Ovviamente spero che la storia del reddito di cittadinnaza di 1000 euro al mese per i dipendenti pubblici, i peggio pagati d'Europa, sia appunto solo una storiella partorita da una mente in stato di delirium, causato dallo stress elettorale e da un'intossicazione di acqua marina, dopo la mitica traversata dello stretto. Se non è così un sentitissimo... vaffa.
di Girolamo Di Michele da carmillaonline.com via ComeDonChisciotte
Cosa succederebbe nel mondo della scuola se i programmi di Grillo e del
M5S venissero realizzati?
Facciamo un esperimento mentale, al netto
delle contraddizioni interne, per cogliere i potenziali o reali strati di
consenso ai quali il M5S punta.
Il programma del M5S, alla voce
"Istruzione", prevede in sintesi: abolizione della legge Gelmini, abolizione dei
finanziamenti alla scuola privata, abolizione del valore legale del titolo di
studio, restituzione alla scuola pubblica degli 8 miliardi tagliati, didattica a
distanza (e-learning), più internet per tutti, valutazione degli
insegnanti da parte degli studenti.
A questo Grillo, nel post "Gli italiani non votano mai a caso" del 26
febbraio [
qui] aggiunge la proposta di abolire stipendi ai pubblici dipendenti
sostituendoli con un reddito di cittadinanza (oscillante, stando a quanto
dichiarato in campagna elettorale, tra 800-1.000 € al mese):
Ogni mese lo Stato deve pagare 19 milioni di
pensioni e 4 milioni di stipendi pubblici. Questo peso è insostenibile, è un
dato di fatto, lo status quo è insostenibile, è possibile alimentarlo solo con
nuove tasse e con nuovo debito pubblico, i cui interessi sono pagati anch'essi
dalle tasse. È una macchina infernale che sta prosciugando le risorse del Paese.
Va sostituita con un reddito di cittadinanza.
È notevole che Grillo inserisca nel "blocco A" (assieme ai «ragazzi [che]
cercano una via di uscita, vogliono diventare loro stessi istituzioni,
rovesciare il tavolo, costruire una Nuova Italia sulle macerie»), «i piccoli e
medi imprenditori che vivono sotto un regime di polizia fiscale e chiudono e, se
presi dalla disperazione, si suicidano», mentre il "blocco B", costituito «da
tutti coloro che hanno attraversato la crisi iniziata dal 2008 più o meno
indenni, mantenendo lo stesso potere d'acquisto», include «una gran parte di
dipendenti statali»: dei quali dipendenti statali, una parte importante è
costituita dai lavoratori della scuola.
Si potrebbe ipotizzare che Grillo,
che già sembra ignorare che lo stipendio dei lavoratori della scuola è fermo al
2006, nel dichiarare che gli stipendi pubblici ammontino a 4 milioni al mese,
abbia idee vaghe o inesatte sul pubblico impiego: in realtà gli stipendi
pubblici sono circa 14 miliardi al mese (170 annui). Ma l'esattezza è un
dettaglio: conta più far passare il messaggio che pubblici dipendenti, e quindi
anche insegnanti e bidelli, siano tra i vecchi garantiti del "blocco B" che
vogliono lo status quo e negano il futuro ai non garantiti del "blocco A".
Andando a vedere oltre le parole, ci si accorge che alcune proposte sono
semplici enunciazioni. Cosa vuol dire "abolizione della legge Gelmini"? Quale
delle leggi di Gelmini? Il riordino dei cicli, e quindi tornare alla scuola
secondaria superiore del 2008? La reintroduzione del maestro unico/prevalente
nella scuola primaria? E delle riforme di Brunetta che incidono sulla dirigenza
scolastica locale e territoriale che si vuol fare (posto che se ne abbia
nozione)? E della riforma Moratti, sulla quale Grillo ironizzava un tempo nei
suoi show, e che ora è scomparsa dai programmi elettorali? E dello spoil
system che regolamenta i direttori scolastici regionali, che rimonta a
Bassanini? Si intende restituire gli 8 miliardi da immettere nelle casse
scolastiche dell'attuale sistema scolastico? Si vuol fare quel che si vuol fare
con una terapia d’urto, o in modo graduale (quindi con un ciclo di studenti che
continueranno a studiare nella scuola di Gelmini)? Tutto ciò, se non è
dettagliato in modo concreto, equivale a un "vaffa Gelmini": si può discutere se
sia più efficace, come strategia elettorale, un "vaffa" piuttosto che un "se sta
a noi" seguito da verbosissimi cani menati per l’aia dal programma della
coalizione di Bersani, ma quanto a sostanza siamo lì.
Diversa, per concretezza, è l'abolizione del valore legale del titolo di
studio, punto di programma condiviso dal Piano di Rinascita Democratica
della Loggia P2 di Licio Gelli [verifica qui, al
punto b1] e dalla Fondazione per la Sussidiarietà (ovvero Comunione e
Liberazione) di Giorgio Vittadini in modo esplicito, in modo implicito da
Gelmini (che aveva in Vittadini uno dei consiglieri): è il più grosso favore che
può essere fatto alle scuole private, perché consente a qualunque soggetto
privato di aprire un diplomificio deregolamentato. Se il prezzo da pagare è la
rinuncia a 500 milioni, per le scuole private è un affare.
Vediamo
perché.
Il sistema scolastico italiano stabilisce alcuni requisiti di base:
numero minimo di ore, un certo numero di contenuti, soprattutto un certo elenco
di cose che lo studente dovrebbe saper fare al termine degli studi (le
cosiddette "competenze" e "capacità"). E ancora, a cosa serve la scuola: "scuola
democratica", o "costituzionale" significa formare all'esercizio attivo della
cittadinanza. Sarà un caso, ma il programma elettorale del M5S era l'unico a non
dire cos'è e cosa dovrebbe essere una scuola pubblica.
Il valore legale del
titolo di studio è la garanzia che il percorso scolastico sia all'interno di
questi parametri, per quanto declinati in modo da consentire una forte disparità
tra le scuole private e quelle pubbliche (a favore delle private: vedi la
possibilità di formare classi con soli 8 alunni). Chi apre una scuola privata
non parificata deve sottoporsi a verifiche: ad esempio, i suoi studenti devono
fare l'esame finale in una scuola pubblica. È una garanzia del cittadino, perché
tutto questo costa molto di più di un corso di formazione, così come insegnare
davvero l'informatica costa molto di più dell’insegnare l'uso di pacchetti di
programmi predefiniti: la prima cosa è cittadinanza attiva, la seconda
acquisizione passiva di nozioni.
Abolire il valore legale del titolo di
studio significa in primo luogo abolire l'obbligo, per la scuola pubblica, di
insegnare quelle competenze e contenuti: e, con i chiari di luna che corrono,
significa sottoporre ancor di più la qualità insegnamento alla mannaia dei tagli
di spesa. In secondo luogo, significa dare mano libera a chi crea scuole
confessionali nelle quali non si forma la cittadinanza attiva: che ci sono già
(vedi il metodo della "educazione secondo testimonianza" nelle scuole della
Compagnia delle Opere/CL, o l'insegnamento del creazionismo in luogo
dell'evoluzionismo), ma almeno oggi sono costrette entro certi vincoli, per
quanto tenui. O scuole aziendali che promettono l'inserimento in azienda ai 18
anni, a scapito della formazione del futuro cittadino: e il modello in nuce, gli
ITS creati in joint venture con Finmeccanica, c'è già.
L'abolizione
del valore legale del titolo di studio equivale alla liberalizzazione
dell'istruzione: quel modello anglosassone citato come esempio da Vittadini,
Ichino (Andrea) e Checchi nel documento del 2008 in cui suggerivano a Gelmini di
«collegare i risultati della valutazione [delle scuole] a misure di natura
premiante o penalizzante per i budget delle singole scuole», tra le quali
«reclutamento e rimozione degli insegnanti». Un modello che oggi sottoposto a
critiche radicali perché ha portato alla formazione di poche scuole d'élite e
alla catastrofe delle scuole pubbliche, soprattutto di quelle che non sono nel
centro cittadino ma nelle periferie, nei quartieri di immigrati, ecc. E lo
stesso accade in Francia e negli USA. Senza contare una peculiarità del sistema
scolastico parificato italiano (uno dei rari paesi OCSE in cui ciò accade), dove
le scuole private sono ben più scadenti di quella pubblica.
A ciò si aggiunga
che il crollo degli stipendi degli insegnanti, dagli attuali 1.200 € in ingresso
o in precariato ai 1.500 dopo 15 anni di carriera ai 1.000 del "reddito di
cittadinanza", e l'apertura di una pletora di diplomifici privati in grado di
offrire più di quei 1.000 €, anche se con contratti a termine porterà a
un'emorragia dal pubblico al privato degli insegnanti, scelti fior da fiore dai
gestori delle scuole private con potere di sindacare (magari attraverso la
"valutazione") su stili di vita, orientamenti politici, religiosi e sessuali.
Per non parlare dei diplomifici che venderanno neanche didattica reale, ma
pacchetti di e-learning, in virtù della deregolamentazione consentita
dall'abolizione del valore legale del titolo di studio.
E che dire dei
migranti, il cui impegno scolastico non sarà garantito dal titolo di studio? I
coccodrilli che davano il titolo al libro di Fabio Geda ed Enaiatollah Akbari
non sono forse nel mare: ma esistono, hanno denti aguzzi e si preparano a
cambiare referente politico.
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