di Thomas Fazi da Il Manifesto
James K. Galbraith, amico e «consigliere» dell’ex ministro delle
Finanze greco Yanis Varoufakis, riflette sul fallimento della
politica riformista di Syriza e sulla lezione che questo
rappresenta per la sinistra europea.
Come giudica l’accordo raggiunto tra Grecia e Ue?
Non è un accordo. È un brutale colpo di stato ottenuto con metodi
mafiosi. Lo stesso Tsipras ha ammesso che ha firmato solo perché si
è trovato con un coltello alla gola.
Che alternative aveva il governo greco?
Dentro l’eurozona, nessuna. L’unica alternativa era l’uscita dall’euro.
Tsipras ha difeso la sua decisione sostenendo che
un’uscita unilaterale dall’eurozona avrebbe avuto conseguenze
ancora più serie sul paese.
È una decisione che spetta a lui, e capisco perché possa pensarla così. Ma ritengo che sia male informato.
Quindi lei ritiene che a questo punto un’uscita dall’euro sarebbe la scelta migliore per la Grecia?
È ovvio che un’uscita avrebbe dei costi significativi. Ma se fossi
un membro del parlamento greco sarei al fianco di Varoufakis
e voterei anch’io «no» a questo accordo.
In quanto consigliere ed amico stretto di Varoufakis lei
ha seguito i negoziati molto da vicino. Ritiene che una strategia
diversa da parte della Grecia avrebbe potuto determinare un esito
migliore?
A un certo punto nel corso dei negoziati è diventato evidente che
la troika non aveva nessuna intenzione di trattare e non avrebbe
accettato niente all’infuori di una riproposizione del vecchio
Memorandum. La Grecia ha senz’altro sottovalutato con chi aveva
a che fare. Prendiamo Schäuble: subito dopo la vittoria di Syriza
dichiarò che «le elezioni non fanno alcuna differenza». Molti al
tempo pensavano che scherzasse. E invece ha mantenuto quella linea
fino alla fine. In quelle condizioni, l’unica cosa che poteva fare la
Grecia era costringere l’avversario a venire allo scoperto,
smascherandolo. E ci è riuscita.
Lei è stato molto critico nei confronti del comportamento tenuto dalla Bce.
Certamente. La scelta della Bce di assumere il ruolo di
“scagnozzo” dei creditori – sottoponendo la Grecia a una lenta
asfissia finanziaria che ha destabilizzato l’economia e messo in
ginocchio il sistema bancario – è stato un atto di brutalità
inaudita, senza precedenti, che solleva moltissimi dubbi
sull’integrità di quell’istituzione. La pressione esercitata dalla
Bce è il motivo principale per cui Tsipras è stato costretto ad
accettare le condizioni imposte dalla troika.
Ritiene che il governo greco sia stato ingenuo nel cercare
fino alla fine di giungere a un «compromesso onorevole», quando
evidentemente la controparte non aveva nessuna intenzione di
scendere a compromessi, al punto di arrivare addirittura
a minacciare il Grexit?
No, non credo. Il governo greco ha fatto l’unica cosa che poteva
fare, visto che non aveva altre carte da giocarsi: presentare le
proprie argomentazioni nella maniera più chiara e logica
possibile, sperando che la ragione e il buon senso avessero qualche
effetto sulla controparte. Penso che questa strategia abbia avuto
un impatto enorme sull’opinione pubblica europea. Purtroppo non ha
influito minimamente sui rapporti di forza in seno all’Europa. Non
è stata una strategia ingenua: è stata una strategia dettata dallo
squilibrio di forze in campo.
Ritiene che la Grecia avrebbe dovuto giocarsi la carta del «Grexit» fin dal principio?
Non è detto che questo avrebbe rafforzato la posizione negoziale
di Syriza. Primo, avrebbe voluto tradire il mandato elettorale di
Syriza. Secondo, bisogna tenere presente che era chiaro fin
dall’inizio che una parte dell’establishment tedesco vedeva di buon
occhio il Grexit. Dunque non c’è motivo di ritenere che minacciare
esplicitamente l’uscita avrebbe migliorato la posizione di Syriza
o costretto gli europei a più miti consigli.
Il punto è che quello di Syriza è stato un test: vedere se una
strategia basata su argomentazioni logiche, sulla ragione e sui
fatti – tesa a dimostrare l’evidente fallimento delle politiche
economiche perseguite finora – poteva prevalere all’interno
dell’eurozona, alla luce delle posizioni politiche ed ideologiche
degli altri partner. Questo è quello che ha cercato di fare Tsipras,
con le uniche armi a sua disposizione: il buon senso e la ragione.
Ma quelle armi non hanno avuto effetto. Questo deve indurci a fare una
riflessione molto profonda su quello che è diventata l’Europa.
Quale pensa che sia la lezione che gli altri movimenti
e partiti della sinistra in Europa dovrebbero trarre dalla vicenda di
Syriza?
Tutta la strategia di Syriza era basata su un’incognita: può un
paese che ha pagato sulla propria pelle il drammatico fallimento
delle politiche europee sperare di cambiare quelle politiche
all’interno della cornice dell’eurozona? Bene, penso che la risposta
a quella domanda sia evidente a tutti.
Non ritiene che una strategia improntata alla riforma
dell’Ue e dell’eurozona avrebbe qualche speranza di successo in più
se a portarla avanti fosse un partito politico alla guida di un paese
economicamente e politicamente più rilevante come, per
esempio, la Spagna?
Sta all’elettorato spagnolo decidere se tentare la strada greca
o meno. Al loro posto, io non sceglierei quella strada. Non penso che
sarebbe una posizione facile da vendere agli elettori, alla luce
della vicenda greca. Anche perché ormai la posizione dei creditori
la conosciamo bene, ed è incredibilmente rigida: niente taglio del
debito e nessuna deviazione dalle politiche di austerità estrema
che abbiamo visto finora.
Come reagirebbe l’establishment europeo alla vittoria di un partito come Syriza in un altro paese della periferia, secondo lei?
Assisteremmo alla stessa semi-automatica sequenza di eventi a cui
abbiamo assistito in Grecia: per prima cosa le banche del Nord
comincerebbero a tagliare le linee di credito alle banche del Sud.
A quel punto dovrebbe intervenire la Bce con la liquidità di
emergenza. Questo spingerebbe la gente a portare i capitali fuori
dal paese, e in poco tempo il governo si ritroverebbe a gestire una
crisi bancaria. Va da sé che se questo avvenisse in un paese come la
Spagna o l’Italia, avrebbe ripercussioni infinitamente più gravi
di quello a cui abbiamo assistito in Grecia.
Qualunque partito di sinistra che aspiri a governare un paese europeo deve essere preparato a questo.
sabato 18 luglio 2015
Galbraith: «Per Syriza missione impossibile»
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