di
Paul Krugman (dal New
York Times)
traduzione di Domenico D'Amico
Due
mesi fa, quando Mario Monti lasciò il posto di Primo Ministro,
l'Economist
valutò che “La prossima campagna elettorale sarà, soprattutto,
una prova della maturità e del realismo degli elettori italiani”.
L'azione matura e realistica, si presuppone, sarebbe dovuta essere
quella di far tornare il sig. Monti – essenzialmente imposto
all'Italia dai suoi creditori – al posto che occupava, stavolta con
un autentico mandato democratico.
Be',
le cose non si mettono bene. Il partito del sig. Monti sembra
destinato a essere buon quarto; non solo risulta molto indietro
rispetto all'essenzialmente ridicolo Silvio Berlusconi, ma è molto
indietro rispetto a un comico di professione, Beppe Grillo, la cui
mancanza di una piattaforma coerente non gli ha impedito di diventare
una potente forza politica.
È
una prospettiva fuori dall'ordinario, che ha già scatenato un mare
di commenti sulla cultura politica italiana. Tuttavia, senza tentare
di difendere la politica del bunga bunga, lasciatemi fare una domanda
piuttosto scontata: qual è il bene prodotto in Italia o, se è per
questo, nel resto d'Europa, da quello che passa per maturo realismo?
Dato
che il sig. Monti era, in effetti, il proconsole insediato dalla
Germania per imporre l'austerità fiscale a un'economia già in
crisi, la volontà di perseguire un'austerità senza limiti è ciò
che definisce la rispettabilità nei circoli politici europei. Non ci
sarebbe problema, se le politiche di austerità funzionassero davvero
– ma non funzionano. Altro che maturi e realisti, i sostenitori
dell'austerità sembrano sempre di più allucinati e petulanti.
Consideriamo
come le cose avrebbero dovuto funzionare a questo punto. All'inizio
dell'infatuazione europea per l'austerità, i maggiori attori
politici respinsero le preoccupazioni che i tagli alla spesa e
l'aumento delle tasse potessero, in un'economia già depressa,
aggravare la depressione. Al contrario, insistettero, queste
politiche avrebbero rilanciato le economie in quanto avrebbero
ispirato fiducia.
Ma
la fata della fiducia non si è fatta vedere. Le nazioni che
applicarono una
dura austerità hanno subito gravi rovesci economici, più severa
l'austerità, più grave il rovescio. In effetti questo collegamento
si è dimostrato talmente forte che il Fondo Monetario
Internazionale, con un notevole
mea culpa, ha ammesso di aver sottostimato i danni che
l'austerità avrebbe provocato.
E
nel frattempo l'austerità non ha nemmeno raggiunto l'obbiettivo
minimo di ridurre il peso del debito. Al contrario, le nazioni che
hanno applicato un'austerità severa hanno visto aumentare il
rapporto
debito/PIL, perché le loro economie in discesa hanno reso vana
ogni riduzione del debito. E dato che le politiche di austerità non
sono state compensate in alcun luogo da politiche espansive,
l'economia europea – che non aveva mai davvero recuperato dal crack
del 2008-2009 – nel suo insieme è ripiombata nella recessione, con
tassi di disoccupazione ancora più alti.
Ci
sarebbe la buona notizia della bonaccia nel mercato azionario, cosa
dovuta principalmente all'esplicita volontà della Banca Centrale
Europea di intervenire, se necessario, acquistando il debito dei vari
stati. Ne consegue che il collasso finanziario che avrebbe potuto
distruggere l'Euro è stato scongiurato. Ma è una magra consolazione
per i milioni di cittadini europei che hanno perso il lavoro e hanno
poca speranza di riaverlo.
Date
queste premesse, ci si sarebbe aspettato un ripensamento e qualche
esame di coscienza da parte dei dirigenti europei, magari un accenno
di flessibilità. Invece, insistono ancora di più nel sostenere che
l'austerità sia l'unica strada possibile.
È
così che nel gennaio 2011 Olli Rehn, vicepresidente della
Commissione Europea, elogiava il programma di austerità di Grecia,
Spagna e Portogallo, e prevedeva che il programma greco, in
particolare, avrebbe prodotto “risultati durevoli”. Da allora il
tasso di disoccupazione nei tre paesi è decollato – ma nel
dicembre 2012 il sig. Rehn, guarda un po', pubblicava un editoriale
dal titolo “L'Europa
deve restare sulla strada dell'austerità.”
E
a proposito, la risposta del sig. Rehn agli studi che mostrano come
gli effetti negativi dell'austerità siano peggiori del previsto è
stata quella di inviare
una lettera ai ministri delle finanze e al FMI, in cui dichiara
che simili studi sono pericolosi, perché rischiano di minare la
fiducia.
Il
che ci riporta all'Italia, una nazione che, con tutti i suoi difetti,
ha di fatto praticato una sostanziale politica di austerità – e
come risultato ha visto la sua economia deperire rapidamente.
Gli
osservatori esterni sono spaventati dalle elezioni italiane, e fanno
bene: anche se l'incubo di un ritorno al potere di un Berlusconi non
si materializzasse, un suo buon piazzamento, o del sig. Grillo, o di
entrambi, destabilizzerebbe non solo l'Italia ma l'intera Europa. Ma
ricordiamoci, non si tratta solo dell'Italia: politici di dubbio
profilo sono in ascesa in tutta l'Europa meridionale. E la ragione
per cui accade tutto questo è che gli europei rispettabili non
ammetteranno mai che le politiche che hanno imposto ai paesi debitori
sono disastrosamente fallimentari. Se su questo non si cambia, allora
le elezioni italiane saranno soltanto un assaggio di future,
pericolose, radicalizzazioni.
Bisogna solo vedere se è una destabilizzazione buona o cattiva
RispondiEliminaNon solo, ma insistono a vincolare sempre più strettamente i Paesi membri alle politiche di bilancio "virtuose", con buona pace per le sovranità nazionali:
RispondiEliminahttp://mauropoggi.wordpress.com/2013/02/22/two-pack-un-altro-doppio-pacco-sulleuro-paradiso/