mercoledì 5 agosto 2015

La bufala dei fiori di Bach

da wired

I famosi rimedi floreali sono spuntati persino in laboratorio didattico all’interno della Settimana della cultura scientifica del Miur: ecco cosa sono e perché non funzionano.


(foto: Corbis Images)
Si può parlare di fiori di Bach in un evento dedicato alla scienza? Dipende dalla prospettiva che si usa. Tra l’8 e il 15 marzo nel liceo scientifico Marco Vitruvio Pollione di Avezzano si è celebrata la Settimana scientifica e tecnologica, ricorrenza istituita dal Miur, con un ricco calendario di eventi dedicati alla diffusione della cultura scientifica che hanno coinvolto direttamente gli alunni di diverse scuole. Conferenze, proiezioni, gite ma soprattutto laboratori che i ragazzi, coordinati dai docenti, hanno preparato nei mesi precedenti in vista delle giornate aperte al pubblico del 12, 13 e 14 marzo. Il programma spazia dai terremoti, all’alimentazione, alla salute. Per questo motivo è particolarmente triste apprendere che all’interno della manifestazione si sia dato spazio a una bufala scientifica tra le più ridicole, cioè quella dei fiori di Bach.
Una docente di una scuola secondaria della zona, che ha partecipato con due classi alla manifestazione del liceo, ha diffuso un articolo dove racconta l’esperienza del laboratorio C’era una volta un lago. L’insegnante spiega orgogliosa che i ragazzi dovevano ricostruire “il percorso storico dell’alimentazione del popolo dei Marsi, prima e dopo il prosciugamento del lago Fucino. Considerando che i Marsi, provenienti dalla scuola di Angizia, erano bravi medici e guaritori presso i Romani per la loro conoscenza delle proprietà terapeutiche delle piante selvatiche, gli alunni hanno approfondito la conoscenza e l’uso delle erbe officinali che insieme agli alimenti prevengono e curano determinate patologie dell’uomo. Hanno preparato con le erbe infusi, decotti, tisane, tinture, oli.”
Fin qui potrebbe sembrare un interessante progetto interdisciplinare che coinvolge anche l’etnobotanica, ma immediatamente dopo si aggiunge:
“Il percorso è stato completato con il test dell’enneagramma che ha permesso ai visitatori di conoscere il proprio enneatipo (carattere) e di sapere quali fiori di Bach prendere e quali comportamenti adottare per modificare i lati negativi del proprio carattere.”
I fiori di Bach non sono nient’altro che una pseudomedicina che si gioca con l’omeopatia il primato per i presupposti teorici più insensati.
Inventati dall’omeopata inglese Edward Bach, si distaccano dalla disciplina madre perché i rimedi, a base di una soluzione alcolica e preparati derivati da fiori, non sfruttano la famigerata legge dei simili (la patologia si cura con la stessa sostanza che ne causa i sintomi) e non sono preparati con le diluizioni shakerate dinamizzate dell’omeopatia.
Come spiega Medbunker, la preparazione dei rimedi è però altrettanto magica: i fiori devono essere dolcemente recisi e messi in acqua alla luce del Sole, in modo che essi possano trasferire all’acqua le loro benefiche vibrazioni. Questa acqua energizzata viene poi filtrata e diluita con pari quantità di alcol (brandy nella ricetta originale) e va a costituire la tintura madre. Dal momento che il rimedio finale deve essere ulteriormente diluito, alla fine rimane poco o nulla dei fiori di partenza, ma anche in questo caso si dice che è la fantomatica memoria dell’acqua a garantire l’efficacia del rimedio.
A differenza dell’omeopatia, i fiori di Bach dovrebbero agire specificamente sullo stato emotivo della persona e per questo il guaritore ha suddiviso i suoi rimedi in sette gruppi emozionali distinti: paura, incertezza, disinteresse per il presente, solitudine, ipersensibilità alle influenze e alle idee, scoraggiamento, preoccupazione per gli altri. Agendo su questi stati d’animo sarebbe possibile curare anche le altre malattie, poiché armonizzandoli si permetterebbe al corpo di guarire da solo. La fonte della malattia, insomma, è sempre nell’anima.
Ma quali piante ha scelto Bach, e perché? Inizialmente il guaritore aveva scelto 12 piante, ma poi ne aggiunse altre 26 che, a suo dire, “completavano la serie”. L’elenco lasciato ai discepoli è quindi di 38 vegetali, identificati unicamente col nome comune (gli omeopati non sono mai stati bravi in sistematica). Il criterio per la scelta è stato uno solo: l’intuizione. Nessuna analisi e nessun esperimento per Edward Bach che, come scrive il Centro Bach nelle note biografiche:
“[...] abbandonò i metodi scientifici da lui usati fino a quel momento, scegliendo di affidarsi alla sua innata sensibilità di guaritore facendosi guidare dalla propria intuizione. Uno a uno, trovò tutti i rimedi che cercava, ognuno collegato a una emozione o a un particolare stato mentale.”
Il medico Harriet Hall definisce efficacemente la teoria dietro i fiori di Bach come spazzatura, ma che dire allora dei milioni di persone che li utilizzano soddisfatti? Fino a quando non si mettono alla prova, non è possibile stabilire se si tratta di autoinganno (placebo) o se esiste un effetto di qualche tipo.
Queste prove sono state ripetutamente effettuate e, come nel caso dell’omeopatia, la conclusione è una sola: l’attività dei fiori di Bach non è distinguibile dal placebo. Oltre agli aneddoti, i discepoli citano solo la manciata di studi metodologicamente dubbi da cui sembra emergere un effetto, ma quando si prendono in esame le revisioni sistematiche, come quella del 2010 del dottor Edzard Ernst, l’illusione scompare: a oggi l’efficacia dei fiori di Bach per il trattamento di qualunque condizione non è mai stata provata.
Torniamo al caso abruzzese: l’articolo dell’insegnante nomina inoltre il test dell’enneagramma. Si tratta di un test della personalità di derivazione New Age, totalmente screditato dagli psicologi che è spesso usato dai credenti nei fiori di Bach come punto di partenza per definire il gruppo emozionale e, quindi, il rimedio. Allo stesso modo l’enneagramma è utile ad astrologi, omeopati e a qualche life coach.
A conti fatti quindi i fiori di Bach sono una moderna superstizione, con tanto di rituali codificati e innovazioni, che di certo non ha nulla a che vedere con la scienza. Gli educatori potrebbero forse sfruttarla per insegnare lo scetticismo scientifico, ma che si sia potuto far credere a degli alunni che avesse un fondamento, per giunta all’interno di una manifestazione che celebrava scienza e tecnologia, è davvero surreale.
 

1 commento:

  1. noi in laboratorio sperimentavamo i farmaci con il principio attivo e quelli senza (effetto placebo) e si ottenevano effetti insperati... quelli senza principio attivo qualche volta risultavano efficaci alla stessa stregua di quelli completi.

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