Lo diceva Nanni Moretti, ma si riferiva
alla leadership dell'ex partito comunista, ai vari D'Alema, Veltroni
e compagnia. Per certi versi si sbagliava, poiché disgraziatamente
il frutto della miopia politica e della corruzione intellettuale e
morale di quel partito ha generato un vincitore: Renzi, ibrido
scolorito ma efficiente, frutto di una trasmutazione dei valori
completata con successo.
Eppure sarebbe bastato che quel partito
avesse preso una piega diversa e si fosse tramutato in un partito
socialdemocratico, quando ancora la socialdemocrazia conservava un
briciolo di autonomia intellettuale dal capitalismo finanziario e
liberista e quando per nascondere il fatto che nei paesi
socialdemocratici si stava meglio,
la destra parlava di “crisi della socialdemocrazia”. A posteriori
diciamo che quella scelta forse è stata resa impossibile dal
persistere di un moto inerziale di (pseudo)contrapposizione al
capitale dentro gli schemi di un mondo bipolare.
Una volta rotti gli argini, gli opposti
si fondono, e dalla difesa del comunismo si passa all'introiezione
del liberismo, vincitore non perché più forte, ma perché dalla fine
del comunismo e della sua cosmogonia, l'universo sociale è stato
percepito come teatro di scontro fra élite e il liberismo ha segnato il
perimetro del campo di battaglia. Da qui la vocazione maggioritaria,
possibile solo assecondando la vulgata liberista, che intanto aveva
colonizzato tutti i centri di potere e di diffusione della “scienza
economica”, divenuta ormai scienza unica.
Lo stato dell'arte oggi è desolante.
Accanto ad un destra generatasi dalla tradizione comunista e
socialdemocratica, abbiamo una sinistra frastagliata con infinite anime, tante quante sono le possibilità di tradurre la soggettività in antagonismi diffusi, una volta libera da vincoli dogmatici. Ma il guaio maggiore non
è quello, sotto il cielo delle diecimila sinistre, si può ancora
trovare un'unità di intenti, e anzi la diversità può essere
addirittura vista come ricchezza. Il guaio più grosso nasce
dall'abbandono di una tradizione “positiva” e fondamentalmente
scientifica del marxismo per cedere alle sirene del post-modernismo,
che considera la narrazione, cioè la creazione del
pensiero, con il solo vincolo apparente di una coerenza interna,
sullo stesso piano della scienza.
Mi duole dirlo, ma i guai cominciano
già alla metà degli anni 60 con Operai e Capitale di Tronti, che
rappresenta un inno alla soggettività operaia. Qui l'autonomia del
politico viene concepita come libertà di produrre il contro-potere operaio
in maniera autonoma dalla struttura economica della società,
insomma la rivoluzione contrapposta alla scienza economica. Alla
lotta per la giustizia e l'eguaglianza sostenuta con l'aiuto della
cassetta per gli attrezzi del marxismo, si è gradualmente
sostituito una sorta di vitalismo letterario sull'onda di un irrazionalismo antiscientista. Un Deleuze può
tranquillamente rivendicare l'appropriazione di Nietzsche e la
rielaborazione del suo pensiero in funzione di una concezione inedita
di “volontà di potenza”, infischiandosene dei suoi attacchi
velenosi alla democrazia, all'eguaglianza e al socialismo e di un
imbarazzante apologia delle aristocrazie (quelle vere) e della
schiavitù. Via il marxismo e la sua essenza totalizzante e spazio
all'antidialettica nietzschiana e alla sua “ volontà di potenza”,
energia vitale dell'individuo e antidoto contro ogni forma di
dialettica e di oppressione istituzionale.
In questo calderone quasi misterico,
intruglio malsano di oscurità di linguaggio e di rimandi a
significati che sfuggono volutamente a un senso piano delle cose,
seguendo i sentieri di un'antiarchitettura rizomatica del pensiero,
prolifera un movimento che vive e si moltiplica grazie alla
trasmissione delle narrazioni, ma che anche grazie a queste vede
sfuggire la possibilità di una ricerca vera, basata su criteri seri
di analisi della realtà e dei rapporti di potere in grado di
costituire le fondamenta di un nuovo ordine mondiale.
Alla teoria del
valore marxiana, concetto che spiega in maniera deterministica il
rapporto fra lavoro e creazione del valore si sostituiscono concetti
vaghi come quello di bioproduzione elaborato da Antonio Negri e Michael Hardt, secondo cui, grazie ai processi di digitalizzazione e finanziarizzazione, "il capitalismo è oggi in grado di mettere al lavoro la vita stessa, di appropriarsi dell’intero universo delle relazioni sociali e di tutto il tempo vita, che divengono materia prima dei nuovi processi di valorizzazione". In questo quadro è d'obbligo
inventarsi nuovi soggetti politici, come in ogni trama che si
rispetti. Una reductio ad unum obligata, che pieghi la realtà con la forza del soggetto dei soggetti benedetto dalla storia. Nasce quindi l'operaio sociale, il cognitariato, e infine vedono la luce le
spinoziane moltitudini. L'effetto è buono, il pathos è assicurato,
ma si resta con una cassetta degli attrezzi virtuale e inservibile a
maneggiare processi materiali.
Torniamo all'oggi. Le narrazioni
imperversano ancora, solo rese meno suggestive da un razionalismo
apparente, figlio di un illuminismo da rivista letteraria e di un sociologismo cattedratico. In realtà non c'è
stato nessun ritorno alla scienza, sebbene alcuni settori
(illuminati) di certa borghesia “radicale” come quella che fa
capo a Flores D'Arcais con Micromega, abbiano finalmente ripreso un
filone analitico e positivista, tentando con alcuni che sanno davvero di scienza,
come Telmo Pievani e Edoardo Boncinelli, di riportare la politica
dentro un contesto di riferimento scientifico e razionalista.
Si continua imperterriti ad evocare il nuovo soggetto politico, la nuova sinistra nata dalle macerie del fu PCI e dai movimenti, senza un briciolo di competenza nell'economia, nella scienza del potere e nella geopolitica, e senza neanche il puro buonsenso, incapaci di considerazioni e azioni conseguenti rispetto ai disastri visibili della politica monetaria.
Si continua imperterriti ad evocare il nuovo soggetto politico, la nuova sinistra nata dalle macerie del fu PCI e dai movimenti, senza un briciolo di competenza nell'economia, nella scienza del potere e nella geopolitica, e senza neanche il puro buonsenso, incapaci di considerazioni e azioni conseguenti rispetto ai disastri visibili della politica monetaria.
Cerchi di riportare la sinistra in una
dimensione terrena e meno rarefatta, ma parlare di crisi e delle sue
determinanti economiche e finanziarie per lor signori è superfluo e
francamente molti ignorano di cosa si parli: cambi, valute, partite
correnti, svalutazione, avanzi primari, deflazione, inflazione, stagnazione, sono concetti
sfiorati e prontamente rovesciati solo per dimostrare che non si può
uscire dall'euro, punto. Non c'è confronto che possa mettere in
discussione la premessa dogmatica dell'Europa e del suo euro. Se non
è ideologia questa. Si arriva al delirio con affermazioni del tipo:
“La fuga dall’euro mi sembra come un riconoscimento della
sconfitta. Io voglio vincere la guerra insieme con i popoli europei e
non tornare alle logiche della supposta sovranità nazionale, dove,
attraverso i disastri nazionali, allora i soli ad egemonizzare la
situazione saranno di nuovo i banchieri, i speculatori e il loro
personale politico. Il livello nazionale non rappresenta il luogo in
cui puoi affrontare il conflitto dei nostri tempi”. Di fronte al
fallimento annunciato dell'euro, strumento evidente del massacro
sociale, si risponde con simmetrie maldestre. Non ci siamo,
arrampicarsi sugli specchi è chiaramente un esercizio che cerca di
nascondere una sconfitta troppo palese per essere ignorata. Un
esercizio controproducente, perché la natura umana recepisce meglio
il contrasto netto che non la dissolvenza, un oggetto che si annuncia e svanisce allo stesso tempo. Occorre sì radicalismo, ma
anche chiarezza.
Forse sbaglio nell'insistere a volermi
confrontare con i compagni di strada di una vita e a continuare
a pensare alla sinistra come soggetto di riferimento obbligato, una sinistra che assomiglia sempre di più ad una
piccola aristocrazia intellettuale, piuttosto che a una avanguardia,
con le sue gerarchie e i suoi istinti di autoconservazione.
Forse
dovrei cambiare strada, ma il problema è che sulle strade che vorrei
percorrere vedo troppe poche persone e neanche tanto interessanti.
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