di Tonino D'Orazio
Il presidenzialismo, o,
per meglio intorbidire le acque, il semi-presidenzialismo, sempre
alla francese. Un presidente “semi”, la solita mediazione
italiana affinché non sia mai qualcosa di chiaro.
Siamo già riusciti a
fare sì che i due rami del parlamento si annullino e per far
funzionare un esecutivo, il governo, ci debbano essere le peggiori
amalgami ideali e politiche. La mercificazione degli interessi o lo
stallo.
Che si possa far svolgere
una funzione diversa al ramo Senato non è una cosa indecente, anzi,
purché le funzioni siano chiare. Mettersi d’accordo su questo,
però, mi sembra difficile, e tutti i fallimenti delle commissioni
bicamerali sono presenti alla nostra memoria. Più facile trovare un
presidente che comandi su tutti. I collegi elettorali? O a uno o
all’altro.
Quello che rimane
preoccupante è la fase finale del programma fascista della loggia
massonica della P2 di Gelli ormai in atto e riuscito con un forte
sgretolamento della Costituzione. Dopo aver impostato una cultura non
partecipativa ma sempre più di vertice, di capi, gli unici che
possono velocizzare le decisioni e abbiano potere di far funzionare
le cose, i commissari, il necessario leader altrimenti non si
“va avanti”, siamo arrivati ai tecnici, imposti dal presidente,
che possono rimpiazzare gli esecutivi parlamentari. Siamo già di
fatto in un ambiguo presidenzialismo, e la terminologia strombazzata
“governo del presidente”, “governo di scopo” già non
inquieta più nessuno.
Lo stesso sistema
elettorale non fa che propugnare un leader, in un falso
democratico e costituzionale clamoroso perché addirittura già
designato elettoralmente capo dell’esecutivo, a cui il parlamento
dovrà per forza affidare il governo.
Anzi il sistema parte già
all’interno dei partiti i quali propugnano un capo, o un leader,
o un segretario magari eletto in primarie “private”, perché di
partito, che potrà, dovrà, diventare capo del governo. Notate che
anche la parola “Presidente del Consiglio” sta scomparendo nella
dizione quotidiana di alcuni giornali, sostituita da “capo del
governo”. Tutto il potere a uno di triste memoria. E’ una nozione
culturale proprietaria. Come il “capo dello stato” e non il
presidente della repubblica. E’ la difficile posizione di Bersani.
Ha vinto le sue primarie per governare il paese, e pur non avendo
vinto le vere elezioni repubblicane, il parlamento non glielo vuol
riconoscere e il presidente nicchia e ciurla perché in testa non ha
altro che l’inciucio e il disastro (negato) della “continuità”
prima di andare via.
In seguito a questo
concetto gli stessi cittadini sono costretti a votare per uomini o
donne decisi, o mediati, dal leader. La metà della nostra
Costituzione può considerarsi espropriata, in nome di una efficienza
che non ha funzionato.
Ormai i tempi sono maturi
per inserire questo concetto di “capo” in Costituzione, e tutti i
leader si adoperano a mettere fra le varie urgenze tutte le “riforme”
possibili per sgretolarla definitivamente. In questo c’è anche un
asse tra Pdl e Pd a definire la nostra Costituzione “obsoleta”,
propugnando non solo la trasformazione degli aggiustamenti per un
migliore funzionamento dello stato, pur necessario, ma anche sui
valori e gli ideali in essa contenuti. Non dimentichiamo che i
neofascisti, i banchieri e gli industriali, hanno governato il paese
in questi ultimi vent’anni. Con il fiscal compact, che mette
a disposizione di paesi terzi la nostra economia e autonomia, anche
parlamentare, non hanno esitato minimamente ad inserirlo in
Costituzione. La modifica è tale che sembra che nessun referendum
possa ormai cancellarla, a meno di uscire dall’euro facendola così
decadere di fatto. Anzi la “modifica della Costituzione”, senza
entrare nei dettagli perché si vedrà dopo “cosa fare”, rientra
in un eventuale patto di governo Pdl-Pd voluto dal piduista
Berlusconi. Si può anche presupporre una cessione di autonomia del
nostro paese, in parte, ma solo verso organismi europei federali e
parlamentari con poteri effettivi di armonizzazione fra gli stati
dell’Unione. Non verso plenipotenziari tecnocrati, gente che
nessuno ha eletto. Grazie presidente garante! Si goda le sue tre o
quattro pensioni, abbia la decenza di non percepire ulteriori
emolumenti come senatore a vita e speri che la storia non scavi
troppo nel suo settennato.
Se l’Europa di oggi è
fondata solo sull’euro e sul massacro del sociale e dei lavoratori,
essa non merita un interesso storico nella costruzione degli stati
uniti d’Europa. L’euro poteva rappresentare una parte non
indifferente, ma secondaria e non di preminenza assoluta. L’Europa
oggi rappresenta per molti popoli, eccetto per i ricchi che comunque
hanno trasferito tutti le loro ricchezze altrove, sempre più il
nemico. Bel risultato! Non vale la pena costruire questo tipo di
Europa che ci stanno somministrando forzosamente e si deve ritenere
giusta l’ipotesi di uscire da questo sgorbio storico che dal
trattato puramente mercantile di Lisbona ci ha fatto già perdere
vent’anni e forse pure mezzo secolo. Bisogna ricominciare da tre,
anche sulle macerie, se si hanno altri ideali. Bisogna ricominciare
dal concetto di comunità, termine molto simile a solidarietà.
Qualunque referendum tendente a farci uscire dalla gabbia costruita
intorno a noi viene definito eversivo. Sono riusciti a non farlo fare
alla Grecia, ma vedrete, non per molto. Per l’Italia proprio di
questo eventuale referendum si è preoccupato l’altro giorno
l’ambasciatore tedesco in Italia chiedendone ragione in un incontro
specifico, (richiesto e con apprensione), ai capigruppo parlamentari
del Movimento Cinque Stelle, che tra l’altro non lo hanno affatto
rassicurato. Anzi hanno ribadito che verrà chiesto il parere al
popolo perché è anche un problema di democrazia. E’ la
dimostrazione che non tutto può essere delegato e quando questa
rappresentanza non è condivisa si torni al popolo. A meno di
considerarlo sempre scemo, impaurito e incapace.
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