di Luca Cangianti da Carmilla on line
Una colonia unter den Linden
Vladimiro Giacché, Anschluss. L’annessione. L’unificazione della Germania e il futuro dell’Europa, Imprimatur, 2013, pp. 304, € 18,00.
La
Repubblica democratica tedesca (Rdt), la Germania Est, era un paese del
blocco realsocialista. Alla fine degli anni ottanta del secolo scorso
la sua economia era decotta e presto sarebbe fallita sotto il peso dei
debiti. La Repubblica federale tedesca (Rft), la Germania Ovest, tese
generosamente la mano ai connazionali d’oltre muro con il Trattato
d’unione monetaria che entrò in vigore il 1° luglio del 1990,
permettendo ai cittadini tedesco-orientali di avere libero accesso alle
merci occidentali. Dopo l’unione politica entrata in vigore il 3 ottobre
dello stesso anno, il governo della Germania unificata avviò una
politica di investimenti per ricostruire e integrare la disastrata
economia dell’est.
È questa in sintesi la narrazione corrente e
ufficiale dell’unificazione tedesca che Vladimiro Giacché mette
radicalmente in discussione in Anschluss basandosi su una vasta
documentazione per la maggior parte inaccessibile a chi non conosca il
tedesco. Nonostante si tratti di un lavoro di storia economica, il focus
del libro è immediatamente rivolto al presente politico. Secondo
Giacché, infatti, rileggendo le vicende che portarono alla fine della
Rdt si può capire molto di quello che sta avvenendo oggi nell’eurozona.
Basta mettere al posto della Germania Est i cosiddetti Piigs
(Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna), come del resto ha
recentemente fatto la stessa cancelliera Angela Merkel durante una
riunione del Consiglio europeo. Il dispositivo sperimentato nei
confronti della Rdt sta oggi lavorando nei paesi periferici dell’Unione
europea mediante la spirale del debito, degli inutili e dannosi
tentativi di porvi argine, delle privatizzazioni, delle politiche
recessive dell’austerità, della distruzione dello stato sociale e del
tessuto produttivo. Grazie al vincolo monetario è stato messo all’opera
un meccanismo di esproprio che nella Rdt ha svolto le funzioni sia di
accumulazione originaria che di creazione di una zona interna di
sottosviluppo funzionalizzata alle esigenze di valorizzazione del
capitale. Qualcosa di simile avvenne con il Mezzogiorno d’Italia e ora
rischia di accadere nuovamente con l’attuale processo di unificazione
europea.
Ma veniamo ai fatti. Con l’unione monetaria del 1990 i
marchi orientali furono cambiati con un rapporto 1 a 1 con quelli
occidentali, mentre il loro rapporto reale era di 4,44 a 1. Ne conseguì
un brutale e repentino apprezzamento della valuta usata all’est di quasi
il 450%. Ciò fece lievitare surrettiziamente i debiti delle aziende nei
confronti dello stato. In verità non si trattava di debiti veri e
propri come nella contabilità di un’azienda privata, ma di somme che lo
stato socialista riallocava dopo averle ricevute dalle aziende stesse.
In quanto proprietario dell’intero patrimonio industriale, nella Rdt lo
stato incamerava i profitti per poi “prestarne” una parte alle stesse
aziende che li avevano generati.
In soli due anni, inoltre,
l’export orientale crollò del 56%, senza che fossero più possibili forme
di svalutazione competitiva. Le imprese della Rdt persero
immediatamente i mercati dell’Europa
dell’est verso i quali si dirigevano gran parte delle loro
esportazioni, che prima dell’unione monetaria ammontavano al 50% della
produzione nazionale. La caduta del pil non ebbe pari tra gli altri
paesi europei del Comecon, con la particolarità che la Rdt era
l’economia più sviluppata del gruppo. La disoccupazione, precedentemente
assente e vietata per dettato costituzionale, raggiunse nel settembre
del 1990 un milione e 800 mila di unità, rimanendo anche nei decenni a
seguire tra le più alte dell’intera Unione europea. Il risultato è che
ancora oggi il 44% della popolazione tedesco-orientale vive di sussidi,
con un pil pro capite inferiore del 27% rispetto a quella dell’ovest.
Intere zone industriali sono state riassorbite dalla natura, molti
centri urbani si sono spopolati e il tasso di natalità, prima superiore a
quello della Rft, è caduto sotto la soglia della pura riproduzione.
Secondo le argomentazioni contenute in Anschluss, insomma, il
disastro economico e sociale dell’est tedesco non fu tanto il punto di
partenza del processo di unificazione monetaria, quanto il suo
risultato. Alla vigilia di tale passaggio la Rdt era sicuramente
un’economia affetta da bassa produttività (45-55% di quella della Rft),
invecchiamento dei macchinari e insufficienti investimenti
infrastrutturali – tutti mali presenti anche nelle altre economie
realsocialiste, in particolar modo a partire dagli anni settanta. Nel
dopoguerra, inoltre, la Rdt aveva dovuto farsi carico della gran parte
del peso dei risarcimenti di guerra senza poter beneficiare del piano
Marshall. Ciò nonostante era riuscita a svilupparsi industrialmente in
molti settori e alla vigilia dell’unificazione non era certo prossima
alla bancarotta. Il valore dei suoi asset industriali era stimato
infatti in 600 miliardi di marchi da Detlev Rohwedder, il presidente
della Treuhandanstalt, l’agenzia fiduciaria che fu preposta alla
privatizzazione del patrimonio pubblico della Rdt. Tale operazione si
risolse con un colossale esproprio senza indennizzo ai danni dei
cittadini tedesco-orientali e con una distruzione di ricchezza di
dimensioni belliche. Gli acquirenti delle imprese della Rdt furono per
l’87% a tedeschi dell’ovest, per i 7% stranieri e solo per il 6% a
cittadini dell’est. La maggior parte delle aziende furono chiuse,
smembrate, trasformate in succursali distributive di imprese dell’ovest o
in aziende di subfornitura gerarchicamente subordinate. Il tutto
avvenne senza che fossero organizzate aste, ma con trattative private,
mentre agli esecutori di tali privatizzazioni fu concessa una garanzia
di copertura legale e finanziaria sul loro operato. Gli atti della
commissione parlamentare d’inchiesta chiusasi al riguardo nel 1994 sono
stati secretati per l’80%.
Vladimiro Giacché riporta una
suggestiva descrizione di un etnologo, Wolfang Kaschuba: “Degli
stranieri avanzano nel territorio di una cultura indigena, si
impossessano delle posizioni chiave di capitribù e stregoni, distruggono
le tradizioni locali, annunciano nuovi articoli di fede, fondano nuovi
riti. Il paradigma classico di un conflitto interetnico di culture, solo
che il suo teatro non è la Papuasia o la Nuova Guinea, ma un luogo così
vicino da risultare assolutamente antiesotico: Berlino, Unter den
Linden” (p. 178). Lo studioso si riferiva a quanto stava accadendo nel
1993 alla Humbold-Universität, la cui sede si trova per l’appunto nel
viale di Unter den Linden, ma l’accostamento tra il processo di
unificazione tedesca e il colonialismo sembra assolutamente pertinente.
Non a caso un sondaggio Emnid del novembre 1992 in cui si chiedeva ai
cittadini dell’ex Rdt di esprimere la proprio opinione riguardo
all’affermazione “i tedeschi dell’ovest hanno conquistato l’ex Rdt in
stile coloniale”, riceveva le seguenti risposte: 32% “pienamente e del
tutto d’accordo”, 28% “abbastanza d’accordo” e 21% “un po’ d’accordo”
(il che significa che l’81% era in qualche modo “d’accordo”).
Questi fatti ci riportano al titolo del libro. Anschluss significa annessione,
ma in storia contemporanea con questo termine tedesco si indica la
specifica inclusione violenta dell’Austria all’interno della Germania
hitleriana avvenuta nel 1938. Ebbene l’unificazione del 1990 non è
avvenuta mediante un esercito d’invasione, ma con il consenso indiretto
degli elettori tedesco-orientali che, forse pensando di trasformarsi
d’incanto in benestanti bavaresi, diedero la maggioranza ai partiti
favorevoli a questa opzione. Tuttavia i nazisti apportarono al diritto
austriaco solo alcune modifiche, anche se estremamente drammatiche (si
pensi alle leggi razziali). Di contro alla Rdt sono state estese,
praticamente in toto, le leggi della Germania Ovest. Come in un processo di colonizzazione.
Ai
margini di questa narrazione mi pongo un interrogativo: come è stato
possibile che i cittadini dell’ex Rdt che nel 1992 sentivano di aver
subito una sorte di tipo coloniale fossero gli stessi che solo due anni
prima votavano per i partiti favorevoli all’annessione? Come è stato
possibile che la stragrande maggioranza dei tedeschi dell’est
acconsentisse alla propria spoliazione? Una risposta debole è che se le
necessarie riforme economiche fossero state effettuate in tempo utile e
fossero state introdotte iniezioni di democrazia, il bambino socialista
non sarebbe stato gettato con l’acqua sporca burocratica mediante la
grande truffa dell’unificazione. Eppure l’implosione dei paesi dell’est
europeo è stata di una dimensione e di una profondità tali da non render
più credibile e desiderabile un modo di produzione socialista
accerchiato dal mare capitalistico. In condizioni simili, le pressioni
esterne sono tali da poter essere sopportate, transitoriamente, qualora
si riesca a ingenerare un processo espansivo – come quello cui puntavano
i rivoluzionari russi nel 1917, senza che furono in grado di
conseguirlo, o come quello che oggi, in una situazione molto diversa,
sembrano portare avanti alcuni governi progressisti latinoamericani. Di
contro laddove si è pensato di stabilizzare il socialismo in un’area con
tassi di produttività inferiori rispetto a quelli vigenti nei paesi
capitalisti avanzati si è aperta la via a forme di degenerazione che
hanno portato a regimi autoritari e a nuove stratificazioni sociali
basate sul monopolio del potere politico. Ciò si è prodotto perché la
resistenza al perdurante capitalismo egemone al livello planetario ha
sottoposto le società postrivoluzionarie a pressioni tali che per esser
arginate hanno portato a esercizi di forza e di disciplina defatiganti,
mutageni e autodistruttivi.
La storia della Rdt in fondo
testimonia proprio questo. Lo scambio neocoporporativo tra il monopolio
politico detenuto dall’élite dei funzionari e la garanzia dei diritti
sociali assicurata ai cittadini, una volta finito il periodo di
emergenza postbellica, ha contribuito al peggioramento dei tassi di
produttività e di innovazione tecnologica, con particolare riferimento
alla rivoluzione informatica avviata negli anni settanta. In queste
condizioni il pervasivo controllo poliziesco della Stasi nulla ha potuto
di fronte allo scintillio delle merci esibite nei grandi magazzini
della KaDeWe di Berlino ovest.
In conclusione, l’utilità
del libro di Vladimiro Giacché è doppia. Da una parte ci svela con
grande chiarezza le modalità dell’esproprio e della
“mezzogiornificazione” in corso in Europa attraverso l’esempio storico
della Rdt. Dall’altra aggiunge elementi oggettivi di riflessione per
chi si proponga come obiettivo il superamento del capitalismo, dopo la
disfatta del socialismo reale.
martedì 18 agosto 2015
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