Cari professori, padri costituenti della sinistra, strateghi della
palingenesi a rate, ho stima di voi e mi sento parte del vostro
mondo, un luogo dove ho vissuto condividendo con voi brandelli di
immaginario e teleologie millenaristiche, ma permettete che esprima
il mio pensiero e anche una critica su un dato cruciale che investe la
nostra comunità.
Non credo di essere uno che con grande intelligenza
e capacità di analisi, ma una cosa l'ho capita: voi, anche con le
vostre migliori intenzioni siete depressogeni e ispirate malinconia e
senso del martirio, un martirio eticamente necessario e posto come
inevitabile, ma che non prefigura nessun successo e nessun sol
dell'avvenire dopo. Cosa c'è che non va in voi: un senso della
tragedia che i più colti di voi forse potranno rinvenire nei
classici greci o nel pessimismo di Schopenhauer o magari in una mal
digestione di tipi come Heidegger o Sartre, non so. Vi ostinate
ad opporre all'effimero post-moderno e all'edonismo plebeo, una
serietà che ha un sapore tragico e melanconico. Concedete poco o nulla all'irriverenza cafonal e alle bizzarrie del gusto nazional popolare, che piaccia o non piaccia è espressione della maggioranza degli individui. Ogni vostra
analisi inizia con l'elenco delle piaghe che grazie al capitalismo
affliggono la nostra società e terminano con l'esortazione al dover
fare, al soggetto che unisce la sinistra, al lavoro di Giobbe per
uscire dalle secche in cui siamo arenati e appunto al martirio. Cioè
voi esortate al sacrificio dando l'idea che la difficoltà sia tale
che uno accetti di farlo solo perché deve sentirsi investito di una
missione cruciale per il mondo intero e non per il gusto di farlo. No, non è così che si fa, e
non parlo di marketing o di banalità tipo il pensiero positivo, parlo di una una rivoluzione
copernicana del linguaggio e dello stato d'animo: quando si fa un'analisi non è
necessario sciorinare il rosario delle disgrazie, è più importante
fornire gli strumenti che ti permettono di acquisire codici di
interpretazione della realtà, ma non solo, è necessario fornire anche un minimo di base
scientifica di ciò che si afferma, enfatizzandone gli aspetti positivi. Non ci si può esprimere
solo per categorie: il liberismo cattivo e il benecomunismo buono. Se
ad esempio non spendete un po' di sudore per spiegare che tutta la
manfrina sugli sprechi e sulle tasse come imperativo categorico
kantiano è fuorviante, perché la cosa importante è una
diversa concezione dell'economia. che considera il debito e gli
investimenti statali cosa buona, rimarrete impantanati in un
moralismo sciatto da ragioniere del piano di sopra, che farà il gioco
di quelli che vi mettono all'angolo con la fatidica domanda: "dove li prendete i soldi per il reddito di cittadinanza?". Altra
cosa importante, non potete usare sempre quell'enfasi catastrofista
per concludere poi con la retorica da boy scout del "occorre
l'impegno di tutte e tutti e bla, bla, bla", occorre dare dei punti fermi, delle
certezze che si esprimono con passaggi graduali e la visione del
traguardo finale. Non vi si dice di interpretare il mondo e di
scrivere un catechismo, ma di esporre una strategia organica spiegata
passo passo per dare l'impressione che l'impegno preveda una
ricompensa finale e non il martirio. Certo direte questo è quello che fa
Renzi e gente come lui, noi siamo seri. Non non c'è niente di male,
una volta fatti bene i compiti a casa, nell'illustrare una strategia
che abbia anche il sapore di una scommessa - perché questo è, non
pretendiamo verità assolute - e sia in grado di instillare entusiasmo invece che la
rassegnazione del condannato.
Per finire ci vuole massimalismo:
diciamolo chiaro e tondo che vogliamo il potere, scalzare la casta,
battere la troika, rivoltare l'Italia come un calzino, restituire
bellezza al nostro territorio, dare speranze a chi fa un concorso di
vincerlo ecc. ecc.
"Vogliamo tutto",
"siamo logici, chiediamo l'impossibile" si diceva nel '77,
ecco quello era lo spirito giusto. Il minimalismo triste, fatto di
contorcimenti dell'anima è figlio dei propri fantasmi interiori e
della palude del privato e porta con sé un'inutile rimuginazione sul
presente.
Insomma nessuna estasi regligiosa, nessun fanatismo messianico, ma ottimismo e gioia si.
Questo è ciò che io sento e questa credo che sia la nostra
malattia, non mi spiego diversamente perché tutto le volte che mi
propongono un'iniziativa politica, io abbia quel senso di angoscia e
di inutilità.
mercoledì 29 luglio 2015
Vi spiego (ancora) cosa non va nella sinistra
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