Tonino D’Orazio
Finalmente più nessuno
oggi può arrogarsi la chiacchiera di rappresentare i lavoratori.
Tutti quelli che hanno governato in questi ultimi venti anni hanno
fatto finta. Siamo al dunque. I lavoratori sono stati ingenui e
deboli. Non hanno mai voluto politicamente rappresentare se stessi.
Hanno sempre sperato che qualcuno, pietosamente, li rappresentasse,
loro e la loro condizione. Continuano a fare il tifo anche per chi
non li ama proprio. Come per la sindrome di Stoccolma, dove i
prigionieri amavano spassionatamente i loro carcerieri. E’ storico,
in fase di crisi i lavoratori votano per i padroni.
Con un Vendola che ha
promesso i suoi voti a Bersani “purché abbia un profumo di
sinistra”. Cosa pensate che Bersani abbia risposto, sapendo che un
profumo non si nega a nessuno, ovviamente di sì. Quando la poesia
raggiunge questi vertici è veramente commedia dell’arte, grande
specialità storica e riconosciuta universalmente al nostro popolo.
Sia per farla, la commedia, che per crederci.
I sindacati, grazie alla
loro autonomia, non sono riusciti a rappresentarli bene i lavoratori.
Non hanno voluto o non hanno potuto? Hanno pensato di poterlo fare
senza le leggi, solo consultando. La destra padronale no. Aver “fatto
il possibile” rappresenta semplicemente una grave sconfitta dei
vertici, ma anche di tutti gli iscritti, congressi democratici
compresi. I risultati non si possono più nascondere.
Oltre alla perdita di più
della metà del salario di questi ultimi anni (Dati Ires Cgil); alla
perdita di tutti i diritti previsti dalla dignitosa giurisprudenza
del lavoro conquistata con sacrifici e sangue in questi ultimi
cinquant’anni; una disoccupazione giovanile, e non, dilagante;
ormai saltano anche i minimi salariali e si archiviano non le 35 ma
le 40 ore settimanali (si potrà arrivare a 48 ore, come raccomandato
dalle tecnocrate direttive europee anti-cittadini europei); gli
straordinari non saranno più contrattati ma comandati e detassati,
(la Chiesa si sta arrabbiando, o fa finta, troppo tardi per la
sacralità delle domeniche, giorno del Signore, quello vero); con le
fabbriche che boccheggiano in cassa integrazione e i lavoratori
forzosamente a casa con stipendi decurtati e futuro appeso a un filo,
mentre i figli quel filo neppure ce l'hanno, grazie anche alla
“riforma” (non diciamo stupidaggini: alla fine del sistema a
riparto e poi il nulla, o le assicurazioni) delle pensioni. Con i
salari legati all’andamento delle fabbriche, (ci avrei creduto in
tempi migliori!) e con il 90% delle piccole imprese senza possibilità
di contrattare niente sembra la vittoria di Pirro. Più si “vince”,
più si perde. C’è anche la “perla” del demansionamento:
nessuno sa più quali mansioni ha, eccetto quello di ubbidire, e
diventa buono a tutto. E quella della videoregistrazione anche se vai
al bagno. Tutto normale. Siccome poi si detassano i salari legati ai
risultati dell'impresa, ricordando infidamente la non punibilità del
falso in bilancio come il massimo della trasparenza all’italiana, è
evidente la fine del contratto e della solidarietà nazionale. La
morte della confederalità sindacale e dell’unità nazionale.
Troppe porte sono state socchiuse in questi anni per non vedere
arrivare la buriana.
Non si può comunque non
condividere il sussulto di autonomia della Cgil, che dovrà
continuare in splendida solitudine a resistere alle sirene della
deregulation, che non è finita per niente, e prendere atto
definitivamente, anche se in ritardo, che l'attacco della politica e
del padronato non è «semplicemente» contro la Fiom ma contro la
Cgil intera e il sindacalismo confederale, così come l'abbiamo
conosciuto in passato, riportandoci a capo, a zero, come il gioco
dell’oca. Sfacciatamente non hanno attaccato, come fanno i lupi, la
parte più debole ma direttamente lo zoccolo duro.
Con una differenza, cioè
con i lavoratori, oggi tutti precari, proni e in ginocchio, nel
rispetto delle leggi democratiche. Non più quelli combattivi di
prima, ormai adagiati e boccheggianti oggi in una misera pensione.
Una classe politica sclerotizzata e ideologica ma tutta a destra. Un
Napolitano gongolante e perfido, invocando la pace sociale, cioè la
stabilità della macelleria sociale in atto e l’auspicio fin troppo
sostenuto del non possibile ritorno indietro dopo la sua dipartita
ormai vicina. Lacrime di coccodrillo. Un po’ come tutti i
socialdemocratici e socialisti di fine secolo scorso e di questo
inizio di secolo, che facevano da mediatori tra padroni e lavoratori
quando quest’ultimi erano utili e forti, ma che sono andati subito
a sostegno dei padroni quando sono diventati deboli, anzi hanno
aiutato al massacro del sociale sconfessando se stessi e la propria
storia iniziale. Non devo fare nomi, molti lettori potranno farli da
soli, se hanno un po’ di memoria e spirito critico. Tanto molti
sono ancora tutti lì, davanti a noi a disquisire e manovrare,
direttamente a destra. In quanto al termine “padrone” non chiedo
scusa, è ridiventato così moderno e attuale che sfido chiunque a
trovarne uno più adatto.
L’integrità del
territorio italiano non è più in pericolo per le frontiere, ma per
implosione, per quella atomizzazione di miriade di imprese grandi e
piccole, aree fisiche dove le leggi dello stato non operano più ma
solo quella dei padroni. Aree dove il cittadino cessa di esserlo e
diventa servo, modello di una nuova schiavitù. Per di più
consenziente. Il ricatto non è più tale se viene accettato.
Paese dove i sindacati
ormai settoriali diventano all’americana concorrenti tra di loro.
Una morte predeterminata. Una linea in atto in Italia dall’americano
Marchionne, ma anche del 90% del parlamento. Stiamo di nuovo dando un
esempio storico al patronato europeo. Abbiamo dato un bel Mussolini
per vent’anni e nel frattempo sono seguiti i vari Hitler, Franco,
Salazar … Poi per un trentennio un bel Partito
comunista-socialista. Ma non ne hanno voluto. Meglio Andreotti e
strani compagni di merenda. Poi abbiamo dato per vent’anni un
Berlusconi che ha insegnato a tutti come si manipola la democrazia
comprando tutti i mass media di un paese e parlando al basso ventre
dell’umanità. Molti hanno seguito, anche in altri continenti, se
non proprio direttamente. Adesso abbiamo insegnato, ma la struttura
tecnocratica dell’Unione Europea ne era già esempio, come si possa
governare di forza un paese senza essere eletti, per grazia ricevuta
e con democrazia sospesa, e si possa manipolare le leggi elettorali a
piacimento pur di rimanere in parlamento in eterno, finché morte non
li separi. Adesso abbiamo insegnato come un paese possa ridiventare,
tramite le aree di proprietà padronale, un assemblaggio di feudi,
senza leggi generali, con vassalli, valvassini e servi della gleba.
Non lo sapevamo, ma
Draghi ci ha ricordato che i nostri sogni sono finiti, insomma basta
con l’arricchimento dei lavoratori. Insomma siamo una nazione
anomala ma, se si può dire, sempre all’avanguardia della civiltà.
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