mercoledì 30 settembre 2015

Il saggio di Bagnai, l’intervista di Fassina, significati di ri-evoluzione

di Stefano Santachiara da stefanosantachiara2.wordpress.com

“Pratica il dubbio ogni volta che l’agire collettivo contrasta col tuo sforzo di essere libero”. Le parole di Pietro Ingrao, ad oggi, mi suscitano riflessioni sul valore dell’evoluzione personale. Nell’introdurre l’intervista di Stefano Fassina su Left Avvenimenti del 19 settembre 2015 vorrei premettere che non sono un economista, quindi ho cercato di snodare il percorso cognitivo secondo una logica etimologicamente essenzialista, laicamente scettica. Con colpevole ritardo, sto studiando gli scritti del professor Alberto Bagnai, l’econometrista che da anni sta cercando di spiegare agli italiani la nocività dell’Unione monetaria europea. “L’Italia può farcela”, secondo saggio di successo dopo Il Tramonto dell’euro, è un compendio di dati statistici, rigorose analisi, aneddoti che limitando al necessario il tecnicismo chiariscono i passaggi chiave. In sostanza avvalorano convinzioni maturate anche in coloro i quali per lavoro si occupano d’altro (dalle inchieste giudiziarie alla geopolitica) favorendo la comprensione delle dinamiche della struttura macroeconomica. Ad esempio Bagnai rende intellegibili i meccanismi con cui la gabbia dell’aggancio valutario fornisce al capitalismo finanziario una serie di strumenti per massimizzare i profitti e riprodursi al Potere, accrescendo le disuguaglianze. Nella fattispecie l’Euro favorisce le esportazioni tedesche impedendo la rivalutazione del marco a fronte di un surplus commerciale della Germania e, simmetricamente, penalizza i paesi con deficit di partite correnti che in un sistema di tasso di cambio variabile avrebbero beneficiato della svalutazione competitiva. La Bce, affidata a tecnocrati indipendenti, è perno di un’architettura istituzionale che assieme agli organi esecutivi (Consiglio d’Europa e Commissione) ha svuotato le facoltà decisionali dei popoli nell’interesse delle elitè finanziarie. Bagnai spiega in che modo la massa monetaria, causa o effetto dell’inflazione a seconda delle teorie economiche, venga comunque determinata dalle banche private che prestano a imprese e cittadini il denaro ricevuto dalla Centrale in ragione della domanda (e dalle garanzie) dei clienti. Ragion per cui non c’è Quantitative Easing che possa incidere se manca la fiducia e la spirale di recessione non si arresta. Il mandato della Bce a mantenere costante l’inflazione, che secondo l’autore è anche lo scopo della Uem, ha ragioni opposte alla presunta ossessione storica della Germania per il rincaro dei prezzi. Scorrendo il testo, colpisce il parallelo inquietante con l’avvento del nazismo, che attecchì su masse di lavoratori disoccupati e impoveriti non per l’eccesso di inflazione ma per via delle politiche di austerity con cui la Repubblica di Weimar rispose alla crisi di Wall Street del 1929. Cosa vi ricorda?

In breve. L’inflazione è legata alla domanda aggregata e dunque alla buona salute delle fasce medio-basse (piccole partite Iva, salariati, pensionati e fruitori del welfare state) mentre è temuta dal capitalismo finanziario (istituti di credito, shadow banking, imprese quotate) che desidera mantenere stabile il valore del denaro investito in mutui, obbligazioni, prestiti a lungo termine. Per smontare l’argomento secondo cui pensionati e lavoratori dipendenti avrebbero lo stesso problema delle grandi banche, a parte l’evidente sproporzione delle somme, Bagnai esemplifica una situazione sempre più comune, quella di genitori che adoperano i rimborsi previdenziali per sostenere i figli rimasti senza lavoro per la perdurante recessione legata alla carenza di domanda.

La lettura di “L’Italia può farcela”, di cui condivido le principali analisi geopolitiche, è consigliata anche a chi appone il pregiudizio di filoleghismo sull’autore, oggetto della fatwa del sistema e del provincialismo piccolo borghese che non consegna mai, neppure per sbaglio, “una goccia di vita e di bellezza” (Camillo Langone, collega cattolico liberale, dunque ai miei antipodi). Il significante incide nell’evoluzione collettiva non in base al complesso di idee di chi lo esprime ma al significato che fa emergere in trasparenza e all’utilità sociale. In altre parole, si può essere in disaccordo su molte questioni ma se l’interlocutore ti arricchisce su un tema cruciale, non va ignorato. L’unica precondizione è il rispetto umano e ambientale. Primum vivere, deinde philosophari: si prenda per metonimia la vexata quaestio di vantaggi e limiti del linguaggio e della comunicazione nell’èra digitale, asettico involucro di un dato momento del progresso. La dialettica sterile su aspetti nozionistici e superflui distrae i lettori dallo studio di fenomeni e relative gerarchie (Romàn Jakobson) secondo priorità e principi proporzionali volti al confronto inclusivo.

La perdita di potere operativo e di democrazia degli Stati dell’Eurozona è ultratrentennale. In Italia nel 1981 si consuma il divorzio fra ministero del Tesoro e Bankitalia, sancito da uno scambio epistolare privato tra il ministro Beniamino Andreatta e il governatore Carlo Azeglio Ciampi. Da quel momento la banca centrale italiana non fu più tenuta a finanziare lo Stato sottoscrivendo titoli pubblici non allocati sul mercato, ciò ha consentito ai prestatori privati di esercitare una crescente pressione al rialzo di tasso di interesse di Bot e Cct incrementando il debito pubblico ben più dei famigerati livelli di corruzione e sprechi. Ma il punto è che andrebbe stimato come problema cruciale il debito privato verso l’estero e non quello pubblico. Il secondo, dopo la crisi finanziaria legata al crac Lehman Brothers, è stato elevato dalle sovrastrutture a incubo assoluto perchè i creditori, in particolare le banche di Germania e Scandinavia, dovevano rientrare delle esposizioni nei confronti di imprese e famiglie. La troika ha permesso il salvataggio di istituti di credito del nord Europa e di Mps ma si guarda bene dal valutare una ristrutturazione del debito pubblico della Grecia nei confronti di Bce, Fmi e delle banche, benchè sia stato dichiarato insostenibile da Premi Nobel e dirigenti del Fondo monetario. La mobilitazione per il referendum ellenico contro il memorandum e l’evidenza di una recessione europea che dura da 8 anni e sta investendo i tedeschi, ha almeno acceso i fari sull’inganno dei trattati. Da tempo Usa e Giappone, per citare due potenze, si portano dietro debiti pubblici notevoli per sviluppare policy espansive che in Eurozona sono off limits, salvo per la Germania che nel 1993 violò il rapporto del 3% previsto da Maastrich continuando a garantire sussidi ai lavoratori colpiti dalla politica dei mini-job del governo Spd di Schoreder.

Il debito privato, di cui nessuno si occupa, in Italia è cresciuto in particolare dal 1996 al 2007 a causa del deficit nella bilancia dei pagamenti e alla svalutazione del lavoro dovuta alla moneta unica e corroborata dalle leggi Treu e Biagi. Il concetto si comprende bene osservando Stato e cittadini alla stregua di vasi comunicanti: il deficit statuale equivale a risorse versate a persone fisiche sotto forma di stipendi, welfare, sussidi, consulenze professionali e a quelle giuridiche in appalti, investimenti, incentivi e detassazioni. L’iniezione di domanda, e non di offerta bancaria, rappresenta una virtuosa politica anticiclica rispetto alla pratiche organiche deflattive. Naturalmente sarebbe deleterio se la spesa pubblica fosse destinata soprattutto al capitalismo finanziario, come avvenuto anche di recente col salvataggio di svariate banche secondo il principio del “too big to fail”. Al contrario, coniugando le teorie postkeynesiane ad una tassazione progressiva (periodica patrimoniale secondo la proposta di Thomas Piketty) si porrebbero le basi per un’azione di vera redistribuzione sociale. Ogni proposta però va a cozzare nella gabbia dei non-Stati della zona Euro che impedisce policy di crescita e/o progresso, provocando il calo di import e export, quindi accresce l’indebitamento dei ceti medio-bassi attraverso la disoccupazione e il precariato, reso permanente in Italia dalla contestuale approvazione del Jobs Act. E cosa provoca il disagio sociale, con la complicità di un circuito politico-comunicativo che fomenta le guerre tra poveri e penalizza ogni eventuale rinascita di autentica Sinistra, se non la crescita di movimenti populisti e xenofobi?

L’escatologia del potere economico che governa il mondo attraverso le proprie sovrastrutture istituzionali, tecnologiche, culturali e mediatiche (il concetto di governamentalità neoliberale da “La ragione del mondo” di Pierre Dardot e Christian Laval) è sempre la medesima: sfuggire alla sovrapproduzione trovando nuovi sbocchi per occupare risorse, mercati e sfruttare lavoratori con meno diritti. Ma c’è una nuova chiave del successo che connota il capitalismo finanziario rispetto a quello industriale: la trasformazione dei cittadini (salariati/consumatori) in debitori. Alberto Bagnai, Vladimiro Giacchè, Emiliano Brancaccio, lo storico dell’economia Alessio Ferraro (autore de “L’Europa tradita dall’euroliberismo”) sono stati emarginati dal dibattito generalista per aver sfidato il monismo euroliberista, edificato più di un trentennio orsono. Da quando si sono accavallati eventi storici centrali come la crisi dell’Unione Sovietica, l’avvento di Thatcher e Reagan e l’integrazione monetaria nello Sme, i centri di diffusione del sapere hanno negato spazi a economisti eterodossi come Federico Caffè e Augusto Graziani. Gli ultimi baluardi politici furono il Psf fino alla retromarcia di Mitterrand e il Pci, contrario per bocca di Napolitano alle condizioni di ingresso nello sistema monetario europeo https://www.facebook.com/Santachiarra/posts/943548042358270

Ora neppure il fallimento dell’austerity, stanti gli attuali rapporti di forza, porterà al mutamento dei trattati che auspica la “sinistra europea” di Fassina, Varoufakis e Lafontaine. Secondo Massimo D’Alema, che ha denunciato la mancanza di proposta del Pse, si dovrebbe andare nella direzione di un’integrazione politica in vista di “un’armonizzazione delle politiche fiscali e sociali, una mutualizzazione del debito”. Tuttavia il progetto, se mai dovesse superare la ferma opposizione di Germania e paesi scandinavi, potrebbe essere il grimaldello dei conservatori per deprivare ulteriormente gli Stati dell’area Euro e implementare le “riforme”, intese nel mistificante significato attuale di tagli pubblici e del lavoro, opposte dunque al modello sociale europeo delle trente glorieuses. Considerati tecniche e scopi della governamentalità neoliberale, se si vuole radicare un’alternativa forse occorre ripartire dall’analisi della società e dei conflitti sociali, tenendo in considerazione il contributo di economisti capaci di riprendere il filo dello sviluppo di una teoria socialista di governo. Rossana Rossanda (Quando si pensava in grande, 2013) ricorda un concetto caduto nell’oblio e su cui convergevano le diagnosi di Marx e Keynes: “La totale divergenza di interessi fra capitale e lavoro”. Per citare l’esempio più lampante, gli Stati Uniti, che mai si sono dotati di dottrine rigoriste, hanno visto crescere dagli anni ’70 la disuguaglianza sociale senza soluzione di continuità (L”Italia può farcela”, tabella di statistica 27, pag.201). Un altro mito da sfatare pertiene al carattere salvifico dell’afflusso dei capitali internazionali, che la nostra stampa invoca dolgendosi di burocrazia, lentezza dei processi, corruzione e mafia. Eppure i fondi di investimento e le multinazionali, che nel mondo vanno trovando dumping salariale e fiscale, puntano ai rami d’azienda pubblici e privati poiché recepiscono know-how e brand di qualità. A prescindere dal fatto che i posti di lavoro ereditati dalle international companies non di rado si riducono o sono esposti a ricatti come nel caso di Electrolux, il Prodotto nazionale lordo italiano cala per il trasferimento dei profitti all’estero. Bagnai sostiene che tali investimenti hanno una logica in un paese povero alla ricerca di finanziamenti e competenze, come fu la Cina negli anni ’80, il cui Pil valeva come il nord Italia. Fra l’altro la Repubblica popolare sin dai tempi di Mao seppe valorizzare settori diversi per aree e innovazione, a differenza della pianificazione dell’Unione sovietica che somiglia ai rigidi vincoli comuni dell’Eurozona.

Un punto di rottura nei confronti della sinistra ancillare al pensiero neoliberale è rappresentato da Jeremy Corbyn (http://www.left.it/2015/09/11/jeremy-corbyn-labour/). E’ interessante osservare come gli attacchi contro il nuovo segretario del Labour si stiano diradando negli altri paesi. Il Potere sa brandire l’arma del silenzio per evitare contraccolpi in una fase in cui l’energia propositiva di Corbyn potrebbe favorire la rinascita internazionale della Sinistra. Intanto spuntano gli esegeti, cowboy democratici che vantano collaborazioni con Aspen Italia e interpretano in chiave moderata il suo punto di vista.

Le tecniche di persuasione sono molteplici. I paladini della moralità pubblica, sedicenti progressisti, sono adusi a mescolare allarmi per i diritti acquisiti e messaggi in cui invitano a riformarli. Si pensi alle campagne del Fatto Quotidiano in difesa dei sindacati che però sono da cambiare (Landini dixit), o al botta e risposta tutto in famiglia (renziana) fra il finanziere Davide Serra che vorrebbe abolire diritto di sciopero e Oscar Farinetti che ne fa un problema di tempistica. Il circuito politico-mediatico-finanziario apre di continuo varchi alle “riforme” su pensioni, scuola, sanità. Pensate che Eugenio Scalfari, come poi Walter Veltroni, si sia speso casualmente per appiattire la figura di Enrico Berlinguer alla sola questione morale, dimenticando che il segretario del Pci era un comunista in lotta contro l’ingiustizia sociale? Nel tempo il fondatore di Repubblica si è confermato un fedele sostenitore dei tecnocrati (da Ciampi a Padoa Schioppa per finire a Monti e Draghi) che in questi anni hanno contribuito a ridurre gli spazi di politica e democrazia.

Sponda Corriere della Sera. Gian Antonio Stella, altro simbolo dell’anticastismo militante, scrive nell’incipit dell’articolo del 24 settembre dedicato all’eccesso di procedimenti contro ospedali e operatori, che i “medici più battaglieri contro l’andazzo della cause giudiziarie agli ospedali” sono favorevoli alla decisione della ministra Lorenzin di “porre limiti all’abuso dilagante di prestazioni, radiografie, analisi e farmaci”. Il soggetto è autorevole, noto per scrupolosità e moderazione, dunque sdogana meglio di chiunque altro l’accettazione dei tagli alla sanità. Lo stesso vale per le strutture e le aziende pubbliche sfiorate da inchieste della magistratura, che i cultori dell’austerity puritana vorrebbero privatizzare in nome del Dio mercato, riequilibratore e purificatore. Peccato che gli interessi del funzionario corrotto e del corruttore siano privati e che gli introiti delle cessioni siano risibili, sottolinea Stefano Fassina, a fronte di una “perdita di capacità industriali e di dividendi preziosi per il bilancio dello Stato”.


Trasferiamoci ora alle discipline giuridiche e investigative, per le quali vige analoga unità di misura della materia economica: correttezza delle fonti e dei dati di verità sperimentale. Nel sistema non sono rare le condotte al confine tra la sciatteria deduttiva, l’omissione e il depistaggio. Inoltre sarebbe bene distinguere i professionisti dell’antimafia e dell’antiterrorismo (da Saviano in giù: https://www.facebook.com/Santachiarra/posts/929078330471908 ) da quei colleghi che associano al metodo del riscontro il coraggio della ricerca abduttiva, scoprendo tasselli sulle pagine oscure italiane pur non lavorando per i principali giornali italiani: da Simona Zecchi a Paolo Cucchiarelli e Stefania Limiti, da Andrea Carancini a Luca Rinaldi, Enrico Ruffino e Ines Macchiarola.

Ai pionieri che contribuiscono a rovesciare la prospettiva multi o unidisciplinare (economica, politica, culturale, investigativa, quest’ultima naturalmente più rischiosa), sono riservate intimidazioni anonime e accuse di “complottismo” prive di fondamento, mentre il mainstream interviene rapidamente con atti e analisi per anticipare o almeno affiancare chi sta proponendo all’opinione pubblica una formulazione sgradita. I rapidi riposizionamenti rispetto a inchieste importanti, o contro l’euroliberismo, vanno dunque soppesati, annotando quando e dove. Aderendo a interessi privati forti, i mezzi di comunicazione di massa non lasciano al caso la rottura di un tabù importante, senza calcolare pro e contro.

L’interrogativo centrale dovrebbe riguardare il come, quando e perchè si trascende. E’ una buona cartina di tornasole, non per stabilire chi taglia prima il traguardo dello scoop né per additare erronee valutazioni (chi non ne fa?), ma per comprendere la presenza o l’assenza della qualità fondamentale in ogni campo dell’esistenza: l’onestà intellettuale. Ciascuno segue un percorso di predisposizioni genotipiche, interiorizzazione ambientale, possibilità economiche, studi ed esperienze. Allora come si concepisce l’elemento più importante, risalendo alle direttrici che dal background conducono l’individuo ad una data espansione culturale? Mettendo in relazione scritti e azioni, mutamenti e crescita, e verificando se essa sia votata alla ricerca e alla diffusione delle priorità conoscitive o si sperda su elementi distraenti. Quale credibilità può avere, ad esempio, chi si indigna periodicamente paventando la fine della democrazia per un voto contingentato in Parlamento e non ha mai speso un titolo contro il Fiscal Compact e il pareggio di bilancio in Costituzione? Ieri ho dialogato con un agricoltore sulla peculiarità della vite nei periodi di secca, sul fatto che lo sviluppo del vino eccellente è garantito da un’adeguata azione collettiva di difesa dei chicchi. Lo ritengo più interessante di tanti esperti eno-politologi: (https://stefanosantachiara2.wordpress.com/2014/09/29/scanzi-il-filo-renziano-che-processa-moretti/).

Per decostruire l’egemonia subculturale e risalire alla sorgente è sufficiente un collage di vecchi articoli e dichiarazioni. Se in prima e nelle pagine economiche si detta una linea a favore del governo Monti e della cancelliera Merkel non ci può lavare la coscienza ospitando qualche articolo interno contro l’austerity e giustificandosi ex post con l’ignoranza in materia. Un bel tacer, non fu mai scritto. Se si attaccano idee e partiti progressisti palesando sostegno a Matteo Renzi come se fosse sceso dalla Luna, è possibile poi contestarlo dal minuto dopo che è asceso al governo? Le inchieste sul Pd sono sacrosante, quando fatte per tempo: ne “I panni sporchi della Sinistra” (Chiarelettere, 2013) inserii un capitolo dedicato ai legami opachi fra l’allora sindaco fiorentino al gotha della finanza che ne appoggiava l’imminente scalata a Pd e governo.

Dopo il quando, il perchè. Quali ragioni spingono un soggetto al rovesciamento di prospettiva? Che non si debba mai smettere di studiare è un dato acquisito, ma diventa più difficile dispiegare il processo cognitivo in presenza di una rimessa in discussione dei propri convincimenti. Chi cambia parametri e idee lo fa per convenienza o segue coerentemente la propria evoluzione? Inutile dire che i primi casi sono la stragrande maggioranza: la Storia è scritta dai vincitori e dagli opportunisti, ma le donne (soprattutto) e gli uomini che hanno contribuito al progresso umano e ambientale si sono superati senza tema di fallire, nel microcosmo quotidiano e nelle leggi scientifiche. Oggi come ieri la governamentalità neoliberale teme la rinascita della Sinistra autentica, quel luogo di idee e prassi che può germogliare quando si è in grado di riconoscere “l’ingiustizia commessa contro chiunque in qualunque parte del mondo” (lettera di Ernesto Che Guevara alle figlie). Nihil novum sub sole, così come la dinamica dell’infiltrazione che il Potere attua ogni qualvolta si affaccia il rischio di una lotta vera contro l’ingiustizia sociale. Occorre chiedersi però la ragione per cui statisti come Boldrini e D’Alema, sindaci come Marino e alcune forze come Sel finiscano nel mirino di campagne e di attenzioni di stampo poliziesco. Lo stesso vale per economisti, intellettuali, giornalisti. Il Potere censura e, ove non può incidere direttamente e stima che la misura sia colma, attua condizionamenti di vario genere. Metafora militare: se si intende resistere all’”invasione della Polonia” (Woody Allen), rectius alle truppe di Bismark a Parigi nel 1870, occorre audacia, chiarezza e unità comunarda, interna ed esterna. Solo in tal caso il Potere sarà fermato alla Baia dei Porci. Prima di lasciarvi all’articolo di Left, rimetto in fila i sassolini lasciati sul mio scalcagnato blog a euro 0: prima e dopo “la morte di Dio”, per adoperare l’allegoria della psicanalista russa Lou Salomè nella quale “i credenti” suscitavano pena e simpatia, e i falsi ripugnanza. Ciascuno può applicarla alla propria esperienza, che ha un ante, nel mio caso Gazzetta di Modena e di Reggio, Modenaradiocity, le battaglie su L’Informazione di Modena e il caso Mascaro per il quale inizio a subire minacce, le inchieste su corruzione e mafia per Il Fatto Quotidiano; e un un post: il self publishing di Calcio, carogne e gattopardi, la partecipazione al Festival delle Storie di Vittorio Macioce, l’appassionante collaborazione con Left che va dallo Speciale ‘Ndrangheta in Emilia all’eterno patriarcato, dalla funzione storica di Rosy Bindi e quella di mister Goldman Claudio Costamagna, dal ritratto della direttrice del Fmi Christine Lagarde all’ intervista a Jamie Galbraith, dal ruolo cruciale di Spd e Martin Schulz al ritorno al futuro del Labour. Infine il network “sabaudo-ulivista” che ruota attorno a Farinetti: https://www.facebook.com/Santachiarra/photos/a.622957324417345.1073741830.578084708904607/950316641681410/?type=3&permPage=1

E ora l’intervista a Stefano Fassina

E’ la rottura di un tabù nella famiglia politica progressista. Forze alla sinistra del Pse ma con esperienza di governo progettano alla luce del sole un’alternativa all’euro. E mentre nel Regno Unito Jeremy Corbyn vinceva le primarie del Labour mettendo in soffitta la Terza Via, uno accanto all’altro di questo discutevano Stefano Fassina, Yanis Varoufakis, il leader del Front de Gauche Jean Luc Mélenchon, il fondatore della Die Linke Oscar Lafontaine.

Fassina, partiamo da Corbyn. A suo avviso può contribuire alla rinascita della sinistra dopo un trentennio di subalternità alla dottrina neoliberale?

Non guardiamo a Corbyn come un potenziale Papa straniero ma la sua vittoria indica un risveglio culturale e politico. Con una coincidenza straordinaria è emerso mentre a Parigi parti significative della sinistra europea per la prima volta prospettano un’alternativa all’euro. Con Corbyn, che ha la fortuna di non stare nell’Eurozona, dobbiamo ricostruire insieme le condizioni di un protagonismo politico del Lavoro.

Chi si pone in modo autentico in lotta contro le disugliaglianze subisce attacchi pesanti da parte del capitalismo finanziario e delle sue sovrastrutture…

La guerra che è stata fatta alla Grecia ne è la conferma. L’obbiettivo è quello di dimostrare che non esiste alternativa, l’offensiva è stata a livello mediatico, accademico, politico e sociale.

Cosa rappresenta la vostra sinistra europea?

Il nostro progetto non è l’embrione di un altro soggetto politico ma l’avvio di una discussione che comprende la Linke, il Fronte de Gauche, Podemos, la sinistra greca. Ora, con Mélenchon, già al fianco di Mitterrand e ministro, gli ex ministri Varoufakis e Lafontaine, mettiamo sul tavolo un nodo decisivo per una sinistra di governo nel segno dell’alternativa al liberismo.

Lafontaine uscì dal governo Schoreder in dissenso con la Spd che si stava piegando all’austerity insita nell’Eurozona. Perchè lei non ha rotto col Pd ai tempi del Fiscal Compact?

Dissi che era un errore sul piano economico. Ma era prima delle elezioni (francesi, tedesche, italiane e infine europee) e con la vittoria nostra e delle forze socialiste. puntavamo a recuperare in un vero bilancio europeo i margini di manovra persi a livello nazionale. Poi abbiamo visto com’è andata a finire: l’inesistenza delle condizioni politiche per correggere in modo radicale i trattati. Non a caso la proposta di lavorare a un Piano B arriva ora anche per Lafontaine, Varoufakis e Melanchon dopo le sconfitte e, da ultimo il vertice europeo del 13 luglio: il golpe finanziario della troika in Grecia.

Nel piano A vi prefiggete una modifica radicale dei patti di stabilità che hanno impoverito i popoli dell’area euro. In che modo, coi rapporti di forza attuali, potrete incidere sui governi?

Alla luce dei clamorosi fallimenti dell’agenda liberista e dei trattati. Dopo 8 anni di svalutazione del lavoro e pesante austerity, l’Eurozona è l’unica area al mondo che ancora non ha recuperato il livello del Pil del 2007 mentre i debiti pubblici sono aumentati dal 65 al 95%. Di fronte all’oggettivo fallimento del mercantilismo liberista imposto dalla Germania è dovuta intervenire in modo emergenziale la Bce. C’è una sofferenza economica e sociale che si traduce in adesione sempre più ampia a movimenti nazionalisti e xenofobi. In questo contesto è ridicolo continuare con la retorica degli Stati Uniti d’Europa. Mettere in campo un piano B vuol dire provare a incidere su quei rapporti di forza.

In cosa consiste tecnicamente il piano B per l’Eurexit?

Varoufakis in Grecia ideò un sistema di pagamento attraverso i debiti-crediti fiscali dei cittadini ma il piano B può essere articolato in modalità diverse a seconda delle situazioni: moneta parallela, accordo monetario analogo allo Sme, moneta comune che si affianca alle monete nazionali, uscita dall’euro, ma in primo luogo ricostruzione di un controllo democratico sulla Banca centrale. Gli aspetti tecnici sono rilevanti e saranno discussi ma il dato politico è che per la prima volta forze di sinistra che non vengono dal minoritarismo hanno messo sul tavolo un’alternativa all’euro, in totale discontinuità rispetto agli ultimi trent’anni della sinistra subalterna al neoliberismo.

La battaglia per la modifica dei trattati si fa anche attraverso il piano B: consente ad un governo nelle condizioni di ricatto cui è stato sottoposto l’esecutivo di Tsipras, di avere un’altra strada difficile, accidentata, ma percorribile.

D’Alema ha denunciato l’involuzione della socialdemocrazia europea. E’ possibile un rovesciamento di prospettiva nel Pse?

Soltanto se c’è competizione con una sinistra alternativa al liberismo. Ad esempio la presenza di Podemos in Spagna ha portato il Psoe su posizioni meno subalterne ai conservatori. Bisogna affermare un’altra linea mettendo in campo un’opzione che raccoglie consenso. Ma è improbabile un cambiamento visti i segni profondi di subalternità nella famiglia socialista, da Hollande alla Spd al Pd.

Il suo giudizio negativo su Jobs Act, Buona Scuola, privatizzazioni, tagli pubblici è noto. Cosa salva del governo Renzi?

La nuova legge sugli ecoreati. Altro, di rilevante, non mi viene in mente

I progressisti italiani sono frammentati per sigle e contenuti. Si costituirà mai un grande partito della sinistra?

Vedo uno spazio potenziale molto ampio. Quando in Emilia Romagna vota il 37% degli elettori, in Toscana il 48% e cresce il M5Stelle, significa che una parte rilevante del popolo Pd ha abbandonato il Pd ma non trova risposte. Serve dunque una proposta di governo, credibile, una prospettiva alternativa come il piano B.

Se foste al governo, quali priorità nelle policy? 


Un rilancio di investimenti pubblici innovativi su una strategia politica industriale per rivalutare il lavoro, per uno sviluppo sostenibile. Eviteremmo di firmare trattati che aggraveranno le condizioni di lavoratori e consumatori come il Tttp, lavoreremmo per inserire regola al movimento dei capitali.

2 commenti:

  1. Ragionare senza preconcetti. L'autore trae le sue conclusioni da premesse fondate.
    La nostra ingenuità, quella della sinistra, è stata quella di ragionare per categorie. Vecchio vizio della "sinistra hegeliana".

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