domenica 10 febbraio 2013

La politica, merce fittizia


di Tonino Perna da soggettopoliticonuovo

Karl Polanyi , nel noto saggio «La grande trasformazione» spiegava l’avvento del mercato autoregolato come il frutto di una trasformazione in merce di tre fattori: il lavoro, la terra e la moneta. Nessuno dei tre, diceva Polanyi, è stato prodotto dall’uomo: «il lavoro è soltanto un altro nome per un’attività umana che si accompagna alla vita stessa la quale a sua volta non è prodotta per essere venduta(…) la terra è soltanto un altro nome per la natura che non è prodotta dall’uomo, la moneta infine è soltanto un simbolo del potere d’acquisto». Per questo Polanyi parla di merci-fittizie, vale a dire di una finzione che ha reso merce ciò che non lo è, con conseguenze disastrose per la società e per gli ecosistemi.
Se fosse vissuto fino ai nostri giorni, credo che Polanyi avrebbe aggiunto «la politica» come merce-fittizia, in quanto il processo di mercificazione l’ha pienamente raggiunta ed inglobata. In Italia, questo fenomeno è più chiaro che in altri paesi, in quanto il processo di disgregazione/disfacimento dei partiti è in stato più avanzato. D’altronde, pochi lo sanno, ma noi siano stati un paese «laboratorio politico» per secoli, da cui sono pervenuti grandi contributi teorici, da Macchiavelli a Gramsci, ancora studiati in tante Università straniere.
Ma, è soprattutto, nel XX° secolo che l’Italia è emersa come avanguardia/laboratorio politico, nel bene e nel male. In Italia è stato «inventato» il fascismo, una forma moderna di dittatura che coniuga il nazionalismo con istanze sociali e che è stato ripreso dal nazifascismo di Hitler (che in una nota lettera riconosceva a Mussolini di averlo ispirato), e da alcune varianti: da Peron in Argentina, da Franco in Spagna e Salazar in Portogallo. Negli anni ’90 è arrivato il Berlusconismo, una forma politica nuova che nasce in concomitanza dello strapotere assunto dai mass media, in particolare la Tv. Anche questa forma politica è stata imitata da diversi paesi, dal Perù all’Indonesia, dove attraverso il controllo dei principali media leader politici sono arrivati al governo.
Infine, negli ultimi anni è nato il Grillismo, un movimento politico che usa per la prima volta internet/la rete in maniera «sostanziale» per dare a tutti l’impressione di contare e di partecipare direttamente alle scelte politiche, con una spiccata componente moralizzatrice ed una forte domanda di «democrazia diretta». Questo fenomeno sembra rispondere meglio di qualunque altro alla crisi verticale dei partiti, ma risponde ancora meglio – come ha ben messo in luce Giuliano Santoro nel suo saggio Un Grillo qualunque – alla evoluzione della società dello spettacolo, di cui parlava Guy Debord già negli anni ’70. Il Grillismo, detto anche Movimento 5 Stelle, che molti davano per effimero, si sta rivelando molto più radicato e convincente nell’era del «mercato elettorale», anche grazie all’innovazione efficacemente introdotta da Grillo: allo strumento postmoderno dei social network ha associato uno strumento antico come i comizi in piazza. Trovata geniale, come quella operata dalla Fiat quando lanciò la nuova 500, un mix di passato «nella forma» e futuro «nella tecnologia», o quella dei biscotti del Mulino Bianco che ti danno un’idea di naturalezza del prodotto insieme all’efficienza di una fabbrica moderna.
Questo è il dato assolutamente inedito della politica in tutti i paesi a capitalismo maturo, ovvero dove il processo di mercificazione ha inglobato tutto l’esistente, dalle relazioni sociali, agli affetti, al nostro rapporto con la Natura. Non c’è più la «Politica», intesa come lotta tra diverse visioni del mondo, tra diversi valori e ideologie, ma c’è il mercato elettorale, che è un segmento all’interno del più vasto ed onnicomprensivo «mercato mondiale». Nel «mercato elettorale» conta la novità dell’offerta- non a caso tutti si proclamano a favore del «Nuovo» – la forza del brand che si identifica con il capo, la capacità di suscitare emozioni nei consumatori/elettori attraverso slogan efficaci.
Le strategie messe in campo dalle forze/imprese politiche sono identiche a quelle che si usano per il lancio di un nuovo prodotto o per fidelizzare i consumatori rispetto ad un prodotto già presente sul mercato. I sondaggi, che in maniera ossessiva stanno accompagnando questa campagna elettorale, dimostrano come le preferenze degli elettori/consumatori seguano il trend dell’esposizione mediatica del leader di turno, la sua capacità di suscitare immagini accattivanti, di conquistare la simpatia degli utenti. Non importa se per esempio il Cavaliere le spara grosse – come i quattro milioni di posti di lavoro – oppure Grillo prometta un salario di cittadinanza con i risparmi dei costi della rappresentanza politica, e fa l’esempio della Sicilia dove i dodici consiglieri regionali M5S hanno rinunciato a circa 10.000 euro dei loro emolumenti per alimentare un fondo di microcredito (cosa c’entra con il «salario di cittadinanza» per milioni di disoccupati/inoccupati ?!). Anche un nuovo profumo viene pubblicizzato facendoti immaginare che puoi conquistare una donna/uomo bellissima/o, oppure una nuova auto che ti fa attraversare il polo nord.
Non è dunque un caso se nel nostro paese, che continua ad essere un’avanguardia/laboratorio politico, i comici fanno politica (e non solo Grillo), ed i politici fanno i comici (e non solo il Cavaliere). Certo, non tutti hanno gli stessi talenti. Il povero Fini, con i suoi ragionamenti articolati in buon italiano, è completamente fuori mercato, sembra un politico di un altro secolo. Il Professor Monti, invece, è diventato patetico da quando tenta di fare il simpatico, va in Tv in trasmissioni da avanspettacolo, tentando di uscire dal ruolo di statista, grigio e rigoroso, che gli era stato dato. Anche lui ha fondato un «partito personale», come hanno fatto negli ultimi venti anni nell’ordine: Berlusconi, Di Pietro, Casini, Fini, Vendola, e per ultimo Oscar Giannino. Su questo piano l’ultimo partito, insieme alla Lega Nord, che rimane sul campo politico è il Pd, ed ha sicuramente ragione Bersani a dire che i «partiti personali» sono il cancro della democrazia. Solo che scambia gli effetti con la causa che, come abbiamo ricordato, è legata al processo di mercificazione globale che ha ridotto anche la politica a merce, e l’elezioni politiche ad un mercato come gli altri.
Certo, non possiamo pensare che si possa tornare al secolo scorso, prima degli anni ’90, quando la gente votava «per la croce», per «falce e martello» o per la «fiamma tricolore», e non solo per la faccia e la simpatia riscossa dal leader di turno. Forse, bisognerebbe dare più valore e forza alle autonomie comunali, uno dei pochi luoghi che ha resistito a questa deriva mercatistica della politica, uno dei pochi luoghi dove ancora contano passioni e programmi, capacità di coinvolgimento e mobilitazione sociale, e non solo l’invenzione di un nuovo brand. Sicuramente, al di là dell’abolizione del Porcellum, la peggiore legge elettorale d’Europa, c’è da ripensare a come la Politica possa ritornare sulla scena e le elezioni possano avere più senso che vendere una nuova auto, computer o tablet.


Fonte: il Manifesto del 10/02/2013

 

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