di Toni Negri da Uninomade
Fissiamo, prima di tutto, qualche elemento base non del tutto inutile per cominciare a valutare questo primo turno delle elezioni presidenziali in Francia. Dato il carattere quasi proporzionale del primo turno, i rapporti tra le forze politiche risultano più chiari di quanto avvenga nel secondo turno, maggioritario fra i due candidati prevalenti. Tanto più perché l’assenteismo è stato meno importante di quanto previsto. Ora, è il 20% di Marine Le Pen che colpisce, meglio che rappresenta l’elemento più drammatico e probabilmente trasformativo (delle strutture costituzionali francesi) dato che questo risultato presto (nei prossimi anni) si rispecchierà sulle legislative e sulle amministrative. Al momento non sembra che il Front National voglia negoziare con Sarkozy: a destra si darà una ricomposizione prima o dopo ma, secondo i Le Pen – padre e figlia -, questa dovrà darsi alle loro condizioni. Sia chiaro che l’affermazione FN non si è data semplicemente sulla base del sostegno dei “piccoli bianchi”, reazionari e razzisti, ma che comincia ormai anche a rappresentare ampli strati di una destra non gollista, semplicemente liberale, nazionalista ed antieuropeista. Essa non rappresenta più una Francia periferica, che si colloca nel mondo rurale, attorno alle città e nelle città medie disindustrializzate, ma ha prodotto uno sfondamento nel cuore del potere.
Il secondo elemento importante, da sottolineare fortemente, è che il
risultato di questo voto corrisponde, nuovamente anche se parzialmente, a
delle figure e a delle stratificazioni di classe. Non alludiamo a
quelle vecchie, a quelle fordiste, ma alla nuova composizione sociale di
classe, post-fordista, cognitiva e terziaria. Nelle metropoli (dove
questo modo di produzione è predominante) la sinistra vince, anche nelle
banlieues; la destra gollista si afferma invece nelle zone dove si
concentrano le classi privilegiate, i rentiers, i servizi finanziari, le
aristocrazie agricole ecc.; l’estrema sinistra attraversa i medesimi
spazi della sinistra e Mélenchon raggiunge l’acme del successo nelle
periferie parigine; la destra estrema FN laddove abbiamo già detto. È
interessante notare queste determinazioni spaziali del voto perché ad
esse corrispondono dimensioni sociali. Ciò mostra come, lungi
dall’essere un voto di collera, come gran parte della stampa,
soprattutto internazionale, ha proclamato, questo voto è stato
particolarmente condizionato dai problemi sociali e da un contesto di
riflessione critica “biopolitica” (attenzione alle condizioni economiche
generali, risposta alla nuova organizzazione del mercato del lavoro,
alle riforme restrittive del salario, delle pensioni, all’attacco al
Welfare State, ecc.).
Alla luce di queste considerazioni, sembra dunque che il tempo lungo
delle linee egemoniche (nella fattispecie del neoliberalismo) stia
interrompendosi; il tempo breve degli interessi immediati riprende
invece a confliggere con il primo, e i linguaggi, le parole d’ordine e,
di conseguenza, i comportamenti sociali cominciano a riproporsi in
maniera esplicita, combattiva, antagonista e a porre temi e problemi di
potere. La mia impressione è che sia la diminuzione dell’astensionismo
annunciato, sia la sconfitta di movimenti dagli obiettivi parziali (in
particolare l’annullamento del partito Verde) dipendano dal riproporsi
dello scontro politico attorno a temi generali: quali siano le
prospettive che nella crisi si presentano e quale modello sociale stia
organizzandosi in Europa. Europa: questo il tema fondamentale di questo
primo turno elettorale. Quale enorme distanza da quando estrema destra
ed estrema sinistra insieme avevano espresso un no al trattato di
Lisbona – ora questo no è ripetuto solo dall’estrema destra e mette in
imbarazzo le forze golliste, mentre l’estrema sinistra confluisce verso
Hollande nell’assumere un programma europeo, finalmente rinnovato in
termini socialisti. Ma ciò è sufficiente a garantirci un rinnovamento
del processo dell’unità europea?
Hollande ha presentato un programma nel quale alcuni elementi
particolarmente incisivi erano proposti alla lotta contro la crisi e le
attuali, liberali e depressive, politiche dell’Unione. Per quanto
riguarda la politica interna, il punto centrale della proposta
socialista riguarda la tassazione degli alti patrimoni; per quanto
riguarda l’Unione, i socialisti chiedono una revisione dei criteri del
Fiscal Compact, un accordo eurobond, e una promozione dello sviluppo
economico da parte dell’Unione che assuma come centrale il mantenimento
del Welfare State. Che questa politica possa passare a livello europeo è
evidentemente molto difficile ma è vero che ormai questa politica
incontra un’opinione pubblica sempre meno disponibile alla distruzione
del sistema-Euro ed alla dissoluzione della Eurozona. “Rari sono quelli
che pensano che la reintroduzione di una flessibilità dei tassi di
cambio sarebbe utile e molti continuano a credere che delle svalutazioni
nell’Eurozona non farebbero che aumentare l’inflazione” (Martin Wolf).
Sempre nell’arsenale socialista, sembra emergere anche una forte
attenzione alla difesa contro il prevalere dei “mercati finanziari”, e
quindi all’apprestamento di armi che ne smussino la capacità di attacco
(regolazione e controllo nei confronti dei “paradisi fiscali”, delle
agenzie di valutazione, tassazione delle transazioni, ecc.). E’ chiaro
che tutto ciò potrebbe avere conseguenze ostili alle politiche americane
verso l’Europa – politiche sempre più malevoli – ma ciò comincia a
divenire importante soprattutto se i Paesi Bassi raggiungeranno la Gran
Bretagna nell’osteggiare l’Unione.
È chiaro che la socialdemocrazia europea (e Hollande con essa) non
riuscirà probabilmente a praticare queste linee politiche, anche se in
Germania una “grande coalizione” può forse stabilirsi dopo le prossime
elezioni. Che cosa può fare l’estrema sinistra francese, riorganizzatasi
attorno a Mélenchon, in queste condizioni? Per ora Mélenchon non può
far altro che votare a favore di Hollande. E dopo che cosa avverrà?
Mélenchon ha promesso di non entrare nel governo di Hollande, se questo
vince. Sembra una decisione saggia. Bisogna tuttavia ricordare che nella
coalizione che Mélenchon ha costruito, c’è anche, come forza non
secondaria, il PCF… e si sa con quanta forza i comunisti vecchi e nuovi
vengano attratti verso il governo! Inoltre nel programma di Mélenchon
non esistono spunti adeguati alle richieste, ai claims, dei nuovi
soggetti sociali del proletariato cognitivo: in particolare non si
parla, e neppure si accenna, al reddito garantito di cittadinanza e
neppure si affrontano in maniera radicale le questioni legate al
controllo e dalla gestione di un Welfare “comune”. Nel caso non entri
nel governo, non possiamo prevedere dunque null’altro che un tentativo
di radicalizzare ed estremizzare le proposte di Hollande, oltre che
puntualmente criticarle, da parte di Mélenchon. Povero destino, se le
cose andranno davvero in questi termini. Povero destino anche se – e
fortemente lo auspichiamo – questa relativa impotenza non spingerà
Mélenchon a riprendere quella demagogia antieuropea che talora era
apparsa, più che nelle sue posizioni, in quelle di taluni suoi
sostenitori.
È chiaro che, in questa situazione, supponendo che la vittoria di
Hollande possa darsi di qui a qualche giorno, quanto avverrà in Francia
sarà determinante non solo per la Francia ma per l’Europa. A noi sembra
che, attorno a questa esperienza, potranno misurarsi non semplicemente
programmi di rifondazione dell’Europa, ma soprattutto nuove esperienze
di confronto e di scontro fra la socialdemocrazia al governo e gli
schieramenti dell’estrema sinistra sociale, extragovernamentali. Sarà
possibile, attraverso la continua azione sociale dei movimenti,
attraverso una ricomposizione dei movimenti a livello europeo,
introdurre nuovi motivi “comuni” nella governance che i
socialdemocratici si preparano ad assumere a livello europeo? I dubbi
sono altrettanto forti della speranza. In ogni caso, è solo se si
riuscirà ad organizzare, anche in Francia, dei movimenti sociali di
lotta fuori dalle scadenze elettorali, senza illusioni in quello che i
governi possono fare – è solo in questo caso che anche la vittoria di
Hollande potrà essere benvenuta. Molte esperienze, ormai sviluppatesi a
livello mondiale, ci mostrano che solo l’estraneità dei movimenti ai
governi, alle loro, talora necessarie, talora volontarie, mediazioni
nelle istanze europee, può essere efficace in termini di reinvenzione
programmatica e politica verso il “comune”. Anche dalle forze che hanno
sostenuto Mélenchon e da Mélenchon stesso, ci aspettiamo questa
decisione.
Non dimentichiamo comunque che il successo del FN in questo primo
turno francese costruisce un ostacolo serio ad ogni tentativo di
proporre un rinnovamento democratico dell’Unione. E neppure che un FN
così forte costituirà un elemento di forte attrazione per tutte le
strutture fascistoidi identitarie e reazionarie in Europa. Da oggi in
poi va portata attenzione antagonista nei confronti di ogni provocazione
delle destre europee. Ciò detto senza alcun feticismo antifascista ma
semplicemente con la consapevolezza che si tratta di forze pericolose e
perverse.
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