di Franco Cilli
Il voto a
Rivoluzione Civile, come pure il voto a Grillo ha a mio modo di
vedere una duplice funzione. In primo luogo quella
dirompente: un buon successo di entrambi imporrebbe un registro
diverso alla politica italiana con nuove regole e nuovi
comportamenti, in una cornice prevedibilmente più democratica e più
ancorata ai valori della costituzione, ancorché depurata da certo
mignottame e da corruttele oltre il livello di decenza. In secondo
luogo, e forse la cosa più importante, quella di mettere al centro della
riflessione politica il tema dell’austerità, rompendo il dogma del
pensiero unico e del liberismo, in base al quale non si sa perché
siamo condannati a trasmutare il debito privato delle banche in
debito pubblico, a sua volta utilizzato come grimaldello per
smantellare e privatizzare il welfare. Sebbene queste due compagini
possano insidiare il primato assoluto delle tre destre, vale a dire
le destre rappresentate da Monti, Bersani e Berlusconi, rimane però
il problema di una pletora delle destre stesse, con la loro occupazione
totalizzante e pervasiva dello spazio politico, le ovvie
ripercussioni sulla dialettica istituzionale e i rischi di una
balcanizzazione della scena politica. Qualcuno a questo punto si pone il problema
se non sia più importante sconfiggere la destra peggiore e far
vincere quella migliore piuttosto che sperare in un'azione dirompente
di Grillo ed Ingroia. A parte il fatto una destra è sempre una
destra, e quindi non si vede la convenienza di una sua vittoria, ma
sfido chiunque a scegliere quale sia la destra migliore.
Va detto che l’occupazione nominale
dello spazio politico riservato alla sinistra da parte di una delle
destre, cioè quella di Bersani, ha imposto a Rivoluzione Civile la
ridefinizione del perimetro elettorale, e una nuova lottizzazione
dell’area di sinistra, allo scopo di guadagnare nuovi spazi, e a
Grillo la collocazione in una dimensione autonoma e parallela, “né
di destra, né di sinistra”, in grado di creare un'osmosi dai
comparti tradizionali della politica verso un'area indifferenziata.
A conti fatti sembrerebbe naturale stare a vedere se la scommessa di Igroia ha una qualche possibilità di vittoria e far sì che la situazione a sinistra ridiventi fluida. C'è però una tesi, sostenuta da alcuni miei amici, che si insinua in un gioco politico apparentemente dominato da
geometrie di tipo euclideo. Questa tesi, che si riallaccia in qualche maniera alla teoria della destra
migliore, afferma che la frammentazione
del quadro politico sia il prodotto di riflessi identitari e di
rendite di posizione, i quali ritarderebbero l’uscita del corpo sociale dal novecento,
rimandando la necessaria reductio del quadro politico a
sostanza unica, nella fattispecie il Pd, il quale dovrebbe assumere
necessariamente il ruolo di contenitore unico della materia politica,
permettendo la ripresa di una dialettica storica nel segno
dell’unità. In soldoni, facciamo vincere questa destra, quella che
più autenticamente riflette lo spirito dei tempi, ripuliamo il campo
da ridondanze inutili e poi ripartiamo da qui. Così facendo
sgombriamo l'arena politica da partitini buoni solo a se stessi e
dalla volgarità berlusconiana, serio pericolo di un’involuzione
autoritaria, all’insegna della totale anencefalia delle masse e del
volto decadente e corrotto di una dittatura di stampo bananiero.
Vorrei dire a questi miei amici che
forse in questo modo usciremmo dal novecento, ma solo per rientrare
nell’ottocento. Tesi del genere sanno di neo-storicismo e
neo-hegelismo. Si intravede la nostalgia per il ritorno alla totalità
e un'insofferenza verso gli elementi particolari della realtà visti unicamente come residui di un passato non
ancora pienamente sussunto nelle nuove forme della politica e della
società .
Il guaio di queste metafore filosofiche
è che sono molto suggestive, ma sono ben lontane da una realtà che
non si lascia piegare alle esigenze della filosofia. La natura del Pd
è in verità molto prosaica ed è fatta di scelte puramente
contingenti maturate in un contesto dove predomina un unico pensiero.
Inoltre questo partito è talmente compromesso con un tipo di
politica affaristico-clientelare ed è così dominato da lotte
intestine, che resta paralizzato da un sistema di veti difficilmente
eludibili. Difficile infatti conciliare l'anima riformista di questo
partito (seppure esiste) con il carrozzone clientelare ereditato
dalla sinistra DC, cresciuto all'ombra di connivenze con il campo
avversario al punto tale da configurare un unico sistema di potere.
L'unica opzione seria a questo punto sarebbe quella di
smantellare del tutto questo sistema del quale anche il Pd è
parte integrante. Ma voglio prendere per buona la necessità di semplificare il
quadro politico e scongiurare il pericolo berlusconiano, “un mondo unito sotto il cielo stellato”. Ebbene in questo caso c'è da
augurarsi che vinca il Pd, ma che allo stesso tempo abbiano una buona affermazione Ingroia
e Grillo e che venga finalmente asfaltato il berlusconismo. Un
risultato siffatto permetterebbe (in teoria) il riavvio di una
dialettica democratica, con la speranza (a mio avviso vana) di un
cambiamento di rotta del Pd, che pressato dalle falangi grilline e
rivoluzionarie sarebbe costretto ad un'inversione di rotta di 180
gradi, dando finalmente sollievo al suo popolo da tempo bistrattato e
costretto ad ingoiare rospi.
Bene se qualcuno a questo punto vuole assumersi il compito di far vincere il Pd, assumendosi anche il
rischio che rifaccia un'alleanza con Monti per riaffermare la politica del
rigore, con Fiscal Compact e annessi, faccia pure. E' un compito arduo e ingrato, ma d'altronde qualcuno dovrà pur
fare il lavoro sporco.
Io sono un vile, e credo poco nelle soluzioni sofferte, voterò per Ingroia,
per quello che potrà servire.
quoto! (e pensare che qualcuno fa risalire la data di nascita del PD al 1921...)
RispondiEliminaciao e incrociamo le dita
Speriamo bene. Rivedere Berlusconi al governo è un film dell'orrore, ma se penso a Bersani mi viene la depressione. Ciao
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