mercoledì 29 luglio 2015

Vi spiego (ancora) cosa non va nella sinistra

Cari professori, padri costituenti della sinistra, strateghi della palingenesi a rate, ho stima di voi e mi sento parte del vostro mondo, un luogo dove ho vissuto condividendo con voi brandelli di immaginario e teleologie millenaristiche, ma permettete che esprima il mio pensiero e anche una critica su un dato cruciale che investe la nostra comunità. 
Non credo di essere uno che con grande intelligenza e capacità di analisi, ma una cosa l'ho capita: voi, anche con le vostre migliori intenzioni siete depressogeni e ispirate malinconia e senso del martirio, un martirio eticamente necessario e posto come inevitabile, ma che non prefigura nessun successo e nessun sol dell'avvenire dopo. Cosa c'è che non va in voi: un senso della tragedia che i più colti di voi forse potranno rinvenire nei classici greci o nel pessimismo di Schopenhauer o magari in una mal digestione di tipi come Heidegger o Sartre, non so. Vi ostinate ad opporre all'effimero post-moderno e all'edonismo plebeo, una serietà che ha un sapore tragico e melanconico. Concedete poco o nulla all'irriverenza cafonal e alle bizzarrie del gusto nazional popolare, che piaccia o non piaccia è espressione della maggioranza degli individui. Ogni vostra analisi inizia con l'elenco delle piaghe che grazie al capitalismo affliggono la nostra società e terminano con l'esortazione al dover fare, al soggetto che unisce la sinistra, al lavoro di Giobbe per uscire dalle secche in cui siamo arenati e appunto al martirio. Cioè voi esortate al sacrificio dando l'idea che la difficoltà sia tale che uno accetti di farlo solo perché deve sentirsi investito di una missione cruciale per il mondo intero e non per il gusto di farlo. No, non è così che si fa, e non parlo di marketing o di banalità tipo il pensiero positivo, parlo di una  una rivoluzione copernicana del linguaggio e dello stato d'animo: quando si fa un'analisi non è necessario sciorinare il rosario delle disgrazie, è più importante fornire gli strumenti che ti permettono di acquisire codici di interpretazione della realtà, ma non solo, è necessario fornire anche un minimo di base scientifica di ciò che si afferma, enfatizzandone gli aspetti positivi. Non ci si può esprimere solo per categorie: il liberismo cattivo e il benecomunismo buono. Se ad esempio non spendete un po' di sudore per spiegare che tutta la manfrina sugli sprechi e sulle tasse come imperativo categorico kantiano è fuorviante, perché  la cosa importante è una diversa concezione dell'economia. che considera il debito e gli investimenti statali cosa buona, rimarrete impantanati in un moralismo sciatto da ragioniere del piano di sopra, che farà il gioco di quelli che vi mettono all'angolo con la fatidica domanda: "dove li prendete i soldi per il reddito di cittadinanza?". Altra cosa importante, non potete usare sempre quell'enfasi catastrofista per concludere poi con la retorica da boy scout del "occorre l'impegno di tutte e tutti e bla, bla, bla", occorre dare dei punti fermi, delle certezze che si esprimono con passaggi graduali e la visione del traguardo finale. Non vi si dice di interpretare il mondo e di scrivere un catechismo, ma di esporre una strategia organica spiegata passo passo per dare l'impressione che l'impegno preveda una ricompensa finale e non il martirio. Certo direte questo è quello che fa Renzi e gente come lui, noi siamo seri. Non non c'è niente di male, una volta fatti bene i compiti a casa, nell'illustrare una strategia che abbia anche il sapore di una scommessa - perché questo è, non pretendiamo verità assolute - e sia in grado di instillare entusiasmo invece che la rassegnazione del condannato. 
Per finire ci vuole massimalismo: diciamolo chiaro e tondo che vogliamo il potere, scalzare la casta, battere la troika, rivoltare l'Italia come un calzino, restituire bellezza al nostro territorio, dare speranze a chi fa un concorso di vincerlo ecc. ecc. 
 "Vogliamo tutto", "siamo logici, chiediamo l'impossibile" si diceva nel '77, ecco quello era lo spirito giusto. Il minimalismo triste, fatto di contorcimenti dell'anima è figlio dei propri fantasmi interiori e della palude del privato e porta con sé un'inutile rimuginazione sul presente. 
Insomma nessuna estasi regligiosa, nessun fanatismo messianico, ma ottimismo e gioia si.
Questo è ciò che io sento e questa credo che sia la nostra malattia, non mi spiego diversamente perché tutto le volte che mi propongono un'iniziativa politica, io abbia quel senso di angoscia e di inutilità.


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