Per molti versi Grillo ha ragione e le sue parole sono un balsamo per chi è schifato da questo paese e dalla sua storia fatta di pupazi imbelli. Ma dimentica che non ci sono solo gli imbelli abituati a strisciare e a canzonare il ricco per raccogliere le briciole da sotto il tavolo quando lui si distrae. Ci sono e ci sono stati anche uomini veri. Abbiamo avuto il partito comunista più grande d'Europa, una iattura per alcuni e forse non a torto, ma gli va dato atto del tentativo di sottrarre il popolo al suo destino di plebe acefala e preda di pulsioni animali, pronta a servire il padrone di turno. Abbiamo avuto gente che ha sacrificato la sua vita per il bene degli altri. Altruisti di altri tempi. Tuttora ci sono milioni di persone pronti a mettersi in gioco, sebbene non riescano a togliersi il vizio di dividersi fra buoni e cattivi.
Difficile però non dargli ragione quando ci esorta a svegliarci e smettere di delegare il nostro destino all'uomo della provvidenza e a passare dalla disponibilità teorica all'agire pratico. La nostra è una vera e propria malattia, una specie di grave encefalite virale che rende una gra parte di noi muti e sordi a meno che non c'è la partita in TV.
Forse non abbiamo bisogno di un leader, ma di una cura energica sì. Speriamo nell'aria buona
dal Blog di Beppe Grillo
Chi grida "Forza Grillo!", come una volta si gridava "Viva Zapata o Pancho Villa"
non ha capito che è lui e solo lui l'artefice di un possibile
cambiamento. Non deve votare per il MoVimento 5 Stelle, ma per sé stesso
e se non rischierà nulla, se farà il guardone della politica
nell'attesa di un nuovo vincitore, l'Italia rimarrà il Paese
pietrificato degli ultimi 150 anni. E lui, come cittadino, non conterà
mai uno, ma zero, il numero che contraddistingue chi resta alla
finestra, chi non si impegna per la società in cui vive.
In Italia, come disse Ennio Flaiano,
si accorre sempre in soccorso del vincitore, qui milioni di fascisti
divennero democristiani e comunisti nel giro di una notte di aprile, nel
1945 a guerra perduta. E' un Paese senza colpe, che
non processa mai sé stesso, che ha persino vinto la Seconda Guerra
Mondiale dopo l'otto settembre, ma che senza l'intervento degli Alleati
avrebbe oggi statue al duce in ogni piazza d'Italia. Che bombarda la
Libia di Gheddafi subito dopo aver firmato un trattato di pace. Un Paese
femmina, che ama l'uomo forte, si chiami Craxi, Berlusconi o Mussolini,
ma che lo appende per i piedi alla prima tempesta. Una penisola di
particolarismi, di familismi, di favori dati e ricevuti, di consorterie,
di massonerie e mafie. Un cerchio magico formato da
chi vive di Potere e da coloro che sopravvivono con le briciole che gli
vengono lanciate sotto il tavolo. Milioni di persone partecipano al
banchetto dello Stato da decenni, come a un ristorante che fornisce
pasti gratis.
L'italiano vive in Italia da turista, come se fosse
all'estero, come se la strada in cui abita, la città in cui è nato, lo
Stato non gli appartenessero. Vive in un mondo a parte, con
indifferenza, talvolta con la spocchia dell'osservatore che non si mette
mai in gioco. Crede ai miracoli, che in questo strano
Paese talvolta avvengono, e confida nella Divina Provvidenza mentre
critica ferocemente le Istituzioni seduto in poltrona quando ascolta i
talk show delle solite facce, a cui delega la sua vita, e dei soliti
vuoti ritornelli che nessuno canta più. Questo Paese ha digerito tutto,
dalle leggi razziali, al fascismo, alla P2, ai patti tra lo Stato e la
mafia, alle stragi, alle morti dei suoi eroi da Borsellino ad Ambrosoli.
Ha lo stomaco di un anaconda che digerisce un
coccodrillo. Nessuno lo può aiutare, niente lo può cambiare, nulla lo
può salvare, se prima non cambia sé stesso.
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