domenica 16 agosto 2015

Perché non crediamo alla scienza

da wired

Ce lo spiega, ironia della sorte, la scienza: ignorare i fatti a volte serve a difendere la nostra identità


Pochi errori sono enormi come prevedere la mancata fine del mondo. Esiste una intera lista di previsioni mancate dei Testimoni di Geova, ma questo non gli impedisce di fare proseliti. È solo uno degli innumerevoli esempi di una caratteristica umana sconcertante: noi umani siamo bravissimi a ignorare i fatti che si trovano davanti, quanto contrastano con le nostre credenze. Per quanto l’evidenza dimostri una cosa, possiamo continuare imperterriti ad arrampicarci sugli specchi più scivolosi pur di sostenere l’opposto. Numerosi esperimenti hanno chiarito che spesso non ci basiamo sul ragionamento per formare ex novo le nostre opinioni, bensì usiamo il ragionamento per giustificare opinioni che ci siamo già fatti. Tanto che, come ha detto l’autore americano Michael Shermer, “le persone intelligenti possono credere cose assurde, perché sono brave a difendere opinioni a cui sono arrivate per motivi stupidi”. Il metodo scientifico moderno, con tutti i suoi controlli, test a doppio cieco, revisione dei pari etc. tenta proprio di sfuggire a questi meccanismi: il fisico Richard Feynman diceva che la scienza è l’arte di non prendersi in giro da soli.

Un esperimento chiave sul tema è stato fatto nel 1979, quando hanno preso persone a favore o contro la pena di morte e a ciascuna hanno fatto leggere due studi fittizi, uno che supportava l’efficacia della pena capitale come deterrente e uno che la confutava. Ciascun gruppo trovava più convincente lo studio che confermava già la loro opinione, ed era molto più capace a trovare difetti nello studio opposto. Di più: di fronte a dati che apparentemente potevano confutare il loro punto di vista, non solo ciascuno dei due gruppi non cambiava opinione, ma anzi entrambi rafforzavano il proprio pregiudizio. Numerosi esperimenti successivi hanno confermato questo quadro.
Perché? Il punto è che ci sono cose che ci interessano di più del cercare spassionatamente la verità. Siamo fondamentalmente scimmie sociali: ci siamo evoluti in un contesto in cui i fatti a cui tener fede erano pochi e incontrovertibili, e la coesione del gruppo era fondamentale per la sopravvivenza. Le nostre opinioni affermano la nostra identità, il nostro senso del sè, per sentirci accettati nel nostro gruppo sociale. Questo valore emotivo è ben più importante per noi dell’adamantina aderenza ai fatti: se i fatti non sono d’accordo, peggio per loro. Di fronte a dati e/o ragionamenti che minano la nostra identità ci mettiamo sulla difensiva, paradossalmente irrobustendo i nostri preconcetti invece di discuterli. Questo spiega l’apparentemente assurdo comportamento dei seguaci dei culti più disparati, che continuano a tenere fede anche dopo una mezza dozzina di mancate “fini del mondo”:  pur di difendere la propria identità sociale e religiosa, meglio trovare una scusa (non importa quanto arbitraria) che ammettere l’errore.
Se è così però i tentativi di convincere razionalmente qualcuno ad abbandonare una bufala o una teoria del complotto sono probabilmente destinati a fallire. Uno sconfortante studio del 2014 ha mostrato che cercare di convincere i genitori dubbiosi a vaccinare i propri figli può essere peggio che inutile: aveva  esattamente l’effetto opposto. Infatti di fronte al riesplodere del morbillo in America e alla reazione dei media, gli antivaccinisti si sono chiusi a riccio invece di mettersi in discussione.
E quando i fatti ti mettono con le spalle al muro? Una ricerca sempre del 2014, riassunta pochi giorni fa su Scientific American, annienta ogni speranza di una persuasione puramente razionale. Le persone possono semplicemente decidere di ignorare i fatti. Poste di fronte a dati fittizi pro o contro l’opportunità delle adozioni omosessuali, o sulla religione, i soggetti dello studio erano ben lieti se i dati supportavano la propria opinione. In caso opposto però semplicemente affermavano che i dati non erano rilevanti per la discussione, spostando la questione sul piano etico o spirituale. Di per sè può avere senso: esistono problemi in cui entrambi gli aspetti sono rilevanti (si pensi alla sperimentazione animale). Il problema è se scegliamo a priori su quale campo di gioco porre la questione solo in base alle nostre idee preconcette, invece di tenere conto onestamente di tutto.
I dati inoltre possono sbattere contro convinzioni che, apparentemente, con la scienza hanno poco a che fare. Uno studio sullo scetticismo riguardo al riscaldamento globale ha trovato che, in generale, le opinioni su questo tema dipendono da convinzioni profonde sulla società e la politica. Chi tende a valutare la libertà individuale più del bene collettivo, per esempio, tende a essere scettico sul tema del clima, e viceversa. Cosa c’entra questo con l’effetto serra? C’entra perché il riscaldamento globale è qualcosa la cui soluzione richiede uno sforzo collettivo e delle regole che influenzano le scelte individuali. Chi è insofferente a tutto ciò tende quindi a difendere la propria identità nell’unico modo possibile: negando il problema. Viceversa chi è contro gli ogm o diffida di farmaci e vaccini spesso tende a farlo perché diffida del modello economico e sociale (capitalistico/tecnologico) che li sottende.
Vaccinisti e antivaccinisti, pro- e anti-ogm, climatologi e scettici del riscaldamento globale hanno oggi accesso agli stessi dati scientifici: quello che manca è la fiducia nel sistema che li ha prodotti. Una fonte di controinformazione alternativa può essere del tutto inaffidabile tecnicamente, ma attrae perché fa risuonare corde culturali ed emotive che le fonti scientifiche ignorano. Ne consegue che il problema delle pseudoscienze è non solo di informazione, ma anche di comunicazione e di contesto sociale e culturale. Lanciare flame su internet è divertente, ma serve più a rafforzare il nostro ego che a convincere gli altri. Se cambiare idea ci aiuta ad essere socialmente accettati, possiamo invece farlo più facilmente. Uno studio ha mostrato che tentare di correggere la leggenda metropolitana di Obama musulmano (una bufala vagamente razzista piuttosto diffusa tra i repubblicani Usa) ha un effetto molto diverso se durante l’esperimento sono presenti persone afroamericane. Nel secondo caso infatti sostenere la bufala viene percepito come socialmente meno accettabile, e i soggetti tendono ad ammorbidire le proprie convinzioni.
Come fa notare un ottimo articolo del magazine online Grist, nel caso dei vaccini, la comunità medica ha sicuramente il dovere di informare e di chiarire qual è la verità senza arretrare: ma ha anche la responsabilità di far sì che i pazienti e le famiglie siano indotte a fidarsi, a sentirsi trattate con apertura e rispetto. Dare ai genitori un opuscolo con le informazioni non è abbastanza, se non c’è un clima di fiducia che permette di aprire la mente a quelle informazioni. Qualcosa di simile può essere successo in Italia col metodo Stamina: se la soluzione era a dir poco inconsistente, il bisogno delle famiglie dei bambini malati di essere ascoltate e comprese – a livello anche e forse soprattutto emotivo – è certamente reale, e forse sottovalutato. È su questi buchi sociali e psicologici che giocano i venditori di miracoli.
D’altro lato, è giusto che la società si protegga dall’irrazionalità se questa è pericolosa. Rafforzare le leggi sull’obbligo vaccinale, per esempio, può servire non solo a tamponare il numero di non vaccinati, ma da anche un segnale culturale e sociale sull’opportunità della vaccinazione –segnale che a sua volta può agire in linea con una persuasione. Le nostre antiche strategie psicologiche sono spesso inadatte alla complessità del mondo contemporaneo. Visto che non possiamo sradicarle però, allora è bene conoscerle e tenerne conto per agire e diffondere informazione corretta. La posta è sempre alta: possiamo ignorare la realtà, ma non possiamo ignorare le conseguenze dell’ignorare la realtà.

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