martedì 18 dicembre 2012

Addio lavoratori.

Tonino D’Orazio

Finalmente più nessuno oggi può arrogarsi la chiacchiera di rappresentare i lavoratori. Tutti quelli che hanno governato in questi ultimi venti anni hanno fatto finta. Siamo al dunque. I lavoratori sono stati ingenui e deboli. Non hanno mai voluto politicamente rappresentare se stessi. Hanno sempre sperato che qualcuno, pietosamente, li rappresentasse, loro e la loro condizione. Continuano a fare il tifo anche per chi non li ama proprio. Come per la sindrome di Stoccolma, dove i prigionieri amavano spassionatamente i loro carcerieri. E’ storico, in fase di crisi i lavoratori votano per i padroni.
Con un Vendola che ha promesso i suoi voti a Bersani “purché abbia un profumo di sinistra”. Cosa pensate che Bersani abbia risposto, sapendo che un profumo non si nega a nessuno, ovviamente di sì. Quando la poesia raggiunge questi vertici è veramente commedia dell’arte, grande specialità storica e riconosciuta universalmente al nostro popolo. Sia per farla, la commedia, che per crederci.
I sindacati, grazie alla loro autonomia, non sono riusciti a rappresentarli bene i lavoratori. Non hanno voluto o non hanno potuto? Hanno pensato di poterlo fare senza le leggi, solo consultando. La destra padronale no. Aver “fatto il possibile” rappresenta semplicemente una grave sconfitta dei vertici, ma anche di tutti gli iscritti, congressi democratici compresi. I risultati non si possono più nascondere.
Oltre alla perdita di più della metà del salario di questi ultimi anni (Dati Ires Cgil); alla perdita di tutti i diritti previsti dalla dignitosa giurisprudenza del lavoro conquistata con sacrifici e sangue in questi ultimi cinquant’anni; una disoccupazione giovanile, e non, dilagante; ormai saltano anche i minimi salariali e si archiviano non le 35 ma le 40 ore settimanali (si potrà arrivare a 48 ore, come raccomandato dalle tecnocrate direttive europee anti-cittadini europei); gli straordinari non saranno più contrattati ma comandati e detassati, (la Chiesa si sta arrabbiando, o fa finta, troppo tardi per la sacralità delle domeniche, giorno del Signore, quello vero); con le fabbriche che boccheggiano in cassa integrazione e i lavoratori forzosamente a casa con stipendi decurtati e futuro appeso a un filo, mentre i figli quel filo neppure ce l'hanno, grazie anche alla “riforma” (non diciamo stupidaggini: alla fine del sistema a riparto e poi il nulla, o le assicurazioni) delle pensioni. Con i salari legati all’andamento delle fabbriche, (ci avrei creduto in tempi migliori!) e con il 90% delle piccole imprese senza possibilità di contrattare niente sembra la vittoria di Pirro. Più si “vince”, più si perde. C’è anche la “perla” del demansionamento: nessuno sa più quali mansioni ha, eccetto quello di ubbidire, e diventa buono a tutto. E quella della videoregistrazione anche se vai al bagno. Tutto normale. Siccome poi si detassano i salari legati ai risultati dell'impresa, ricordando infidamente la non punibilità del falso in bilancio come il massimo della trasparenza all’italiana, è evidente la fine del contratto e della solidarietà nazionale. La morte della confederalità sindacale e dell’unità nazionale. Troppe porte sono state socchiuse in questi anni per non vedere arrivare la buriana.
Non si può comunque non condividere il sussulto di autonomia della Cgil, che dovrà continuare in splendida solitudine a resistere alle sirene della deregulation, che non è finita per niente, e prendere atto definitivamente, anche se in ritardo, che l'attacco della politica e del padronato non è «semplicemente» contro la Fiom ma contro la Cgil intera e il sindacalismo confederale, così come l'abbiamo conosciuto in passato, riportandoci a capo, a zero, come il gioco dell’oca. Sfacciatamente non hanno attaccato, come fanno i lupi, la parte più debole ma direttamente lo zoccolo duro.
Con una differenza, cioè con i lavoratori, oggi tutti precari, proni e in ginocchio, nel rispetto delle leggi democratiche. Non più quelli combattivi di prima, ormai adagiati e boccheggianti oggi in una misera pensione. Una classe politica sclerotizzata e ideologica ma tutta a destra. Un Napolitano gongolante e perfido, invocando la pace sociale, cioè la stabilità della macelleria sociale in atto e l’auspicio fin troppo sostenuto del non possibile ritorno indietro dopo la sua dipartita ormai vicina. Lacrime di coccodrillo. Un po’ come tutti i socialdemocratici e socialisti di fine secolo scorso e di questo inizio di secolo, che facevano da mediatori tra padroni e lavoratori quando quest’ultimi erano utili e forti, ma che sono andati subito a sostegno dei padroni quando sono diventati deboli, anzi hanno aiutato al massacro del sociale sconfessando se stessi e la propria storia iniziale. Non devo fare nomi, molti lettori potranno farli da soli, se hanno un po’ di memoria e spirito critico. Tanto molti sono ancora tutti lì, davanti a noi a disquisire e manovrare, direttamente a destra. In quanto al termine “padrone” non chiedo scusa, è ridiventato così moderno e attuale che sfido chiunque a trovarne uno più adatto.
L’integrità del territorio italiano non è più in pericolo per le frontiere, ma per implosione, per quella atomizzazione di miriade di imprese grandi e piccole, aree fisiche dove le leggi dello stato non operano più ma solo quella dei padroni. Aree dove il cittadino cessa di esserlo e diventa servo, modello di una nuova schiavitù. Per di più consenziente. Il ricatto non è più tale se viene accettato.
Paese dove i sindacati ormai settoriali diventano all’americana concorrenti tra di loro. Una morte predeterminata. Una linea in atto in Italia dall’americano Marchionne, ma anche del 90% del parlamento. Stiamo di nuovo dando un esempio storico al patronato europeo. Abbiamo dato un bel Mussolini per vent’anni e nel frattempo sono seguiti i vari Hitler, Franco, Salazar … Poi per un trentennio un bel Partito comunista-socialista. Ma non ne hanno voluto. Meglio Andreotti e strani compagni di merenda. Poi abbiamo dato per vent’anni un Berlusconi che ha insegnato a tutti come si manipola la democrazia comprando tutti i mass media di un paese e parlando al basso ventre dell’umanità. Molti hanno seguito, anche in altri continenti, se non proprio direttamente. Adesso abbiamo insegnato, ma la struttura tecnocratica dell’Unione Europea ne era già esempio, come si possa governare di forza un paese senza essere eletti, per grazia ricevuta e con democrazia sospesa, e si possa manipolare le leggi elettorali a piacimento pur di rimanere in parlamento in eterno, finché morte non li separi. Adesso abbiamo insegnato come un paese possa ridiventare, tramite le aree di proprietà padronale, un assemblaggio di feudi, senza leggi generali, con vassalli, valvassini e servi della gleba.
Non lo sapevamo, ma Draghi ci ha ricordato che i nostri sogni sono finiti, insomma basta con l’arricchimento dei lavoratori. Insomma siamo una nazione anomala ma, se si può dire, sempre all’avanguardia della civiltà.


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