domenica 28 aprile 2013

Doppiezza del e nel PD

Tonino D'Orazio 

Nella coalizione e nella “sinistra” in genere. Lo spostamento a destra, ormai dichiarato, non può che portare all’implosione del partito, alla perdita degli iscritti e degli attivisti. E’ la storia delle scissioni. Del Psi della metà degli anni ’60 con il primo centro-sinistra (nacque lo Psiup, 5%) e dal 1992 in poi con la fuga direttamente a destra con Berlusconi. Stessa strada imboccata dal Pasok greco. In accordo con la destra greca è passato da 47% al 12% in due rapide elezioni. Molti dicono per “responsabilità” verso il paese, molti dicono per “irresponsabilità” verso i propri elettori. La stessa situazione italiana di oggi per il Pd, che in realtà è definito solo da Berlusconi come “sinistra” italiana. Termine topografico parlamentare dopo aver fatto il vuoto intorno a sé, non di idealità, o di programma se non fumoso. Per questo il Pd non può volere subito le elezioni, malgrado l’eventuale riforma della legge elettorale. A meno di truccare di nuovo le carte con premi ad personam. Tanto continuano ad avere la maggioranza dei 2/3 del Parlamento per poter modificare la Costituzione, con la benedizione del garante.
La prevedibile compromissione rappresenta sicuramente una indecenza per quegli elettori che avevano creduto che il Pd fosse alternativo al governo precedente, pur senza aver mai detto come in campagna elettorale, e avrebbe permesso probabilmente di respirare. Ora il re è nudo e purtroppo per esistere deve sempre più arroccarsi al canuto bi-presidente e alle poltrone di potere. Senza avere mai la sicurezza di quanto tempo ci potranno rimanere, visto il sicuro smarcamento, quando ci sarà il voto segreto, di parte del partito che vuole rimanere onesto verso i propri elettori. E qui non c’entrano i giovani e le donne, sono le facce della stessa medaglia. Non sono stati eletti dai cittadini ma designati dalle segreterie di partito. Parlamentari liberi per Costituzione e ricattati se non allineati. Ulteriore vulnus democratico, ma a chi importa?
E’ oggi un partito al governo ma sotto ricatto di Berlusconi, come quello di Monti, da fargli fare le porcate e da far cadere a piacimento al momento opportuno. Un partito dalla padella alla brace. Quello che forse voleva evitare Bersani, (continuerà ad opporsi a Berlusconi?) ma non i giovani che avanzano, Letta compreso. Un partito frammentato in protettorati di politici rampanti, e l’unico che ancora non ha pagato nulla è il vecchio D’Alema. Insomma mossa geniale di Berlusconi che si assicura il presente e il futuro sulle spoglie del Pd. E’ il V governo Berlusconi, con due mastini a proteggere i suoi interessi, Alfano al ministero dell’Interno e la tecno-poliziotta Cancellieri alla Giustizia. Magistratura, muovetevi se potete! In più a tenervi sotto controllo ci sono Napolitano e Mancino, il mediatore tra stato e mafia.
C'è stata troppa fretta nel rieleggere Napolitano. Sì c'è stata molta fretta. Tutto si è messo in moto, affinché nulla fosse mutato. Anche la rielezione di Napolitano va in questa medesima direzione. Due terzi degli italiani hanno detto no alla continuità del massacro sociale. Un terzo era del Pd. Conclusione? Abbiamo lo stesso governo con politiche obbligate di destra e lo stesso presidente di prima. Solo nel governo cambieranno un po’ di nomi, quelli del Pd, e torneranno in forza quelli disastrosi del Pdl. Il resto sono chiacchiere politichesi. Il tradimento è esplicito.
Forse la parola potrà sembrare pesante, ma come descrivere la dissociazione del Pd dalla sua campagna elettorale, sfociando nelle negate larghe intese, e il tradimento dal sentire comune di gran parte dei suoi elettori, soprattutto giovani che occupano le sedi del partito in tutta Italia? Sembra il detto popolare “passata la festa, gabbato il santo”.
Forse solo Epifani, Barca, Nencini e Vendola, possono convocare gli stati generali per un partito della sinistra democratica italiana, nel solco del socialismo o della soialdemocrazia europea. Un partito chiaro. Bisogna proprio, finalmente, che questo blob di partito attuale possa dividersi e una parte possa ritornare nei propri alvei politici, storici e trasparenti per quello che sono. Renderebbero il nostro un normale paese europeo e potrebbero avere, forse, meno compromissioni.
Non è bastato a Vendola firmare un impegno di «lealtà agli impegni internazionali e ai trattati sottoscritti dal nostro paese» (vale a dire l'agenda Monti, Maastricht, Lisbona, Fiscal Compact, austerity, etc.), la ferocia della «destra proprietaria» (come l'ha recentemente definita Rossana Rossanda) che in Italia si combina con le cosche del centro-destra-sinistra e la Confindustria, sempre dolente e piangente, non lascia margini nemmeno a Sel e nemmeno alla scelta di opposizione.
Dopo l’impegno, a chi e a che cosa?
Ma se il Pd non si divide, la fine di Sel è preannunciata. Nessuno, in coalizione forzata dalla legge elettorale, può mettere il bastone tra le ruote del Pd e fare opposizione al governo. Non c’è due senza tre. Lo abbiamo visto con i comunisti e la sinistra radicale, fuori dal parlamento. Lo abbiamo visto con Italia dei Valori, fuori dal parlamento.
A destra non è la stessa cosa. Possono fare quello che vogliono, sia il Pdl che la Lega. Sono a geometria variabile. Così come gli ex democristiani. Un passettino a destra o uno a sinistra, sempre un passettino è, e sempre al centro sono. Con il potente aiuto della chiesa romana. Chissà quanta pressione abbia fatto la Cei, magari telefonando personalmente ad ogni parlamentare del Pd, per evitare che un laico come Rodotà potesse diventare presidente! Sempre se il Pd poteva permettersi di pensarlo.
 

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