“La cosa più terribile è l’ignoranza attiva”. Goethe
Ugo Boghetta
Dopo una lunga
militanza, la mia permanenza nel PRC finisce qui. C’è chi mi ha detto
che è stato insensato andarsene prima del congresso. È un’obiezione
ragionevole ma, prima o poi, bisogna guardare in faccia la realtà. In
ogni caso, al massimo sarei arrivato alla prossima, inevitabile
“listarella” elettoralistica.
Qusta decisione è
stata lunga e sofferta. L’avevo deciso d’impulso al Cpn. Poi mi sono
dato tempo: sono passati oltre due mesi. Ma quella sensazione di
inutilità di questo congresso e, peggio ancora, di Rifondazione, non mi
ha abbandonato.
Del resto, questi
anni, dopo il congresso di Perugia, sono stati un continuo tormento, un
continuo sforzo per rimanere. Che Rifondazione sia morta l’ho pensato
data tempo, come altri che lo pensano ma non lo dicono. Sarebbe stato
mecessario un miracolo per provocare una svolta, ma l’approccio al
congresso ha dimostrato che Rifondazione è irriformabile.
Le gocce che hanno fatto traboccare il vaso sono molte.
La prima è il
documento Ferrero-Fantozzi che omette qualsiasi bilancio del gruppo
dirigente uscente. In pochi anni 20/25.000 compagni/e non si sono più
tesserati, ma non è un problema!!! Fenomeno che è continuato anche nel
2016: non era mai successo in un anno precongressuale. Nessun bilancio
della mezza dozzina di fallimenti dell’unica proposta politica: la
sinistra plurale.
La gestione di Ferrero e del suo cerchio è malata di renzismo.
Chi fa così andrebbe
preso a calci in culo; invece il 70% del Comitato Politico Nazionale,
dei comitati politici federali (il gruppo dirigente largo) lo ha
sottoscritto. I culi da prendere a calci sarebbero davvero troppi!
Il documento è così
segnato dalla mancanza di una qualsiasi riflessione critica. Lo si vota
per un atto di fede, di ignoranza o di stanchezza. Le pricipali
motivazioni infatti sono: siamo insufficienti quindio dobbiamo allearci
con il resto della sinistra. Prima si indiebolisce il partito, poi si
afferma che per la sua debolezza bisogna unirsi con il resto della
sinistra. È un comportamento simile a quello dei capitalisti: la cura
della crisi è uguale alle cause che l’hanno prodotta! L’altra
motivazione è che l’Italia è troppo piccola per uscire dall’Unione.
Tutto è un problema di quantità. L’incapacità a costruire una linea
politica è palese: è il pensiero che si fa piccolo piccolo. Povero
Lenin; e siamo nel centenario!
Il documento,
inoltre, sanziona il passaggio da una partito comunista ad uno
genericamente di sinistra. La Rifondazione è ufficialmente morta. Il
primo a saperlo è Ferrero che cerca di affrettarsi a depositarla data
qualche parte prima che si squagli del tutto. Per altro, ha più volte
affermato che condivide il 90% dei contenuti con il resto della
sinistra. In effetti la cultura largamente maggioritaria nel PRC è il
sinistrismo: un impasto di banalità, luoghi comuni, afflati umanitari.
Unico impedimento è il simulacro del nome comunista da mantenere per
motivi di tenuta interna.
In questo contesto,
il comunismo diventa un sentimento, un vago “orizzonte”. Il socialismo
del XXI secolo non ha nulla della pregnanza dei movimenti
latino-americani: è un belletto. È un’identità debole, quella forte è
rappresentata dall’elettoralismo.
Sul piano teorico –
la questione dell’abbondanza – sposta defintivamente il PRC
nell’economicismo: sviluppo delle forze produttive anziché rapporto fra
forze produttive e rapporti sociali di produzione. È l’anticamera del
tradimento di qualsiasi ipotesi rivoluzionaria. In merito alla lettura
della fase il documento è già vecchio in quanto fa riferimento alla
globalizzazione; eppure sono quasi ormai dieci anni che si sta arenando.
E non è un caso che non si riesca a fare i conti con Tsipras, Brexit,
Trump, Unione e la stessa vittoria dei No al referendum.
Anche l’obiettivo
della sinistra plurale è vago perchè questa è sempre più impazzita. La
scissione dal PD complica ulteriormente il quadro: l’unità della sinistra è ormai una arma di distrazione di massa. Il
problema, infatti, non è se la sinistra deve essere una o plurale, ma
che questa sinistra è autoreferenziale, inutile, dannosa: è l’ala
sinistra del capitale.
In questo quadro
sarebbe stata necessaria una proposta strategica alternativa: vera,
complessiva. Senza ci si condanna, soprattutto in una fase di grande
turbolenza, alla perpetuazione dell’inefficacia.
Putroppo chi non la
pensa così ha deciso di emendare un documento inemendabile. Questo era
già stata sperimentato la volta scorsa. Il tatticismo è sempre una
rovina.
Una parte del
documento 2: Forenza in primis, condivide con Ferrero l’unionismo
europeo, la globalizzazione. È espressione del mainstream
anarco-negriano. Condivide con Ferrero anche l’unità della sinistra che,
però, va fatta dal basso, dai movimenti: Ci mancherebbe!?
In questa melassa
scompare il paese in cui viviamo, la nuova fase geopolitica. Non si
vedono i nodi vecchi e nuovi: tanto dobbiamo diventare un popolo
europeo!?
I nodi politici che condannano il PRC, e non solo, all’irrilevanza sono sempre quelli.
Il primo
sta nella necessità di affrontare l’analisi e la lotta a partire dalla
propria realtà, dal proprio proletariato, dal proprio paese: base per
qualsiasi internazionalismo concreto. Tanto più grave ora che, dopo il 4
dicembre, è emersa la Costituzione come potenziale punto catalizzatore
del disagio sociale. Costituzione che necessiterebbe di una battaglia
egemonica per strapparla di nuovo dall’oblio e da chi la uccide di nuovo
come i D’Alema. L’attuazione della Costituzione comporta però l’uscita
dell’Unione, dall’euro, dal liberoscambismo di capitali, merci e
persone: un po’ troppo per le anime belle.
Il tema della nazione è uno psicodramma.
Abbiamo sostenuto le lotte nazionali di tutto il mondo e di tutti i
tempi, ma quella del nostro paese non si può fare!? Così si inventano
tutte le fughe lessicali: sovranità popolare (che non significa nulla
fuori dalla sovranità nazionale), i popoli (ma quelli veri in genere
sono etnie). Parole che però suonano bene alle orecchie delicate della
sinistra: sanno di sinistrese. Ovviamente tutti auspicano che l’Unione
cambi per un movimento sinergico dei 27 paesi: un’illusione da idioti.
Ovviamente tutti
sono per il popolo, i lavoratori ma non si vogliono affrontare temi
difficili ma cruciali: la questione sicurezza (reale o presunta che
sia), la corruzione, l’immigrazione. Eppure è attraverso questi problemi
che gran parte dei lavoratori si sono allontanati dalla sinistra; anzi è
la sinistra che si è allontanata da loro. Anche qui non mancano i
cortocircuiti. La sicurezza è un tema di destra. La corruzione non
basta. Se poi affermi che i giovani emigranti italiani (ora più numerosi
degli immigrati) devono poter vivere in Italia è tutto Ok. Se affermi
che gli immigrati devono poter rimane nel loro paese: questo è razzismo.
Non si riesce a distinguere i migranti (degni di tutto il nostro
appaggio) dal fenomeno immigrazione che è un problema da affrontare in
termini marxisti: imperialismo, costruzione dell’esercito di riserva,
uso politico del fenomeno stesso. Invece della soluzione da perseguire
attraverso la lotta democratica e di classe anche nei paesi d’origine,
la questione è diventata solo un problema di accoglienza e di coscienza.
Dinnanzi a
cambiamenti di fondo, la questione del socialismo dovrebbe essere
all’ordine del giorno, invece si rincorre una sinistra obosleta ed
interna al sistema! Il nome rimane Rifondazione Comunista ma dentro c’è
il vuoto. Come un tempo si diceva del Pci: rossi fuori e bianchi nel
cervello.
Come si vede, la
linea politica non si costruisce per analisi marxista delle
contraddizioni, rapporti di forza, faglie di rottura ma per auspici,
desideri, preferenze. È la sinistra benpensante!
Questa, del PRC, è
tuttavia un impazzimento che condivide con gran parte della sinistra. E
proprio qui sta il punto: le forze organizzate della sinistra in larga
parte sono il problema e non la soluzione.
A gran parte del
PRC, dei comunisti, della sinistra si potrebbe applicare la famosa
definizione di Gramsci della crisi: “… il vecchio muore, il nuovo non
nasce”.
Il risultato finale
del congreesso è stato il 70% al documento Ferrero, il 30% al documento
2, e, mi dicono, il 7/8% agli emendamenti. Ciò denota un partito
bloccato, dove a causa degli abbandoni di massa, il gruppo “dirigente”
può continuare a spadroneggiare e a fare anche il magnanimo; ma non ci
sarà nussuna dialettica vera.
È questa una
situazione che deve interrogare profondamente una parte dei compagni/e
che hanno votato il documento 2 e gli emendamenti. Bisogna chiedersi che
senso abbia oggi un PRC: apparentmente comunista, politicamente
inefficace, organizzativamente al collasso.
Nel percorso
congressuale con alcuni compagni si era messa a tema la centralità del
riferimento alla grande diaspora comunista e a come riunificarla. Appare
definitivamente evidente che non sarà Rifondazione che lo potrà fare;
ma si farà finta. Le prossime elezioni porteranno altre sofferenze. La
legge elettorale potrebbe comportare anche un’alleanza con D’Alema: non
ci sarebbe nulla di illogico.
E non è vero che al di fuori del PRC non c’è nulla.
Certo le difficoltà,
le risistenze al cambiamento ci sono ovunque, ma Eurostop e la nascente
Confederazione dei gruppi noeuro sono luoghi pubblici di vero confronto
e di iniziativa.
Ma, al di là
della permanenza o meno nel PRC, si tratta di mettere a tema nuove basi
teoriche e politiche dei comunisti senza partito e di quelli i cui
partiti vanno molto stretti. E di prospettare una strategia per
ritornare ad essere efficaci e popolari.
Ugo