di Roberto Musacchio da democraziakmzero
C’è voluto lo schiaffone elettorale per far dire a Bersani che questa
Europa non è sostenibile, contraddicendo, almeno a parole, il cuore
della Carta d’intenti del centrosinistra, e cioè l’adesione al Fiscal
Compact, e la campagna elettorale tutta “tedesca”. Certo è che non
basterà una telefonata a Hollande (che per altro è ai minimici storici
di consenso) che il leader Pd ha annunciato.
La situazione è talmente drammatica che se non si svolta sul serio,
non c’è alcun margine di ripresa sociale, già da subito. E per provare a
svoltare c’è una sola cosa da fare: cancellare il Fiscal Compact.
L’Italia non può permetterselo. E non può permetterselo l’Europa. Ed è
bene che la Germania, e la Spd, lo sappiano prima di andare loro al
voto, in autunno. Bersani sarà capace di una riflessione vera?
Di certo c’è che, appunto, c’è voluto il voto a Grillo per provocare
uno choc all’Europa. Anche se con reazioni diverse. Se si guarda ai
giornali francesi, Le Monde, o a quelli tedeschi, sostanzialmente tutti,
la lettura dello “tsunami” delle elezioni italiane appare articolata.
In Germania si tuona contro i ” due comici “, essendo l’altro
Berlusconi, e contro il populismo. Con accenti tali che addirittura
Napolitano ha dovuto prendere le distanze.
In Francia si riflette su una politica europea, quella della
austerità, che appare sempre più insostenibile. D’altronde già da mesi
il quotidiano transalpino va proponendo una rilettura dei clivage
politici sulla base della adesione o meno a questa Europa, tenendo conto
tra l’altro del declino, per non dire tracollo, dei consensi per
Hollande. La differenza di lettura è poi una differenza di prospettiva
politica. In Germania, nonostante il fondamentale antiberlusconismo
dell’establishment, si chiede per l’Italia un governo stabile. Auspicio,
questo, anche di Martin Schultz, presidente del Parlamento europeo,
leader della Spd e candidato in pectoris a capeggiare le liste
socialiste per le prossime elezioni europee come nome che gli stessi
socialisti indicherebbero a Presidente della Commissione Europea.
Come è ormai consolidato in questa fase costituente dell’ Europa,
ogni elezione nazione interagisce col quadro e, di converso, il quadro
continentale influisce su di essa anche in forme preventive. Non a caso
il Pd aveva scelto come asse per la propria collocazione elettorale, e
di costruzione della coalizione, l’adesione al Fiscal Compact; arrivando
per giunta in campagna elettorale ad un appiattimento sempre più
marcato sulla road map tedesca, compresa l’accettazione del
supercommissario ai bilanci voluto dai tedeschi. Come mi era capitato di
scrivere, questa collocazione aveva garantito a Bersani un
posizionamento favorevole perché considerato affidabile. Ma, avevo
aggiunto, era una “forza debole” perché difficilmente avrebbe garantito
il consenso necessario a vincere sul serio le elezioni. Cosi è stato. E
il voto di massa che arriva a Grillo anche dalle regioni storiche del
Pd dice sì di una insofferenza ormai ampia a certi metodi politici ma
anche di una difficoltà insostenibile per ampie aree produttive a vivere
a valle dell’imposizione del modello tedesco, di una austerità al
servizio delle proprie esportazioni. Materiali questi che hanno aiutato
anche la ripresa delle destre e portato alla sconfitta del profilo di
leadership dato alla “alleanza progressista” varata per le regionali
lombarde. Il complesso dei risultati dice che neanche la vera
prospettiva che c’era nel posizionamento elettorale del Pd, e cioè la
convergenza con l’altro campo di europeismo tedesco, Monti, aveva un
consenso adeguato.
Le elezioni italiane infatti sciolgono un dubbio che pure c’era.
L’Italia apparterrà elettoralmente, oltreché politicamente, all’area
della stabilità europea, i sintesi quella nordica? Oppure si
esprimeranno situazioni come quelle che si vivono nella Europa del Sud,
devastata da queste politiche? Il voto italiano dice che, tra
astensioni, Grillo, quel pochissimo di sinistra alternativa, l’adesione
al quadro della governabilità è in realtà di minoranza.
Il voto a Grillo si presenta per altro in percentuali molto vicine a
quelle di Syriza in Grecia. Naturalmente Grillo non è Syriza, e questo
chiede di riflettere sul perché non ci sia una Syriza italiana e su cosa
succederà invece con Grillo. Ma andiamo con ordine seguendo prima il
quadro analitico. Innanzitutto quello europeo. Detto degli scricchiolii
che si avvertono, non si può non dire che la fase costituente di cui si è
parlato per l’Europa in parte importante è stata fatta. Il Fiscal
Compact c’è e con esso tutto l’armamentario di intervento tecnocratico e
a-democratico sulle scelte di bilancio, ma in realtà sociali, che
comporta la shockausterity. Da ultimo è stato varato anche il Two-pack
che consente gli interventi preventivi sui bilanci. Cioè il danno,
pesantissimo, è stato fatto e in effetti il governo Monti e la sua
maggioranza sono stati costituenti.
Ora la domanda è: si può convivere con questo danno o se ne devono
cancellare i presupposti? E’ la stessa domanda che vale per ciò che ha
determinato la devastazione sociale in cui siamo e cioè la
precarizzazione del lavoro e lo smantellamento del solidarismo
pensionistico. Sono domande di fondo che non si possono eludere in un
momento come questo in cui la politica sta forse sospesa tra un nuovo
incredibile ballon d’essai e qualche timido ripensamento.
E qui sta la cosiddetta apertura della coalizione Pd a Grillo e a ciò
che c’è dietro quel voto. Per chi ha seguito la campagna ”
antipopulista ” di Bersani e alleati, viene quasi da ridere a vedere che
ora si punta a coinvolgere i cinquestelle per non fare il governissimo.
Questo modo di fare la dice lunga sulla qualità politica, nella analisi
e nei comportamenti, della coalizione Pd e dei suoi alleati. Ma tant’è,
vediamo nel merito. Traguardare una sopravvivenza fino alle Europee per
poi abbinare un doppio voto in cui chiedere consenso dicendo che i
socialisti europei cambieranno l’Europa, oltrechè l’Italia, se non si
fanno oggi fatti veri e concreti è una nuova pura velleità se non un
imbroglio.
E il fatto concreto che cambia il quadro, costringe anche il mondo
socialista europeo a scegliere, è, come dicevo all’inizio, rovesciare la
carta d’intenti e uscire dal Fiscal Compact. Oggi e cioè prima delle
elezioni tedesche di autunno, che puzzano tanto di grande coalizione e
in modo di arrivare alle europee nella chiarezza.
So bene che questo punto cardine europeo è un poco meno ” grillino ” di
altri, pure decisivi, come la riforma della politica. Anzi approfitto di
aggiungere anche la TAV la cui cancellazione dovrebbe essere una
precondizioni di ogni discussione e per questo la manifestazione
nazionale in Val di Susa del 23 è importantissima. Ma senza un cambio
europeo non c’è un vero cambio per l’Italia e sarebbe altresì
probabilissimo che i cosiddetti antiberlusconi riperderebbero le
prossime elezioni assai presumibilmente ravvicinatissime.
Poi magari invece sarà governissimo, o qualche altro giochino di
palazzo di cui parlano i giornali, da subito e dunque non resterà che
prendere atto che quello era il destino del Pd.
Non c’è Syriza in Italia, e questo è veramente un peccato. Perchè?
Non so dirlo, ma bisognerà chiederselo con un coraggio nuovo e senza
sconti.
venerdì 1 marzo 2013
Il Pd non è più compact
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