinanza attiva a livello europeo e non meno. Più conflitto sociale europeo, più conflitto di modelli di società. E soprattutto, una società civile europea che rivendichi il ruolo che le appartiene. Che crei una sorta di Costituente della società civile (intellettuali, movimenti, indignati di ogni tipo, veri sindacati, movimenti studenteschi ecologisti, antipensierounico, neokeynesiani, neobeveridgiani, neonewdealisti, alternativsti e liberali-radicali). In rete non accontentandosi di essere in rete, ma con un progetto politico vero e non solo virtuale, da costruire insieme. Passando dalla protesta alla proposta.

Se il nichilismo dei mercati e dei ‘tecnici’ è ovunque in Europa, se è la ‘norma’ di vita che ci viene imposta, allora (e ovunque in Europa) serve produrre una ‘contro-condotta’ in nome della democrazia e della cittadinanza europea e soprattutto servono politiche economiche altre e diverse (perché non si possono uccidere così le società). Serve ricostruire una contro-egemonia rispetto al mercato e ai banchieri/tecnici, serve una gramsciana ‘guerra di posizione’ contro l’egemonia neoliberista (o, detto altrimenti, contro il biopotere neoliberista), per conquistare le casematte ben protette, elitarie, a-democratiche e apparentemente inespugnabili dell’Europa dei tecnici, dei burocrati, degli uomini grigi, degli uomini senza qualità. Serve spezzare il ‘loro’ nichilismo economico e tecnico offrendo un ‘nostro’ (di cittadini, di europei) anti-nichilismo politico, fatto di idealità e di progettualità per una polis europea che riparta dall’idea di dover avere una agorà diversa e altra dai mercati, dalle borse, dalla Bce e da quei mass-media che ci fanno credere che a questa politica (anti)europea, regressiva/recessiva, nichilista, da guerra civile (economica) non ci sarebbero alternative.
Ci sono. Bisogna però rimettere al potere l’immaginazione. E il colore contro il grigio dell’economia.


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